martedì, dicembre 30, 2008

NEUROPRISON AWARDS 2008

Miglior disco (top 10)

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1. CULT OF LUNA - Eternal kingdom
2. HAVE A NICE LIFE - Deathconsciousness
3. GENGHIS TRON - Board up the house
4. EARTH - The bees made honey in the lion's skull
5. UFOMAMMUT - Idolum
6. MOGWAI - The hawk is hawling
7. PORTISHEAD - Third
8. MESHUGGAH - oBzen
9. SHEARWATER - Rook
10. ASCEND - Ample fire within

Miglior disco italiano (top 5)

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1. UFOMAMMUT - Idolum
2. DEAD ELEPHANT - Lowest shared descent
3. MORKOBOT - Morto
4. BACHI DA PIETRA - Tarlo terzo
5. THE SECRET - Disintoxication

Miglior EP (top 5)

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1. DEATHSPELL OMEGA/S.V.E.S.T. - Veritas Diaboli Manet in Æeternum: Chaining the Katechon
2. LA QUIETE - S/t
3. CURRENT 93 - Dead canal blues
4. BURIED AT SEA - Ghost
5. RED SPAROWES - Aphorisms

Miglior canzone (top 3)


1. HAVE A NICE LIFE - Bloodhail
2. CULT OF LUNA - Ghost trail
3. LATE OF THE PIER - Space and the woods

Miglior disco d'esordio (top3)

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1. HAVE A NICE LIFE - Deathconsciousness
2. LATE OF THE PIER - Fantasy black channel
3. DEAD ELEPHANT - Lowest shared descent

Miglior copertina (top3)

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1. A STORM OF LIGHT - And We Wept The Black Ocean Within
2. CULT OF LUNA - Eternal Kingdom
3. UFOMAMMUT - Idolum

Delusione dell'anno (top 3)

1. OPETH - Watershed

2. SIGUR ROS - Með Suð Í Eyrum Við Spilum Endalaust
3. PORTISHEAD - Third

Concerto dell'anno

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NEUROSIS + A STORM OF LIGHT + THE OCEAN @ Mamamia, Senigallia, 23/8/2008

lunedì, dicembre 22, 2008

ONE STARVING DAY




Dopo un debutto folgorante come Brokeng Wings Lead Arms to the Sun, stanno per tornare sulla lunga distanza gli One Starving Day; abbiamo contattato Pasquale per fare il punto della situazione, il quale ci propone anche interessanti anticipazioni riguardo al prossimo disco : Atlas Coelestis.


Ciao ragazzi! Nonostante il vostro primo album risalga a più di due anni fa la storia della band è abbastanza datata, quindi presentate ai nostri lettori come è nato questo progetto.

(Pasquale) Il progetto nasce nel 1997. Per alcuni anni avevo fatto parte di alcune band di matrice HC, tutte con certe velleità innovative. Ciononostante ero sempre profondamente insoddisfatto del risultato finale, così decisi di avviare un progetto tutto mio per realizzare ciò che avevo in mente. Il gruppo è stato poi formato aggregando persone che in termini di attitudine e ascolti potessero essere vicini alla mia. Tra questi ovviamente alcuni dei miei più cari amici dell'epoca (Francesco, Andrea e Marco) e mio fratello (Dario). Il processo di evoluzione è stato lento, ma ad oggi credo che abbiamo sviluppato un certo modus operandi che caratterizza lo stile del gruppo.

“Broken Wings..” è stato pubblicato per Planaria Recordings (Extra Life, Dead Meadow, Shining Path tra gli altri). Come siete entrati in contatto con la label e come vi siete trovati con questa?

Dopo aver registrato il nostro primo album, abbiamo spedito ill promo ad alcune etichette. La Planaria ci ha subito affascinati perché si presentava come un'etichetta eclettica, che non seguiva nessun principio di tipo aziendalista. Una volta entrati in contatto con Nick (Pimentel, il titolare della Planaria) abbiamo riscontrato una certa affinità in termini di attitudine. Nessun compromesso, produrre solo ciò che piace senza pensare a quante copie potrà vendere il disco e, soprattutto, Nick si è dimostrato una persona alla mano, mossa solo dalla passione per la musica. Non è il classico tipo a cui bisogna leccare il culo per farti produrre un cd. Ovviamente non tutto è andato liscio come l'olio dato che ci ha fatto aspettare quasi due anni prima che il disco uscisse. In fin dei conti, a posteriori, siamo contenti di aver pubblicato il primo disco per la Planaria.

Vi è stata poi una versione in vinile del disco sotto KNVBI Records. Amore per questo genere di formato o cos’altro?Come mai questa scelta?

Credo che chiunque suoni musica rock abbia un amore atavico per tale formato, che è praticamente il supporto per eccellenza della musica che suoniamo ed ascoltiamo. La KNVBI per certi versi è assimilabile alla Planaria. Shawn (il titolare dell'etichetta) ci ha dato carta bianca e non ci ha posto alcun limite in termini di budget per la realizzazione del vinile. Abbiamo deciso di aggiungere due brani rispetto alla versione in cd e credo che il risultato finale si stato davvero eccellente, l'artwork rende benissimo in relazione al packaging del doppio lp ed il vinile argento e nero è davvero molto bello. Tra l'altro la risposta in termini di vendite è stata ottima, credo infatti che tra non molto sarà sold out .

Alla luce della domanda precedente, si può notare come il packaging sia davvero curato e l’aspetto visuale emerge prepotentemente anche dal cd, dal vostro sito, dalla pagina myspace. Quanta importanza ha per voi questa parte del lavoro?

Ovviamente tantissima. Credo che la componente visuale sia parte integrante della musica perché, se concepita con cura e perizia, è in grado di aggiungere potenza comunicativa ad un disco.

Le vostre origini sono nell’hardcore, ma il vostro suono si è evoluto, inglobando frammenti post-rock, folk e doom. Come riuscite a convogliare tutte queste influenze nel vostro suono senza snaturarlo, e quanto c’è ancora dell’originaria passione hc?

Io credo che non c'è alcun pericolo di snaturare il nostro suono in quanto la sua natura è proprio la somma di tutte queste influenze che combattono tra di loro. Il prevalere di alcuni elementi rispetto ad altri cambia e cambierà da disco a disco ma il tutto avviene in maniera totalmente naturale e spontanea. In più credo che i generi da te citati siano sicuramente presenti nel nostro suono, ma non sono gli unici. Credo ci siano anche influenze cosmiche , prog e kraut, e sebbene tali elementi siano un po' in secondo piano in BWLAttS saranno molto più presenti e distinguibili nel prossimo disco (che abbiamo già registrato ormai più di un anno fa).
Per ciò che concerne l'originaria passione HC, beh quella non passa mai. Io credo che più che una forma espressiva, essa risieda maggiormente nell'attitudine e da questo punto di vista cedo che sin dalle origini non sia cambiato nulla.

Fate Drainer presenta numerosi rimandi al suono settantiano? E’ questo una vostra influenza?

Sicuramente. La maggior parte dei membri della band è composta da onnivori musicali. Io ascolto di tutto e sicuramente se penso agli anni '70 mi vengono in mente band che definire gloriose è quasi riduttivo (Tangerine Dream, Ash Ra Tempel, Heldon e Pink Floyd tra gli altri). Queste band, come tante altre a seguire negli anni, sono state una vera e propria scuola per alcuni di noi.

Silver Star Domain è la traccia di chiusura dell’album e si distacca abbastanza da quanto proposto nelle precedenti canzoni. Come è nata e cosa vi siete ispirati per comporla?

L'idea era quella di chiudere il disco con un brano che si contrapponesse a quelli precedenti. Anche il titolo è in completa antitesi a quello della canzone che apre il disco (Black Star Aeon), L'argento è l'elemento purificatore e il suo dominio è come una redenzione contrapposta all'oscurità assoluta ed estremamente longeva a cui fa riferimento Black Star Aeon.

In generale il mood del disco è crepuscolare..

Certamente. Diciamo che musicalmente il disco è costruito su semplici pattern ridondanti che cercano di accumulare una certa tensione emotiva che deflagra nelle aperture più propriamente rock delle nostre canzoni. Se ripenso a tutte le band che maggiormente ho apprezzato nella mia vita, posso constatare che il tratto che accomuna tutte queste è proprio questa vena crepuscolare e decadente di cui parli. Credo quindi che per certi questa è rimasta come influenza principale del mood di tutti i brani che componiamo.

Ormai tutti sanno dell’origine del vostro nome, ovvero la poesia “E’ ora famelica” di Ungaretti. Quanto è importante la poesia a livello personale e quanto influisce nell’esito finale dei componimenti?

Io sono appassionato di poesia. Sono sempre stato affascinato dalla similitudine tra una canzone ed una poesia. Entrambe possono essere riascoltate/rilette in momenti diversi e darti sensazioni molto diverse in base al tuo stato d'animo, proprio la loro capacità di essere legate al momento e all'emotività mi ha sempre affascinato. Ovviamente ci tengo a precisare che non ho mai pensato ai miei testi come a delle poesie in quanto i primi sono solo delle fotografie di emozioni e pensieri, mentre le seconde richiedono una disciplina ed un livello di elaborazione che io non credo di avere.

Sul vostro sito, sotto la biografia vi è un trafiletto riguardante il Logo della band. Potete spiegarcene il significato?

Onestamente quel logo risale ai primissimi periodi della band. Lo usammo nella press sheet del nostro primo e unico demo, ma poi con l'evoluzione della band (e soprattutto con la crescita delle persone in essa) ha perso di significato. E' tuttora presente sul sito perché ci ricorda da dove veniamo e chi eravamo, in modo da capire meglio chi siamo oggi. Credo molto che si cresca sommando le proprie identità che cambiano nel corso degli anni piuttosto che cancellare, rinnegare e ricominciare da capo ogni volta.

Il vostro secondo album doveva essere registrato nella prima metà del 2007 ma poi non si è saputo più niente; cosa è successo al riguardo?

In effetti abbiamo registrato e mixato il nostro secondo album (Atlas Coelestis) con David Lenci al Redhouse studio in due tornate nella primavera/estate del 2007. Usciti dallo studio ci siamo guardati un po' intorno con la nostra proverbiale flemma. Ci sono stati vari tira e molla con diverse etichette (di cui alcune davvero importanti), ma poi per vari motivi non si è riusciti a mettere su la cosa. Adesso (dopo ormai più di un anno e mezzo) sembra che le cose si stiano sistemando,. Il lavoro verrà masterizzato a breve presso il Chicago Mastering Service (Bob Weston e Jason Ward) e abbiamo degli accordi di massima con alcune etichette per ciò che concerne la release digitale ed il vinile. Il tutto però è ancora in evoluzione e magari speriamo di riuscire ad inserire qualche altro partner per la realizzazione del cd.

