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venerdì, gennaio 27, 2012

Blood, Sweat + Vinyl: DIY in the 21st Century / Report + Intervista




Quanto segue non ha la presunzione di essere ne un live report ne un’intervista di quelle che si leggono comunemente sulle riviste o sui siti di settore. Vuole essere solo un contributo portato all’attenzione di lettori italiani su una gran bella realta’ che chi scrive ha conosciuto durante un soggiorno in California, nella citta’ di San Francisco. Non essendo un giornalista e non avendo mai fatto un lavoro del genere, mi limito a raccontare brevemente un concerto e a trascrivere parola per parola quanto emerso da una lunga chiacchierata con il regista di questo splendido documentario.


Il 15 Ottobre 2011 ero all’Oakland Metro Operahouse, a due passi da San Francisco per la premiere del documentario realizzato da Kenneth Thomas intitolato “Blood, sweat + vinyl: the DIY in the 21st Century”. Mi presento al locale con largo anticipo dal momento che la protesta “Occupy Oakland” mi aveva fatto allontanare da downtown con una certa rapidita’. Dopo un’oretta di chiacchiere con dei ragazzi provenienti dall’Oregon, entriamo e ci troviamo davanti il merch desk piu’ ricco e appetitoso che abbia mai visto! Le tre etichette coinvolte nel documentario (Neurot, Hydea Head e Costellation) mettevano in mostra tutti i loro lavori piu’ belli e interessanti, perdersi in quel mare di dischi non e’ stato assolutamente difficile.
Aprono la serata gli Ides of Gemini, freschi di firma per Neurot recordings. Tempi dilatatissimi, voce etera femminile, atmosfere rarefatte per un set davvero molto intenso e coinvolgente.



Seconda band: Oxbow. Autori di un set acustico al centro del locale prima di un concerto memorabile, me li avevano sempre descritti come una live band di altissimo livello, ma mai mi