Potete darci qualche anticipazione al riguardo e soprattutto verso coordinate sonore intraprese?

Ci sono due medley sul nostro myspace che riassumono un po' le coordinate sonore del nuovo disco. Tutto sommato direi che i pezzi sono più articolati, e la componente elettronica è più presente oltre che più variegata. In Broken Wings Lead Arms to the Sun l'elettronica era tutta rigorosamente vintage, per Atlas Coelestis oltre ad ampliare l'arsenale di macchine vintage ne abbiamo anche adoperate altre più moderne (anche se sempre rigorosamente analogiche). Abbiamo poi mantenuto la presenza del violoncello (suonato stavolta da Andy Nice, che ci è sembrato subito la persona adatta anche i virtù delle sue passate collaborazioni con i Cradle of Filth) e aggiunto l'harmonium in quattro brani e il sassofono in uno. Per ciò che concerne la componente più propriamente rock del gruppo devo dire che stavolta il maggior tempo a disposizione in studio ha dato i suoi frutti, nel senso che i suoni e la resa generale sono nettamente migliorati. Più di ogni altra cosa però credo che il miglioramento decisivo stia nella scrittura e nell'arrangiamento dei pezzi. Sostanzialmente Atlas Coelestis è a mio avviso un album più maturo e molto più “complesso” del precedente.

Siete originari di Napoli; come è la realtà musicale della zona? E per quanto riguarda il supporto alle band?

In tutta onestà da quando alcuni centri sociali hanno chiuso (e parlo di tanti tanti anni fa ormai) la situazione è molto grigia. Per di più non credo che in città ci siano gruppi di valore superiore alla media. Di tutto questo però a noi non è che interessi più di tanto dato che abbiamo sempre avuto poco in comune con le realtà musicali della nostra città. Noi abbiamo un'attitudine completamente diversa rispetto alle persone che girano negli ambienti musicali napoletani. Rispettiamo tutti, ma abbiamo una serie di codici e valori che per noi sono tutto, nella musica come nella vita in generale. Se le cose si possono fare alle nostre condizioni va bene altrimenti passiamo la mano, siamo sempre stati autosufficienti e abbiamo sempre fatto tutto da soli, non abbiamo bisogno di nessun altro che noi stessi per portare avanti il nostro progetto, fino ad ora in città non abbiamo mai incontrato persone con un certo tipo di attitudine e quindi abbiamo sempre preferito restare ai margini di certe realtà che benché stilisticamente possano sembrare a noi affini sono lontane anni luce in termini di attitudine.

Bene ragazzi, è tutto per ora!Grazie mille per la disponibilità, a voi la chiusura dell’intervista.

Vorremmo ringraziarvi per questa intervista e per l'interesse mostrato nei nostri confronti. E' grazie a persone come voi che la musica è viva; la passione per la musica di persone come voi la rende viva. Grazie Simone e grazie a tutti gli altri ragazzi di NeuroPrison.

Neuros

mercoledì, dicembre 17, 2008

ZIPPO - The Road to Knowledge



Line-up:
Dave - Vocals
Sergente - Guitar
Devis - Guitar
Stonino - Bass
Ferico - Drums


Tracklist:
1. Don Juan’s Words
2. El Sitio
3. The Road To Knowledge
4. He is Outside Us
5. Chihuahua Valley
6. Ask Yourself A Question
7. Lizards Can’t Be Wrong
8. El Enyerbado
9. The Smoke Of Diviners
10. Reality Is What I Feel
11. Mitote
12. Three Silver Crows
13. Diablera



Quattro anni di attività ma un curriculum già di tutto rispetto per gli Zippo, giovane combo pescarese che torna quest’anno con la pubblicazione del loro secondo disco “The Road to Knowledge”. L’ensemble pescarese è riuscito a farsi un nome nella scena underground grazie a un’estenuante attività live, che li ha portati di recente a calcare anche i palchi europei, dove il riscontro di pubblico è stato ottimo, sicuramente una marcia in più per proseguire il percorso musicale che mai come ora sembrava ricco di diramazioni.
Sì, perché se nel precedente “Ode to Maximum” gli Zippo lasciavano intrevedere germogli freschi all’interno delle tipiche sonorità stoner, forti di una line-up rinnovata, con l’ingresso di Devis (axe-man dei Sothis) e del contratto con Subsound Records, il combo è riuscito con il nuovo disco a superarsi, con un lavoro che presenta novità a profusione, inserite in un contesto lirico di sicuro spessore : “The Teachings of Don Juan”. E’ proprio intorno al pensiero di Carlos Castaneda che “The Road to Knowledge” si muove, traendo nuova linfa per i componimenti, che si fanno più ricercati e “progressivi”, distanti dalla tradizione del genere, proprio come le opere dello scrittore/antropologo peruviano.
Dopo l’evocativa intro Don Juan’s Word tocca ad El Sitio accogliere l’ascoltatore, una delle prime canzoni a essere presentate dal vivo, efficace mix di sonorità desertiche e passione latino-americana a là Totimoshi. Gli Zippo però non si accontentano e sanno come calcare il piede sull’acceleratore, come testimoniato in Chiuahua Valley ed El Enyerbado, trascinate dalla voce potente di Dave in un vortice sonoro che lambisce tutte quelle entità musicali gravitanti intorno allo stoner, i semimali Melvins in primis, quelli di Stoner Witch e Houdini, ma anche i chiaro-scuri dei Mastodon.
Placare la tensione che emerge dalle note è onere di intermezzi acustici come He Is Outside Us e Reality Is What I Feel, mentre al centro del disco si erige l’evocativa Lizards Can't Be Wrong, salmodia sciamanica che si alza al cielo notturno.
La summa dei progressi avvenuti si trova però nelle lunghe e articolate The Smoke of Diviners e Three Silver Crows, che presentano tutte le facce della maschera Zippo, alternando parentesi acustiche, psichedelia di nuovo millennio e roboanti cavalcate elettriche, in un’improbabile mix tra Kyuss e Pelican. Merita poi una menzione particolare Ask Yourself a Question, dove pare stabilirsi il giusto equilibrio tra le forze in gioco, con la ricercata alternanza tra arpeggi e riff da parte di Sergente, il basso pulsante di Stonino e l’appassionata prova di Dave.
Gli Zippo non fanno altro che testimoniare la salute che in Italia vivono queste sonorità, con un album di sicuro valore, inficiato un poco dal minutaggio totale che a volte pare disperdere quanto di valido fatto; ciò non scalfisce comunque il talento della band, che sicuramente in futuro saprà far tesoro anche di questa esperienza, e noi attendiamo fiduciosi.

Neuros

Zippo@Myspace

lunedì, dicembre 15, 2008

THREE SECOND KISS


15 anni di carriera e non sentirli: dopo la recensione dell'ottimo Long Distance, ritorno discografico per i Three Second Kiss abbiamo contattato Sergio, chitarrista della band, per fare il punto della situazione..



Ciao ragazzi, benvenuti su NeuroPrison. La vostra storia è lunga e articolata, con le radici all’inizio degli anni ’90. Cosa ricordate di quel periodo e cosa vi ha spinto a formare la band?

Gli anni ‘90 hanno fatto da brodo culturale alla nostra nascita. Retrospettivamente mi considero fortunato ad aver formato una band in quel decennio. Senza nostalgie ricordo che anche in assenza di strutture, del web e di un’adeguata cultura musicale autoctona, ogni band pensava di più a suonare, a costruire il proprio immaginario sonoro in modo del tutto personale e meno ad autocelebrarsi secondo canoni precostituiti, come avviene oggi. Noi eravamo tre tipi che venivano dalla provincia, con un desiderio molto forte di dare forma ad un proprio linguaggio.

La vostra carriera è costellata di incontri/collaborazioni importanti; cercando di tracciare un ordine cronologico, la prima figura che si incontra è David Lenci, al giorno d’oggi punto di riferimento per la scena indie italiana. “For Pain Relief”, vostro primo disco, fu una delle prime uscite prodotte da lui: come fu la vostra esperienza in studio di registrazione?


A ripensarci oggi è una roba naif che però rimane molto coerente con un percorso in cui l’amicizia gioca un ruolo fondamentale. David decise attorno al 1996 di registrare e produrre economicamente il nostro primo lavoro. Il suo era ancora un piccolo studio e sia lui che noi tre TSK eravamo agli inizi delle nostre storie. È partito tutto da una piccola stanza nella campagna marchigiana, tutti quanti senza esperienza ma con un desiderio fortissimo di fare mille cose. Oggi lui ha uno dei migliori studi Italiani, il Red House di Senigallia, noi abbiamo fatto 5 dischi, tour americani ed europei, insomma abbiamo accumulato insieme tanta strada partendo dal puro desiderio di fare musica. Pensa che proprio ieri, dopo 15 anni, eravamo ancora insieme in Calabria ed in Puglia per alcuni concerti, lui al mixer e noi sul palco.

Lenci sedette in cabina di regia anche nei due successivi dischi, ma da “Music Out Of Music” in poi al mixer sedette niente meno che Steve Albini; come entraste in contatto?

E’ stato grazie all’Indigena Booking di Catania, nella persona di Agostino e Giovanna degli Uzeda, che abbiamo conosciuto Steve e gli Shellac, con cui abbiamo condiviso il palco più volte in Italia e all’estero. In particolar modo nel 2002 Shellac ci invitarono al festival inglese “All Tomorrows Parties”, dopodiché chiedemmo a Steve di catturare i suoni di “Music out of Music”, ed andammo insieme a registrarlo in Francia.

Quali sono le differenze che avete notato nel metodo di lavoro dei due produttori?

La prima cosa che capisci è che non si tratta di produttori ma di veri e propri ingegneri del suono. Degli artigiani della musica che si prendono cura in modo naturale del tuo sound. Ovviamente con esperienze, storie, curriculum e metodi diversi, entrambi hanno esaltato il suono del gruppo senza intervenire artificiosamente nelle dinamiche della band.

Alla fine del 2005 Lorenzo Fortini lasciò il gruppo e venne sostituito da Sacha Tilotta, figlio di Agostino Tilotta e Giovanna, ovvero il nucleo degli Uzeda. Come mai la scelta cadde proprio su di lui?
Con lo stop di Lorenzo, al bivio se continuare come TSK o meno, io e Massimo abbiamo scelto di continuare con una persona amica, confidente, in sintonia. Un amico che oltre ad essere ovviamente un ottimo musicista, potesse comprendere e condividere gioie e miserie del suonare in un gruppo underground dai volumi ben sostenuti. E Sacha queste cose le conosce bene.

Arriviamo finalmente a Long Distance, quinto album in studio nella vostra carriera. La prima cosa che salta all’orecchio è una limatura ancora maggiore delle canzoni. Nonostante vi siano molti strati sonori il risultato è più snello, asciutto.


Volevamo andare proprio in quella direzione. Long Distance è per noi una sorta di nuovo primo disco, con i pregi e i difetti che questo inizio può avere. Freschezza, entusiasmo, incoscienza, maturità e rischio. Abbiamo voluto bypassare ogni discussione meta-musicale dovuta più che altro a quasi 15 anni di vita dei TSK tra elettricità, velocità, suoni taglienti e rumore. Ce ne siamo fregati e l’unico obiettivo che ci siamo prefissati era proprio di arrivare prima e con meno dispersione di note al nostro nucleo sonoro.

Anche la durata dell’album è inferiore rispetto al precedente, una scelta casuale o mirata?

Nessuna scelta mirata. Magari avremmo potuto starci un po’ su ancora, tirando fuori qualche altro brano, ma avevamo voglia di uscire allo scoperto con la nuova line-up. Reputiamo i 30/35 min. una durata perfetta per un certo tipo di suono penetrante.

A livello chitarristico emerge in maniera ancora più marcata un certo sapore blues, riletto ovviamente in chiave personale. Quanto lavoro sta dietro questa continua ricerca sonora e come si cerca di ottenere?

Il lavoro ovviamente c’è, ed è, come dire … quotidiano. Non in termini di esercizio, intendiamoci, ma in termini di riflessione continua su quello che vuoi comunicare. Il come arrivarci è un po’ difficile da spiegare. In fondo è come cercare di dire la stessa cosa ogni volta in modo diverso ed emotivamente nuovo.

Nella parte centrale dell’album si tira un po’ il fiato con dei componimenti un poco più leggeri come “V Season” e “Dead Horse Swimming”. Come è nata l’idea del canto corale all’inizio di questa canzone?

E’ nata casualmente in studio. Cercavamo una specie di contrappunto emotivo alla scansione iniziale della batteria, molto metronomica ed ossessiva, ed è spuntata l’idea di Massimo di fare un coro alla Beach Boys in camicia dark. Il risultato finale, un po’ ubriaco e fluttuante, davvero insolito per noi, ci è piaciuto molto ed ha dato un sapore diverso all’intro della canzone.

Sarà il colore dell’artwork o l’atmosfera che si respira all’interno del disco, sarà l’intro “lounge” di Tarues, ma pare che Long Distance abbia un carattere notturno, da luci basse e fumo in sala. E’un vaneggio di chi scrive o notate anche voi queste caratteristiche?


Hai ragione, nonostante noi ci abbiamo messo molta adrenalina dentro, alcune canzoni possiedono questa caratteristica riflessiva. E’ una nuova sfumatura e ne siamo felici. Felici soprattutto del fatto che ancora una volta “fare musica” sia una cosa che ci sorprende per il risultato alchemico che puoi ottenere da tre personalità molto differenti tra di loro.


La voce di Massimo è perennemente in bilico tra “rassegnata narrazione e isterico menefreghismo” per rendere l’idea. Cosa ha influenzato questo determinato approccio vocale?


Massimo ha questo approccio da sempre. La raggiunta maturità dei 40 anni probabilmente coincide oggi con una maggiore esposizione di questa vena istericamente confidenziale, un po’ al di là del bene e del male. Alla fine lui è una specie di story teller in chiave super minimale.

A cosa si riferisce la “lunga distanza” del titolo?

Cerchiamo sempre dei titoli che possano contemplare più interpretazioni.
Long Distance rispetta la nostra tradizione di titolo “aperto”. Ovviamente la lunga percorrenza è la nostra, con la tenacia e la caparbietà che si porta dietro. Insomma … per noi i maratoneti sono delle figure più visionarie ed interessanti dei centometristi. Hanno molte cose a cui pensare e da comunicare durante il tragitto, che oltre ad essere una corsa è un’esperienza quasi mistica.

Qual’è il ricordo più stravagante che affiora da tanti anni di carriera e musica dal vivo?

Non c’è per me un ricordo su tutti. C’è piuttosto un grappolo di sensazioni e ricordi affastellati. Strade, locali, facce, sapori ed atmosfere legate anche a posti lontani .. che so New Orleans per esempio, dove abbiamo suonato un po’ di anni fa. E’ come quando ti svegli improvvisamente dopo aver sognato senza ricordare bene cosa, ma con addosso un’atmosfera ben precisa, che non ti abbandona.


Quale è secondo voi di questi tempi la salute della musica italiana, e in particolare la scena “alternative”?


Non ho quasi più la testa per queste considerazioni e soprattutto non riesco più a scindere tra confini nazionali ed estero. Quando sei adolescente non ci pensi, te ne freghi e quando sei più maturo ti senti al di là del quesito. Mi pare che la scena alternativa - italiana e non - tranne alcune illustri eccezioni, non sia più tale. Tutti si comportano allo stesso modo, grandi e piccoli, musicisti e discografici. Non ci sono più due linguaggi, non c’è più lo standard e l’alternativa a questo standard. Manca il desiderio e l’omologazione è davvero ad un passo: se le nuove generazioni non ne sono coscienti non ci sarà ricambio ma solo restaurazione e tanta noia. Una volta gli adolescenti che mettevano su una band erano realmente dei diversi, con delle storie diverse ed interessanti da raccontare. Ora sono belli, sani, ben vestiti, ottimamente pettinati o spettinati ad arte, degli attori pronti per il set. Vatti a guardare le foto che so ... dei primi Gun Club, dei Fall o degli Husker Du. La differenza sta tutta lì.

Bene, siamo quasi alla fine, quali sono i vostri progetti nell’immediato futuro?

Concerti in ordine sparso per l’Italia ed un Tour della costa Est degli Stati Uniti prima dell’estate. Nel frattempo, se saremo bravi, metteremo giù anche qualche nuovo pezzo.

Grazie infinite per la disponibilità ragazzi, a voi l’onere di chiudere.

Be’, non ho intenzione di chiudere, apro, anzi, apriamo, apriamo tutti …


Neuros

giovedì, dicembre 11, 2008

Gemine:Muse 2008 - "WALLS AS OPEN DOORS"






20 dicembre 2008 - Palazzo Cittanova, Cremona - ore 21.45

a cura di Marco Verdi
scritto da Zero Wait EnSemble
[con membri di: Zero Wait State, Xu(e), Big Eyes Trance]

suonato da:
Omar Martani (chitarra elettrica, chitarra acustica, tastiere, effetti)
Giuseppe Toninelli (laptop / elettronica)
Nicola Fornasari (laptop / elettronica)
Andrea Poli (laptop / elettronica)
Giovanni Prarolo (contrabbasso, basso elettrico)
Roberto Polledri (chitarra elettrica)
Stefano Uggeri (batteria)
Matteo Nodari (pianoforte)
Alberto Napoli (violino)
Benedetta Zucconi (viola)



Undici mesi dalle prime idee di progetto all'opera finale. E' un percorso articolato quello che ci condurrà la sera del 20 dicembre nella sala maggiore del Palazzo Cittanova. Timori ed entusiasmi si sono susseguiti senza sosta durante le infinite fasi di creazione, composizione e rifinitura di una performance che da subito non si è voluta limitare alla sfera musicale, proponendo una lettura esaustiva dei temi affrontati attraverso i linguaggi multimediali. Musica, dunque, con il supporto imprescindibile di elementi grafici ricorrenti organizzati in una video-installazione di forte impatto e caratterizzazione emotiva.
Contrapposizione, compenetrazione, scontro, reciprocità: sono le dicotomie stravolte su cui si reggono i concetti stessi di arte e musica. Rumore e melodia, antico e moderno, acustico ed elettronico, ovvero le suggestioni di un dialogo tra elementi che abbiamo voluto approfondire inserendoci nel contesto artistico di Gemine:Muse. Pretesto inevitabile, la parete calata nella città: il fascino medievale di Cremona e il suo binomio vecchio/nuovo, il simbolico Palazzo Cittanova con la sua storia di indipendenza alternativa al potere convenzionale. “La Parete Desnuda” è stata da subito spogliata del suo significato meramente fisico e trasposta nella dimensione impalpabile e sottile dell'interiorità. Una parete divisoria; l'intuizione e la visione moderna del concetto di città come luogo confinato da molti accessi senza nessuna uscita, l'idea plasmata sulla limitazione mentale dell'auto-confinamento (protezione o differenziazione?).
Tre atti, distinti ed equamente distribuiti in un'ora e trenta di durata complessiva. Tre letture differenti identificate dal titolo, emblematico, dell'opera: “Walls As Open Doors”. Tre approcci stilistici che guerreggiano in quello scontro tra opposti capace di far scaturire le emozioni più profonde. La materia è fornita dai linguaggi artistici marginali e d'avanguardia dell'ultimo mezzo secolo: la musica elettronica, il concretismo, l'arte digitale; e poi, gli spartiti classici e l'estetica jazz, rivisitati alla luce dell'eredità penetrante dell'ultimo post-rock. Contaminazioni reciproche attraversate da variazioni e crescendo circolari, mediante un linguaggio fortemente ibrido ed eterogeneo, diviso nell'utilizzo di elementi classici (pianoforte, contrabbasso, archi, chitarra acustica) e strumenti più tipicamente rock (batteria, basso e chitarra elettrica), ma inaspettatamente sostenuto dal minimalismo elettronico d'avanguardia. Tappeti di glitch corrotti da oscure fascinazioni post-industriali, forme pure alterate da inserti ambientali e rumoristici, fantasie immerse in arpeggi liquidi e remoti, rincorsi da trame avant-jazz o armonizzati da un pianoforte etereo.
L'orchestra è in realtà un'ensemble atipica costituita da una formazione fissa di quattro musicisti con interventi di supporto. Ma la performance non vuole essere a tutti i costi inaccessibile, difficile o limitante: confidiamo bensì che qualunque orecchio amante della (buona) musica possa trovare elementi di riflessione e vivo interesse.


(Marco Verdi)



martedì, dicembre 09, 2008

LLEROY - Juice Of Bimbo



Anno: 2008

Label: Sweet Teddy Records, Valvolare Records, Bloody Sound, Marinaio Gaio

Line-up:
Ceccà / Drums
Frè / Guitar, Voice
Già / Bass


Tracklist:
01. The Lost Battle Of Minorca
02. Magnete
03. Debbie Suicide
04. In My Head
05. 1-2-3 Kid
06. Tetsuo
07. Naked Violet
08. Border


I Lleroy sono un power trio da Jesi nato nel 2003 che esordisce pubblicando nello stesso anno l’interessante ep “Raptus”, con l’intenzione di rielaborare all’italiana l’hardcore ed il noise vecchia scuola; ora finalmente arrivano all’esordio sulla lunga distanza con “Juice of Bimbo”, potendo tra l’altro contare sul solito egregio lavoro in fase di produzione di Gulio Favero.
Le fonti d'ispirazione del gruppo sono da ricercare innanzitutto nel sound di casa Amphetamine Reptile, in particolare Melvins ed Unsane, ma anche nei Nirvana di “Bleach” nonché gli immancabili ed imprescindibili Jesus Lizard.
La band marchigiana non nasconde quindi la propria devozione per questo tipo di sonorità ma ciò non significa che difettino di personalità, dimostrando di avere metabolizzato tale lezione per rinverdirla ed attualizzarla; l’ottimo controllo mantenuto sul muro sonoro creato e la capacità di comporre vere canzoni, gestendo mirabilmente le esplosioni soniche, rende i pezzi decisamente accessibili e trascinanti, badando alla sostanza prima di tutto.
Da rimarcare il lavoro della sezione ritmica, sulle orme di Dale Crover, ma anche la chitarra svolge un lavoro davvero interessante tra impennate e dissonanze, il tutto unito da una voce diretta e coinvolgente, sia nell’uso della lingua inglese che negli episodi in italiano, in particolare Tetsuo (forse il miglior brano in assoluto dell’intera tracklist).
L'album si apre con The Lost Battle Of Minorca, pezzo che mette subito in chiaro le cose tanta è la potenza sprigionata, ma è il trittico Debbie Suicide, In My Head, 1-2-3 Kid che fa salire le quotazioni dell’album, quanto meno per impatto. Naked Violet si rivela come l’episodio più schizofrenico ed intenso, mentre spetta a Border chiudere con stile un lavoro ad alto tasso adrenalitico e senza cadute di tono, mettendo a dura prova la tenuta fisica dell’ascoltatore e non concedendo nemmeno un attimo per riprendere fiato lungo tutti i 30 minuti della sua durata.
Il noise italiano è particolarmente vivo, scalpitane più che mai e questo “Juice of Bimbo” ne è l’ennesima conferma, andandosi a collocare tra almeno altre tre notevoli uscite di questo 2008 quali Dead Elephant, Putiferio e Lucertulas; quattro proposte di livello assoluto e che brillano di luce propria, merito di una spiccata personalità figlia di diversi modi di rileggere e rivisitare la lezione dei maestri d’oltreoceano.

-Edvard-

Lleroy@Myspace

martedì, dicembre 02, 2008

AMIA VENERA LANDSCAPE - S/t



Anno: 2008

Line-up:
Alessandro Brun / Screamed Vocals
Marco Berton / Melodic Vocals and Guitar
Enrico Uliana / Guitar
Giacomo Dell' Orco / Guitar
Michele Dalla Mora / Bass
Simone Pellegrini / Drums


Tracklist:
1. My Hands Will Burn First
2. Nicholas
3. Glances



Gli Amia Venera Landscape sono un giovane sestetto veneto che si pone senza dubbio tra le migliori nuove realtà del panorama musicale nazionale, con una proposta davvero accattivante che travalica i generi.
Dopo un demo autoprodotto del 2007, la band partecipa alla compilation Neurosounds Vol.1 con il brano “a new aurora”, subito in grado di distinguersi all’interno di una nutrito numero di ottimi ed emergenti gruppi nostrani; successivamente, con una lineup ormai consolidata, arrivano ancora maggiori consensi e visibilità, anche grazie ad un’attenta attività live.

Recentemente è stato quindi pubblicato l’atteso ep di debutto omonimo che, seppur consta stranamente di soli 3 pezzi, riesce nei 17 minuti in questione a metter in luce tutte le peculiarità della band, proponendo una miscela sonora particolarmente interessante e soprattutto di pregevole fattura, sia dal punto di vista compositivo che squisitamente tecnico.
Registrato agli Studio 73 di Ravenna da Riccardo “Paso” Pasini e Federico Tanzi, con parti vocali e strumentali addizionali presso i Garage Studio ed i Venera Studio, l’ep mette in luce una band matura e decisamente cresciuta rispetto al demo, sia nelle partiture strumentali che nella gestione e l’uso delle due voci (una in screaming ed una melodica), ma soprattutto con un approccio molto professionale, ponendosi già su standard qualitativi da band di caratura superiore.

Le influenze del loro sound sono varie ed apparentemente difficilmente conciliabili, partendo dai Cult of Luna (in particolare del periodo “Salvation”), passando per Underoath e Thursday, fino a Kayo Dot, Dillinger Escape Plan e Tool. I tre brani proposti rappresentano quindi tre diversi lati della loro personalità sonora: dall’approccio diretto ed intenso, aggressivo e dinamico dell’opener “My Hands Will Burn First” all’incidere fortemente progressivo e ricco di sfaccettature della lunga “Nicholas” (ove fa capolino una voce femminile di sottofondo e viene dato ampio spazio al synth e ad atmosfere soffuse ed ambientali), per concludere con “Glances” in modo decisamente più easy listening, strizzando l’occhio a melodie vocali di facile presa ma sempre con perizia e classe, lasciando per un attimo in secondo piano il possente assalto a tre chitarre caratterizzato da stacchi e imperiose dissonanze e che, unito ad un drumming potente, fantasioso e tecnico, si delinea come elemento cardine e fondamentale del loro approccio di base.

Resta il rammarico per la scarsa durata dell’ep, soprattutto vista la validità della proposta, ma guardiamo il risvolto positivo…alla luce di questa prestazione il loro futuro esordio sulla lunga distanza sarà una delle uscite da attendere con maggiori aspettative e su cui puntare ad occhi chiusi, su questo credo che molte attente etichette nazionali ed internazionali saranno d’accordo.

-Edvard-

Amia Venera Landscape@Myspace

sabato, novembre 29, 2008

THE CONFLITTO - Kids Die, Music and Protest don't Kill



Anno: 2008

Tracklist:
1.Kids Die, Music and Protest don't Kill
2.Your Distance is My Disease
3.Inside the Night
4.Residuale of a Dream



A due anni dalla demo Burning Karma gli spezzini The Conflitto arrivano alla pubblicazione del loro primo ep “Kids Die, Music and Protest don't Kill”, rigorosamente autoprodotto.
Partiti da territori hardcore debitori verso pesi massimi nostrani come Negazione e Indigesti, i quattro giovani hanno nel tempo limato l’irruenza primigenia, avvicinandosi a lidi musicali più intricati e ricercati nei particolari.
Il suono che li caratterizza è urbano, rabbioso, originato da quella stessa protesta nominata nel titolo. L’apertura affidata alla titletrack è il biglietto da visita migliore che la band potesse mostrare, isterica e veloce, dove si susseguono cambi di tempo e atmosfere alla maniera dei maestri Botch, mentre nel finale trapela una sofferta melodia, supportata da ritmi meno frenetici ma sempre sugli scudi, con un prezioso lavoro di basso da parte di Omar. Your Distance is My Disease mantiene alta la tensione, con una più marcata influenza hardcore, memore del troppo dimenticato Songs To Fan The Flames Of Discontent dei Refused, mirino puntato quindi verso l’aggressione piuttosto che a differenti contaminazioni sonore, grazie anche a non troppo velate incursioni tipicamente rock’n’roll.
I The Conflitto però vogliono stupire e ci riescono, poiché senza snaturare troppo le proprie coordinate cambiano le carte in tavola rispetto a quanto proposto una canzone prima, Inside the Night infatti si mostra variegata, atta a districarsi tra rocciosi mid-tempo e frenetiche accelerazioni; possono venire in mente gli ultimi Converge, e il carattere riottoso del combo ligure pare davvero vicino agli intenti di Ballou&Co.
Per confermare quanto appena detto ci pensa la conclusiva Residual of a Dream, dall’inizio dissonante e dal crescendo che non fa prigionieri; i tempi si fanno più lenti e il quartetto dimostra di portare differenti tipologie di aggressione sonora, in questo particolare caso infatti è tirata allo spasmo, con la chitarra di Luca che si muove tra differenti strati sonori, a volte corposi, altre più striscianti, con un risultato davvero avvincente.
Un giovane gruppo sicuramente da tenere d’occhio, un ep che con una migliore resa sonora avrebbe potuto rendere di più, ma i margini di miglioramento sono ampi, si può solo sperare quindi di attendere buone notizie in futuro da questi ragazzi.

Neuros

The Conflitto@Myspace

martedì, novembre 25, 2008

THREE SECOND KISS - Long Distance



Anno: 2008

Label:
African Tape

Line-up:
Massimo Mosca: Bass,voice
Sacha Tilotta: drums
Sergio Carlini: guitar


Tracklist:
1. You Are The Music
2. I'm Wind
3. This Building Is Loud
4. Inexorable Sky
5. V Season
6. Dead Horse Swimming
7. Deviationism
8. Tarues
9. Guess You Bless This Mess



Quindici anni di carriera e cinque album all’attivo. Basterebbe questo per affermare l’importanza rivestita dai Three Second Kiss per la musica indie italiana; se poi ci aggiungiamo il rispetto nutrito da Mr.Steve Albini nei loro confronti, tanto da portarlo a produrre gli ultimi due album del gruppo, allora il cerchio si chiude.
Per inquadrare in maniera più approfondita la band basti sapere che dopo l’uscita dal gruppo di Lorenzo Fortini, il ruolo di batterista fu affidato a Sacha Tilotta, figlio di Agostino Tilotta e Giovanna Bellini, ovvero il nucleo degli Uzeda. Proprio da queste informazioni si può cominciare ad immaginare il suono nel quale i TSK si gettano a capofitto, asciutto, essenziale e nervoso, strettamente imparentato con Shellac e Don Caballero, differenti stili ma medesima attitudine, in un turbinìo sonoro perrenemente in bilico tra Chicago e Lousville. Ciò che i Three Second Kiss propongono non è però emulazione, in quanto contemporanei all’esplosione di determinate sonorità, e soprattutto caratterizzati da una perenne ricerca sonora, quasi maniacale per i piccoli dettagli, e in questo contesto è sicuramente ciò che fa la differenza.
Long Distance procede sui territori lambiti dal precedente Music Out Of Music, limando ancora più il suono dove possibile, arrivando a componimenti più brevi ma sicuramente non meno intensi, e come manifesto di questo labor limae ecco l’inizio quadrato di You Are the Music, con il drumming essenziale e preciso di Sacha, intorno al quale si sviluppano le trame chitarristiche di Sergio Carlini, capaci di scorticare, loro stesse sanguinanti e dalle mai nascoste reminiscenze blueseggianti.
Si ha l’impressione di essere incanalati in un vortice irresistibile, frastornati dalle trame oblique di I’m a Wind, caratterizzata da efficaci stop’n’go sopra i quali si erige la voce di Massimo Mosca, perennemente in bilico tra rassegnata narrazione e isterico menefreghismo.
Non mancano le parentesi più pacate, contenute principalmente nella parte centrale dell’album, piccoli anfratti di quiete dove è il basso a fare la differenza, in particolare in V Season e Dead Horse Swimming, dove è presente anche un serafico canto corale all’inizio della canzone.
L’attacco lounge di Tarues è un ulteriore tocco di classe, perfetto per introdurre una canzone dal carattere così introverso, notturno, tra fumo di sigarette e note sbilenche.
Guess You Bless This Mess chiude l’album in maniera ottimale, incanalando tutte le sfumature della band in soli quattro minuti, ricca di dissonanze e riff liberatori, che mantengono alta la tensione e non accennano graffiare se non nel finale, sussurrato e singhiozzante.
Ancora una volta i Three Second Kiss dimostrano di essere maestri in ciò che fanno, donando un carattere vitale a componimenti di per se spigolosi e severi, mostrando come la bellezza risieda nella semplicità e nelle piccole cose.

Neuros

Three Second Kiss @Myspace

lunedì, novembre 10, 2008

NEUROFEST 2



NEUROFEST 2008

NeuroFest nasce nel 2007 da un' idea della community NeuroPrison, forum ufficiale italiano dei Neurosis e della scena 'post 'nazionale, ed in collaborazione con il centro culturale Ekidna e Cyniclab DIY Label. L'iniziativa, come tutta l'attività di NeuroPrison, si prefigge di supportare e valorizzare l'ottima ma purtroppo poco conosciuta schiera di band underground made in italy. Il debutto si è svolto all'Ekidna di Carpi (MO) l'8 Dicembre 2007, riscuotendo ampi consensi ed un buon successo a livello di audience, potendo contare su di un bill di tutto rispetto tra cui VANESSA VANBASTEN, AT THE SOUNDAWN e THREE STEPS TO THE OCEAN. Quest'anno, in data SABATO 15 NOVEMBRE 2008, si svolgerà l'attesa seconda edizione con un bill estremamente importante e di grande impatto sonoro...vi attendiamo numerosi!


Sabato 15 Novembre / Ekidna
S.Martino Secchia - Carpi (MO), Via Livorno 9


Orario Concerti:
17:30 - 00:30


Line Up:


THE SECRET
(Hardcore/Psichedelia/Grindcore)
Disintoxication


PUTIFERIO (Alternative/Sperimentale/Punk)
Ate Ate Ate


LAST MINUTE TO JAFFNA (Hardcore/Psichedelia/Ambient)
Volume I


VISCERA /// (Metal/Sperimentale/Psichedelia)
Cyclops

INCOMING CEREBRAL OVERDRIVE (Metal/Hardcore)
Cerebral Heart

ICON OF HYEMES (Hardcore/Sperimentale)


DONKEY BREEDER (Alternative/Progressive/Rock)


Ingresso: 6 Euro


Informazioni: www.myspace.com/neurofest

sabato, novembre 08, 2008

A FLOWER KOLLAPSED - Brown Recluse



Anno: 2008

Etichette:
Sons Of Vesta, Holidays Records, Shove Records

Tracklist:
Shelter
Battle
Ghost Chorus
Natural Size
Seconds Go Slowly
Buio
Sewer


Nuovo 10” per i veneti A Flower Kollapsed, band nata nel 2004 e che nel giro di pochi anni ha saputo con pieno merito ritagliarsi un importante spazio nella scena hardcore/punk italiana e non, in particolare quella francese.
Dopo due split con Esicastic ed Afraid! registrano il loro primo album “Orsago”, pubblicato in Italia da Holidays Records in collaborazione con Shove Records ed in Francia dalla Gaffer Records, beneficiando della sapiente mano di Giulio Favero (One Dimensional Man, Il Teatro degli Orrori. Putiferio) in fase di produzione.
“Brown Recluse” segue appunto l’ottimo debut continuando sulla via da esso tracciata, fatta di pezzi brevi ed intensi, a metà strada tra screamo, noise e math-core.
Sette tracce per un totale di 19 minuti, comunque più che sufficienti a delineare una band in costante evoluzione e sempre alla ricerca di nuovi spunti; rispetto al recente passato infatti la componente screamo gioca un ruolo minore nell’economia generale dei brani, stavolta maggiormente orientati sul versante math e su un potente, rumoroso post hardcore/punk sulla scia di nomi quali Converge e Daughters, supportato da una sezione ritmica davvero micidiale.
Si parte senza fronzoli ed in pieno stile Converge con il trittico Shelter/Battle/Ghost Chorus, lasciando poi il campo ad episodi più ragionati e meno diretti quali Natural Size, Seconds go slowly e soprattutto l’acidissima Buio; in chiusura viene concesso ampio spazio alla sperimentazione (già presente in forme diverse in “Orsago”) con il suggestivo noise ambientale di Sewer, brano che potrebbe indicare una futura linea evolutiva particolarmente interessante.
Se il 12” precedente vi aveva (giustamente) conquistato l’acquisto di questo “Brown Recluse” è caldamente consigliato…ascoltateli in coppia ed andate in pace.

-Edvard-

A Flower Kollapsed @Myspace

martedì, novembre 04, 2008

SLAIVER - Why Brothers?



Line-up
Enrico Grosso : voice-guitar
Fabio Oliva : bass-voice
Andrea Peracchia : drums
Paolo Oliva :guitar


Tracklist:
1.I'd Like to Pay
2.Nola
3.Spit
4.Lover Tell Me it's Over
5.Shut Up Now (demo)

Una storia lunga e travagliata quella dei piemontesi Slaiver, la cui origine risale alla metà degli anni ’90 dall’amicizia tra Enrico Grosso e Andrea Peracchia, i quali costituiscono ancora oggi lo zoccolo duro della band. Una lunga lista di ep e demo in più di dieci anni di carriera e una fama sempre maggiore perseguita nell’underground italico, ma pare che solo nel 2007 il combo sia riuscito finalmente a squarciare il velo che li nascondeva ai più e sicuramente il merito di questo risiede nei venti minuti di “Why Brothers?”.
Sì, perché se il precedente “L'Indifferenza Di Me Verso Le Cose” si presentava come un buon disco ma con ancora ampi margini di miglioramento, questo nuovo ep cancella ogni insicurezza e ogni dubbio sullo status della band; in sole cinque canzoni la band mette sul tavolo le sue carte migliori e il risultato è quanto di più avvincente si possa sentire al giorno d’oggi, in Italia e non.
Gli Slaiver non hanno mai nascosto la paternità del loro suono, figlio dell’hardcore degli ’80, ma non paghi di ciò sono andati oltre, ricoprendo le solide pareti musicali di arabeschi moderni. I’d Like to Pay è una chiara manifestazione di intenti e sorretta da ritmiche punk/hc riesce a innestare chitarre metalliche, riportando alla mente quanto fatto anni fa dai mai troppo compianti Deadguy; notevole la prestazione di Andrea, con un drumming serrato e preciso sicuramente sugli scudi. Nola non ha la minima intenzione di far calare la tensione e dopo un attacco che potrebbe ricordare i Mastodon si assesta su binari veloci e sconnessi, dove le due chitarre si inseguono e si mordono vicendevolmente; una fuoriosa scorribanda tinta di noise-rock e metal che non lascia prigionieri.
La produzione del disco affidata a Giulio Favero mette in risalto tutta la bontà del prodotto e permette di assaporare ogni sfumatura sonora, senza che ciò intacchi minimamente la violenza sprigionata dalla band. Spit è summa di questo, dove sopra un tappeto Breach-iano si inseriscono gli angoli cari a Duane Denison, il tutto sotto il severo controllo degli Slaiver, capaci anche in quest’ambito di donare la giusta dose di melodia a ogni componimento rendendolo un prodotto di pregiata fattura.
Non vi è un attimo di stanca, ciò dovuto anche anche al pochissimo tempo che intercorre tra una canzone e l’altra, donando l’effetto di un macigno che rotola verso le orecchie dell’ascoltatore, macigno che a questo giro prende il nome di Lover Tell Me It's Over; in questo caso all’assalto tipico della band si affiancano sinistre dissonanze, conferendo un’aura malsana al tutto, con il basso di Fabio in evidenza a scandire i tempi.
Il finale della canzone è impreziosito da frequenze radio in sequenza, disturbate come giusto che sia nel loro caso, portando alla traccia di chiusura del disco, l’asfissiante Shut Up Now, dai suoni saturi, dalla rabbia incontrollata e come da titolo non si può far altro che rimanere silenziosi e annichiliti davanti a cotanta urgenza espressiva.
Si è già arrivati alla fine, e allora non rimane che augurarsi un immediato seguito a questo lavoro, davvero fresco ed esaltante, perché se questi sono i presupposti allora si può pensare davvero in grande.
In copertina anche Edith Piaf pare sconvolta, forse perché convintasi a premere per l'ennesima volta il tasto play.

Neuros

Slaiver @Myspace

venerdì, ottobre 31, 2008

CUBRE - Sights Of Unstable Flows



Anno: 2006

Etichetta:
Massacro Records

Tracklist:
01. Wounded
02. Immobilism
03. Border Flows
04. Unstable For Need
05. Seeming Safe
06. Half Man
07. Worm
08. Sunrise Decline
09. Expired Through Normality
10. Numb(er)s


I milanesi Cubre sono stati tra i primi in Italia a proporre una miscela di hardcore, grind e metal, ciò che oggi viene comunemente fatto rientrare sotto l’etichetta di post-hardcore; nascono nel 1998 come un quintetto e con l’intento di creare musica estrema ma distaccandosi dai clichè imperanti, traendo linfa vitale dal sound di bands quali Napalm Death, Neurosis, Slayer, Brutal Truth, Botch, Rorschach, Turmoil, giusto per citare le principali influenze.
Un suono intenso, violento, ma mai impatto fine a sé stesso, l’obbiettivo è la ricerca di un’espressione viscerale e dall’attitudine decisamente hardcore, con trame spesso complesse ma sempre senza perdere di vista l’amalgama ed una certa melodia di base.
“Sights Of Unstable Flows" arriva ben 5 anni dopo il promettente debut “Our Tangled Soul”, causa vari problemi personali all’interno della band, tra cui l’abbandono del vocalist Danilo in favore dell’attuale (ed ottimo) Berto; registrato sempre agli Alpha-Omega Studio con la collaborazione di Alex Azzali, divenuto nel corso degli anni elemento sempre più importante nell’economia del rinnovato sound della band, quest’ ultimo (per ora) parto vede ampliare notevolmente la gamma di sonorità coinvolte, aperture e stacchi più psicotici e sperimentali, accostabili anche al lavoro di una band come i Voivod.
La prima cosa che immediatamente si nota è l’enorme salto di qualità sia nella cura della resa sonora, che dal punto di vista tecnico-compositivo, permettendo alla band, ora nel pieno della maturità, di non porre alcun limite alla propria fantasia ed ambizione, regalandoci dieci perle per oltre 40 monumentali minuti (non contando l’infinita coda finale).
Wounded apre le danze mettendo subito in chiaro che dal debut di acqua sotto i ponti ne è passata, un incidere ritmico alieno, sei minuti assolutamente strepitosi e sbalorditivi con continui stop e ripartenze, un saliscendi emozionale di rara potenza ed intensità espressiva.
Unstable For Need si pone sugli stessi altissimi standard, sebbene praticamente non vi sia nessuna caduta di tono lungo tutta la tracklist; stacchi ad alto tasso tecnico caratterizzano l’andamento sincopato di un brano in cui fa capolino, dopo un epica apertura, una imperiosa accelerazione grind.
Border Flows inaugura invece una serie di tracce tra le più complesse in assoluto, ove accanto a vorticose trame ritmiche, sfuriate hardcore e grind, si intrecciano ipnotici rallentamenti (Seeming Safe) contraddistinti da aperture influenzate anche dal jazz, oppure da un finale percussivo tribale come in Half Man.
Immobilism e Worm sono due schegge impazzite, dove velocità, impatto, groove e ritmiche intricate si fondono mirabilmente, lasciando comunque spazio ad una costante vena melodica di sottofondo. Si prosegue su questa linea con Sunrise Decline ed Expired Through Normality, in cui l’attitudine ed il lirismo più legati all’hardcore prendono il sopravvento e dove la denuncia di una società in declino, arida e che ci vuole tutti omologati nella mediocrità, sfocia magistralmente nella conclusiva Numb(er)s, episodio criptico, soffuso e di grande pathos, (accompagnato da una chitarra acustica) che sconfina negli oltre 30 minuti dell’apocalittica coda finale.
Se ancora non l’avete capito ci troviamo di fronte ad un’opera di rara portata, soprattutto per quel che riguarda il panorama italiano, un disco senza alcun dubbio accostabile alle miglior uscire del 2006 a livello mondiale e per cui la parola capolavoro non cade certo a sproposito.
Ora non resta che sperare in un seguito all’altezza nel futuro prossimo (si parla del 2009/2010), per il quale è lecito nutrire aspettative altissime, contando magari su un’ulteriore evoluzione e perfezionamento dell’incredibile sound di cui la band si fa portatrice.

-Edvard-

Cubre @Myspace

mercoledì, ottobre 29, 2008

SHANK - Create/Devour


Line-up:
Andrea Litti : guitars and vocals
Gianni Nicolì : guitars and samples
Max Nocco : drums
Piernicola Mele : bass guitar

Tracklist:
-Longing For the Dawn
1.At War With the Self
2.Create/Devour
3.A Turn for the Worst
4.The Fallen
5.Interlude

-Frail Memories Fading
6.Through Sour Tears
7.Frail
8.Tragedies and Pointed Fingers
9.Words on Sandpaper


La pubblicazione di due soli album in dieci anni di carriera non rende giustizia all’importanza degli Shank , veri portabandiera dell’underground salentino dal lontano 1998. Anni di gavetta e tour alle spalle, che hanno visto la band affiancare in sede live act importanti quali Sepultura, Propagandhi, One Dimensional Man ed Extrema tra gli altri, in più la partecipazione alle finali regionali dell’Arezzo Wave.
Create/Devour può rappresentare proprio il ponte che collega tutti questi anni, una linea rossa che unisce presente e passato, e può essere intesa sotto molteplici significati. In primis infatti la divisione presente nella tracklist del disco pone l’accento sul nuovo corso della band (Longing For the Dawn) e getta un occhio su quanto fatto in precedenza, donando una testimonianza degli Shank che furono (Frail Memories Fading). Un'ulteriore interpretazione la si può evincere dalla musica, difatti il suono della band unisce con intelligenza le derive dell’hardcore udibili negli ultimi quindici anni.
At War With the Self è manifesto di quanto detto appena detto, tirata fino allo spasmo sin dalle prime note, forte di richiami ai Coalesce, riottosa come da titolo; fanno poi capolino brevi momenti di distensione che portano alla mente i Fugazi, sino ad esplodere in un finale metallico e pungente.
La titletrack riprende musicalmente il finale della canzone precedente, mostrando muscoli di chiara matrice death statunitense, mixata con i semi piantati a inizio ’90 dai Quicksand, un suono secco e viscerale capace di togliere il fiato.
All’interno della loro proposta convivono diverse anime, ed ecco infatti venir fuori una vena drammatica in A Turn For the Worst, ben rappresentanta dalle vocals pulite di Andrea, che non riescono a celare una vena di malinconia e momentanea rassegnazione spazzate via dall’arrivo di The Fallen, sorretta da chitarre possenti e quadrate che hanno imparato la lezione degli Helmet; non è però presente alcun copia/incolla nella musica degli Shank, un suono che ha i suoi punti di riferimento ma sicuramente rielaborati con maestrìa secondo le proprie esigenze.
Un breve interludio elettronico introduce alla seconda parte dell’album contenente materiale più datato, e qualche differenza a livello compositivo è udibile; le canzoni sono più snelle, fattore che va lievemente ad inficiare l’impatto sonoro della band, riconducibile a certe soluzioni dei Poison the Well come in Tragedies and Pointed Fingers, oppure influenzato da un certo hardcore melodico nella coppia Through Sour Tears-Frail.
La chiusura del disco è affidata a Words on Sandpaper, sicuramente tra le migliori del vecchio corso, con soluzioni avvincenti e riff che ricordano i Deftones.
Un disco sicuramente valido e un passo importante per gli sviluppi futuri per il sound della band, considerato che gli spunti capaci di rendere la proposta ancora migliore sono numerosi; consigliato sicuramente a chi apprezza sonorità “estreme” ma allo stesso tempo non convenzionali e, cosa più importante, suonate con passione.

Neuros

Shank @Myspace

venerdì, ottobre 24, 2008

LUCERTULAS



Dopo la recensione di "Tragol de Rova", abbiamo contattato i Lucertulas per fare il punto della situazione a qualche mese di distanza dall'uscita del loro secondo album.


Ciao ragazzi, innanzitutto presentate la band ai lettori di Neuroprison, come si è formata fino all’uscita di “Tragol de Rova”..

LUCERTULAS si forma nel 2003 da De Vecchi Daniele (batteria), Crisafi Sandro (basso e voce) e Zandonella Christian (chitarra). Nel 2004 esce - con lo pseudonimo di Superlucertulas il loro primo lavoro dal titolo “Homo Volans”, per l’etichetta indipendente 8mm records di Luca Massolin.
Il disco li porterà a suonare con gruppi come Oneida, Kid Commando, Hella (per citare i più
“internazionali”) e ad affrontare i loro primi tour esteri: in Francia nella primavera 2004 con i conterranei ed amici G.I. Joe, al quale ne seguirà uno in Germania nel settembre/ottobre 2005 con gli americani Wounded Head.
Ad inizio 2006 il bassista Crisafi Sandro lascia il gruppo per dedicarsi a progetti solisti
che si avvicinano alla musica contemporanea e performance artistiche, verrà sostituito da Aggio Federico.
Ad Aprile 2007 i Lucertulas incidono il loro secondo lavoro con l’aiuto di Giulio Favero (exOne Dimensional Man, ora Teatro degli Orrori e Putiferio), dal titolo “Tragol de Rova”
Dopo il lavoro fatto in studio il batterista De Vecchi Daniele viene sostituito da Cettolin Massimo.
Il disco è uscito ad ottobre 2007 per l'etichetta ROBOTRADIOrecords di Stefano Paternoster.

Parliamo un po’ dell’album..ascoltando il disco si nota subito una cura sonora davvero ottima. Come avete trovato il lavoro di Giulio (Favero nda) dietro il mixer?Come è stato lavorare con lui?


Innanzitutto bisogna dire che Giulio è una persona molto precisa e meticolosa; niente è lasciato al caso. E' stato molto costruttivo lavorare con lui. Ha subito intuito le nostre esigenze puntando sulll'impatto, valorizzando il nostro suono senza però snaturarlo.

Come si è evoluto secondo voi il suono dei Lucertulas da “Homo Volans” a questo nuovo album?

Col cambio di line-up c'è stata un'evoluzione naturale che ci ha portato ad incanalare l'improvvisazione (che prima era prerogativa fondamentale della costruzione dei pezzi) in una struttura più compatta ed elaborata, portandoci ad una maggiore cura dei suoni e dell'uso dell'improvvisazione stessa.

Oltre alla capacità di creare un suono veramente potente e d’impatto vi distinguete per divagazioni sonore più dilatate e rumoriste; come riuscite a far convivere queste due anime nel vostro suono, e soprattutto come nascono le parentesi più “d’atmosfera”?

Come dicevamo prima i nostri pezzi nascono da improvvisazioni che poi ridimensioniamo fino ad arrivare a strutture più solide e compatte tendenti quasi ad una forma canzone, ci viene quindi spontaneo intrecciare queste due anime una più "matematica" e una più "eterea" e dilatata.

Nella vostra musica la parte strumentale ha il sopravvento su quella vocale, spesso rilegata a pochi momenti. Da dove nasce questa necessità?

La voce in "Tragol de Rova" ha la stessa importanza di tutti gli altri strumenti e come tale trova il suo posto laddove ci pare necessario senza assumere un ruolo primario.

Cosa cercate dal vostro suono e come lo ottenete? Potreste descriverci un po’ la vostra strumentazione?

La nostra strumentazione è abbastanza classica: chitarra, basso e batteria. Utilizziamo comunque effetti quali delay, octave ecc. che usiamo per manipolare il suono e renderlo più personale.

“Tragol de Rova” : quale è il significato che si cela dietro questo titolo, e da cosa nascono invece quelli per le canzoni?

"Tragol de Rova" è il nome della via ripida e piena di curve dispersa tra le colline che percorrevamo due volte a settimana per raggiungere la nostra sala prove; un termine dialettale che in italiano si può tradurre con "fascio di rovi". A posteriori ci sembrava che quel nome ben rispecchiasse il nostro modo di suonare: ruvido e spinoso ahah!!
I titoli delle canzoni invece sono legati al significato del testo: PARTUM ad esempio parla di una nascita (testo abbastanza profetico dato che ora il nostro ex batterista è padre!!!)

L’artwork è stato curato da Giovanni Donadini (ex-With Love, progetto grafico CaneDiCoda). Scusando il gioco di parole, ha avuto carta bianca o voi avete contribuito con qualche input?Come considerate il risultato finale?


Giovanni ci mise a disposizione alcuni dei suoi ultimi lavori, noi fummo attratti
subito da quei volti sinistri e intriganti... sembravano prestarsi bene al suono del disco.
Il suo aiuto è poi stato fondamentale per ciò che riguarda l'impaginazione dei testi e le altre scelte grafiche.

Il vostro monicker è alquanto curioso, da SuperLucertulas siete poi passati a Lucertulas. Potete dirci da dove deriva e il perché di questo cambiamento?


Col primo cambio di line-up abbiamo avuto un'evoluzione molto marcata e ci sembrava giusto ribattezzarla con un nome che non fosse proprio diverso ma... NUOVO!

Le vostre etichette sono state la 8mm Records e ora RobotRadio Records. Cosa ci dite di queste due realtà e in particolare del lavoro di Stefano Paternoster?

Prima di tutto ci teniamo a dire che oltre che etichette sono amici!! Questo ha facilitato di gran lunga lo svolgersi dei lavori soprattutto perchè sapevamo di poterci fidare ciecamente dei personaggi sempre disponibili e presenti!!
Il lavoro con Stefano è stato molto positivo: lui è una persona gentilissima e cara, si è fatto in quattro per assecondare le nostre esigenze grafiche ben sapendo ciò a cui andava in contro (soprattutto a livello di spese!!). Si è occupato della stampa del disco e della promozione sia a livello di stampa che di distribuzione e questo per noi ha contato un sacco; grazie ai suoi contatti siamo potuti approdare a riviste del calibro di RUMORE, IL MUCCHIO eccc... ha fatto un gran bel lavoro e per questo gli siamo grati!!

Nella recensione ho affermato che voi rappresentate “il lato più sbilenco e ubriaco” del nuovo panorama noise-rock italiano. Come considerate band quali Putiferio, Dead Elephant, il Teatro Degli Orrori, e secondo voi quanto la riscoperta di certe sonorità sia legata al grande riscontro mediatico avuto da questi ultimi?


La definizione di sbilenchi e ubriachi ci ha molto divertito, bravo!
A nostro avviso il panorama non è poi così nuovo visto che comunque all'interno delle band che citi ci sono amici che masticano da parecchio tempo sonorità di questo genere. Era anche ora che il pubblico italiano iniziasse a prestar attenzione a quel che succede tra le quattro mura di "casa nostra" invece che continuare ad osannare i soliti gruppi stranieri!

Come vedete il legame tra pubblico e gruppidi questi tempi? Pensate sia sempre più difficile attirare i giovani ai concerti?

L'interesse per la musica c'è e speriamo rimanga sempre alto, quel che ci balza agli occhi invece è il progressivo diminuire delle realtà che organizzano i concerti. I locali diventano sempre più proibitivi economicamente (sia per il pubblico che per i musicisti!) e purtroppo le realtà "alternative" che riescono a sopravvivere sono sempre meno, questo sicuramente influisce negativamente sulle possibilità di richiamo per i giovani che difficilmente hanno la possibilità di spostarsi e far chilometri per vedersi un concerto e che quindi sono costretti loro malgrado a limitare la loro sete con surrogati tipo youtube o che altro che sicuramente non rendono giustizia alla fatica che i singoli gruppi fanno per poter girare a suonare. Un gruppo va sicuramente visto dal vivo per poterne apprezzare l'effettiva validità! questo è per noi fondamentale.

Siamo quasi alla fine ragazzi, potete dirci quali sono i vostri progetti per l’immediato futuro?

Abbiamo in ballo per l'anno prossimo un tour italiano ed uno estero (belgio, olanda, germania) . Stiamo suonando tanto in sala prove per il prossimo disco che speriamo di poter incidere entro primavera. Abbiamo evoluto molto il nostro suono da "Tragol de Rova" cercando soluzioni via via sempre più compatte ed energiche grazie anche all'apporto del nostro nuovo batterista Massimo.... Ne sentirete delle belle!

E’ tutto ragazzi, grazie mille per la disponibilità. Speriamo ovviamente di sentirci presto. A voi la chiusura dell’intervista come preferite.

Inanzitutto grazie mille a voi per averci contattato!
A chi legge volevamo dire: Non puoi dire di conoscere veramente un gruppo se non l'hai mai visto suonare dal vivo... vi aspettiamo!
P.S. a chi non ci consce lasciamo qui il nostro indirizzo myspace così per farsi un'idea di ciò che facciamo:
www.myspace.com/lucertulas

Neuros

sabato, ottobre 11, 2008

LAST MINUTE TO JAFFNA - Volume I



Anno: 2008

Etichette:
Concubine Records, Swarm Of Nails, Hypershape Records, Consouling Sounds

Tracklist:
01. Chapter X
02. Chapter VI
03. Chapter VIII
04. Chapter V
05. Chapter XI


Attiva dal 2005, la formazione torinese dopo innumerevoli cambi di lineup, un demo di due tracce autoprodotto (2006) e due apparizioni su compilation nazionali (Desert Sounds vol.2, NeuroSounds vol.1), arriva finalmente al tanto atteso debut sulla lunga distanza, grazie alla caparbietà dei membri della band (ora ridotta a quattro elementi) e l’aiuto di piccole ma attente etichette nostrane (Concubine Records, Hypershape Records) ed estere (Swarm of Nails, Consouling Sounds).
Registrato da Roby Vitari ai Suoneria Studio di Torino come un quintetto, Volume I consta di 5 capitoli per un totale di 45 minuti che lasciano senza fiato causa l’intensità prodotta; siamo dalle parti dei Neurosis ultima fase, Earth e Cult of Luna, giusto per rendere un’idea di base, sebbene il sound della band splenda di luce propria contenendo influenze più vaste e per nulla votate ad un semplice revisionismo di nomi noti. Quattro brani dalla durata decisamente importante più un indovinato intermezzo ambientale, per certi versi accostabile al lavoro degli Isis; si parte con Chapter X, un lento e desolato incidere, a cavallo tra Earth e gli autori di “a sun that never sets”, con la calda ed avvolgente voce di Valerio pronta a condurci tra le trame di questi 13 minuti che rappresentano senza dubbio uno dei vertici del cd. Arrangiamenti semplici, apparentemente scarni, ma al tempo stesso tremendamente efficaci, mettono in luce una band pienamente consapevole delle proprie capacità e focalizzata nell’espressione sonora a lei più congeniale; l’utilizzo delle dinamiche, dei cambi di tensione ed atmosfera all’interno dei singoli brani è da formazione di caratura superiore, facente sfoggio di classe lungo tutto il platter, sia quando si tratta di dipingere fosche tinte ambientali, che nelle improvvise esplosioni di rara e deflagrante potenza. Chapter VI gioca con l’ascoltatore, mantenendolo in costante tensione per tutti i 9 minuti, sempre in attesa che arrivi l’onda d’urto finale, cosa che non avviene, con la band che controlla le nostre emozioni, ci tiene col fiato sospeso ed in perenne angoscia, e solo dopo ripetuti ascolti ci si rende conto che non vi era nulla da attendere, tutto quello che c’era da percepire era già lì sotto i nostri occhi…la tragicità e la fugacità delle nostre vite.
Chapter V, dopo pochi minuti di quiete ambientale assolutamente necessaria dopo la mazzata emotiva precedente, riapre ad atmosfere sempre ombrose ma decisamente più ariose e meno oppressive; di nuovo le clean vocals di Valerio accompagnano l’ascolto lungo un brano che più di tutti si avvicina a quel muro di suono misto a folk dalle tinte apocalittiche che solo i Neurosis nel corso degli anni sono riusciti a creare con effetti devastanti.
Chapter XI chiude le (macabre) danze, ed è forse il brano meglio strutturato e complesso, probabile indicatore di quella che sarà la via evolutiva della band in futuro; suggestivi paesaggi autunnali incastonati ad improvvise accelerazioni, con la band perfettamente a proprio agio nel dosare i vari elementi espressivi, pennellando di fino quando serve dare enfasi all’aspetto poetico del sound, ma picchiando duro e senza timori quando è necessario liberarsi e dare sfogo, alla stregua di un Jackson Pollock, a tutte le tensioni accumulate nel proprio subconscio.
In chiusura non resta che segnalare l’accattivante artwork che incornicia la confezione in digipack ed augurare ai Last Minute To Jaffna di riscuotere i consensi che meritano, del resto una band che suona così per lo meno in Italia non esiste...il resto sta a voi.

-Edvard-

Last Minute To Jaffna @Myspace

lunedì, settembre 29, 2008

MELVINS + Big Business + Porn @ Musicdrome



Milano 25/09/2008

E' difficile, per me, scrivere un giudizio oggettivo su questo concerto. Direi pure che mi risulta difficile scrivere semplicemente un giudizio; è difficile rapportarsi ad un simile evento, affrontare con lucidità ciò che è avvenuto sul palco del Musicdrome (Milano) il 25 settembre 2008.
Si intuisce dalla folla ferma davanti ai cancelli che sono in molti ad aspettare questa data (visti i diversi tour annullati precedentemente), un' attesa ripagata con uno dei live più emozionanti, vissuti e divertenti degli ultimi anni. Ma partiamo con ordine.
Aprono i californiani Porn, capitanati dall'ormai stra-conosciuto Billy Anderson (rinfresco: produttore di band come Eyehategod, Neurosis, Sleep, Swans e Brutal Truth oltre che chitarrista dei Blessing the Hogs e Asva) alla chitarra/effetti, Dale Crover alla batteria e Tim Moss ad altri ''effetti'' (si aggiungerà dopo pochi minuti dall'inizio Coady Willis alla seconda batteria). Il set è composto da un unico pezzo, noise, drone, stoner, un mix di suoni distorti, echi, feedback impastati tra di loro, con le batterie che partono e si fermano a singhiozzo, quasi andassero per conto proprio. Dale sembra in gran forma, ma è il giovane Coady ad attirare la mia attenzione: preciso, attento, potente, pulito.



E' il momento dei Big Business (formati dal già sopra citato Coady e dal bassista Jared Warren), duo potentissimo su disco, un po' meno deciso sul palco (soprattutto la voce). Il set si apre con una Hands Up sparata a mille, poi seguono tutti gli altri da i loro due album (Head for the Shallow del 2005 e Here Come the Waterworks del 2007, entrambi usciti dall'onnipotente Hydra Head Records). Il pubblico sembra proprio divertirsi ed apprezzare, ma il bello deve ancora arrivare: da dietro sbuca una chitarra imbracciata dal nostro Dale (Crover, si, il batterista). Il sound sembra farsi più compatto, i pezzi sembrano prendere corpo e il nuovo arrivato sembra proprio stare a suo agio (ricordo infatti l'ep Dale Crover -Boner Records, 1992- dove incide tutto da solo tranne che il basso).



Sembra andare tutto a gonfie vele, i due gruppi ''spalla'' se la sono cavata egregiamente ed i suoni sembrano proprio rasentare la professionalità. Strano? Bè, dipende. Dipende soprattutto dal fonico. E chi è in grado di fare un lavoro del genere? Solo lui: Giulio ''Ragno'' Favero (bassista dei Teatro Degli Orrori e batterista dei Putiferio per dirne due, nonché grande produttore a livello nazionale). E' proprio grazie a lui che siamo a riusciti a goderci al massimo una delle band più impressionanti degli ultimi 25 anni: i Melvins.
Riecco salire per la terza volta sul palco Coady (protagonista di questa serata, il migliore), poi a ruota tutti gli altri: King Buzzo indossa la sua classica veste nera lunga fin sotto il ginocchio, con lo spacco lacerato. Aprono con The Kicking Machine: la band sembra essere proprio in forma, non sbaglia una nota e le due batterie regalano emozioni mai viste. Una parola: degenero. Si susseguono Civilized Worm, Nude With Boots, Eye Flys, Honey Bucket, You've Never Been Right, quasi tutti pezzi degli ultimi due album. Buzz non si ferma un attimo, tanto che si lascia andare in un monologo con il pubblico, pubblico scalmanato che salta, balla e urla tutte le note che escono dalle casse. Boris (tratta dal fantastico Bullhead, 1991) chiude la serata in modo fantastico. Se avessero toccato altri brani da Houdini, The Maggot, Ozma o Stag sarebbe venuto letteralmente giù il locale.
Non resta che abbassare il capo davanti ad una band che non si è mai chinata nei suoi 25 anni di carriera, che non ha mai perso il tiro e soprattutto non è mai invecchiata.
Lunga vita ai Melvins.





James "Sawyer" Ford.

sabato, settembre 27, 2008

ONE STARVING DAY - Broken Wings Lead Arms to The Sun



Line-up:
Pasquale Foresti : vocals, samples and bass
Marco Milucci : guitar
Andrea Bocchetti : guitar
Francesco Gregoretti : drums
Dario Foresti : synths, samples and vocals

Tracklist:
1. Black Star Aeon
2. Secret Heart
3. Fate Drainer
4. Leave
5. Silver Star Domain


Il cammino degli One Starving Day comincia più di dieci anni fa, nel 1997, da un’idea di Pasquale Foresti, che dopo la militanza in alcune band hardcore decise di seguire nuove strade che portassero nuova linfa alla sua primigenia passione. Solo dopo anni di gavetta però, con una line-up completa e di spessore arrivarono i primi veri risultati, come la partecipazione alla compilation Emo Diaries 7, pubblicata per la Deep Elm Records, alla quale seguì nel 2006 il primo album della band, Black Star Aeon.
Un disco che già sul lato visuale si presenta ricercato e leggendo i titoli delle canzoni questa convinzione non può che aumentare; la musica ovviamente fa il resto.
La band stessa afferma di essere influenzata da band come Neurosis e Godspeed You!Black Emperor, ma il loro caleidoscopio sonoro non si chiude certo qua, proponendo soluzioni fresche, frutto di una ricerca sonora invidiabile. La titletrack è la dimostrazione di quanto appena detto, aperta da un tappeto di loops elettronici e suoni di violino che vanno crescendo, burrascosi e cupi, salvo poi aquitarsi e deflagrare con chitarre e voce sofferta. Le due anime della canzone si alternano e guerreggiano fino alla fine, senza risparmiare i colpi, come le textures sfilacciate che si propagano nel finale rincorse dalla batteria.
Secret Heart apre le braccia ad atmosfere orientali, rilette sotto un’ottica apocalittica, una speranza che non decolla e non necessita di parole, solo le chitarre fanno capolino con arpeggi solitari, che con il passare dei minuti prendono fiato e gonfiano il petto, finchè non vengono portati via dagli ultimi rintocchi di synth.
Fate Drainer si mostra sicuramente più ottimista rispetto alle precedenti due canzoni, con vocals lontane e narrate per manifestare questa differente direzione, e con il passare dei minuti il componimento muta la pelle, trasformandosi in una rivisitazione estrema di un certo suono settantiano, riportato dalle tastiere e da certi giri di chitarra di matrice kraut/space.
Se non era chiaro l’alternarsi di stati d’animo all’interno dell’album, ci pensa Leave a ricordarlo, mostrandosi in tutta la sua solitudine, rimandando alla mente le brulle lande di Away dei Neurosis, battute ancora una volta dalla voce di Pasquale; otto minuti sempre in bilico tra folk e psichedelia, che sono negli ultimi secondi alzano i toni e graffiano con le chitarre.
L’album si chiude con Silver Star Domain, pacata e raffinata, costruita unicamente su piano e samples, che filtrano la poce luce rimasta.
Un disco sicuramente di spessore, per una band che ha grandi potenzialità per crescere ancora, con una maturità già elevata, come si nota anche dai testi sempre ispirati e legati alla musica proposta.
Non rimane altro che aspettare il prossimo album che potrebbe lanciarli tra i migliori nel genere in Italia.

Neuros

One Starving Day @Myspace

mercoledì, settembre 24, 2008

LUCERTULAS - Tragol de Rova


Line-up:
Christian Zandonella : chitarra
Federico Aggio : basso
Daniele De Vecchi : batteria


Tracklist:
1. Roulette
2. Partum
3. On Rough Sea
4. Miss Ratched
5. Tintinnio
6. 06
7. 07
8. Ops!


Per rendere onore al nome che portano, anche i Lucertulas hanno cambiato pelle nel corso degli anni; partiti nel 2003 sotto il monicker di Superlucertulas, pubblicarono l’anno successivo il primo full “Homo Volans” uscito sotto 8mm Records. Un lavoro sicuramente di valore, riassumibile con tre aggettivi : spigoloso, crudo, dilatato; album che ha permesso alla band di girovagare per due tour europei (Francia e Germania). Con il passare del tempo cambia la line-up e cambia anche il monicker, portando il suffisso “super” in soffitta; così con l’ingresso di Federico Aggio si arriva al secondo lavoro : Tragol De Rova.
Focalizzando quanto di buono fatto in Homo Volans e migliorandolo, il power-trio è riuscito a sfornare un album avvincente e allo stesso tempo ostico, una sfida non solo per loro, ma anche per l’ascoltatore; e il risultato è stato ottimo.
Roulette e Partum sono due schegge impazzite che la band propone in apertura per mettere subito le carte in tavola, nessun compromesso quindi, un suono tagliente, vivo, che ricorda i furenti esordi dei Polvo o le scorriband albiniane dei Rapeman. Ritmi quadrati e ossessivi, che vanno a martellare sempre sulle ferite musicali inferte in precedenza, un suono che sanguina, figlio dell’hardcore.
On Rough Sea è una perla schizofrenica, parte silenziosa, in punta di piedi, con atmosfere in ambient utili per tirare il fiato dopo la doppietta iniziale, ma è una pausa ingannevole, perché d’un tratto è il rock più rumorista a fare da padrone, chiudendo la canzone con divagazioni noise pure.
Miss Ratched e 7 sono sicuramente le meno tirate del lotto, ma non per questo le meno cariche, anzi, assestandosi su mid-tempos scavezzacollo che fanno il loro compito : disturbare, far male.
Tintinnio di distingue per il suo basso ancor più in evidenza, vero protagonista della canzone, conferendole un groove potente, d’impatto, giusto preludio prima della parentesi stridente di 6 : sette minuti di noise, come solo gli Skullflower saprebbero fare, e i Lucertulas di dimostranno all’altezza della band inglese.
A chiudere le (brevi) danze ci pensa Ops!, che da titolo pare scusarsi per le efferatezze commesse in questi intensi ventisei minuti del disco, e invece no, con la costanza e la pesantezza di un fabbro la band continua a menare fendenti fino alla fine, con le chitarre sature di Christian e il drumming furioso di Daniele.
Registrato e mixato da Giulio Favero, è un disco ostico sicuramente, ma dal valore indiscutibile, e da ogni nota traspare la fatica, il sudore e la passione della band, e questo non può che farle onore. Se nel sempre più (nuovamente) florido panorama noise-rock il Teatro Degli Orrori rappresentano il lato cantautoriale, i Dead Elephant quello psichedelico e i Putiferio quello più sperimentale, i Lucertulas ne incarnano il lato più sbilenco e ubriaco, e noi possiamo solo sperare che l’ebbrezza continui.

Neuros


Lucertulas @Myspace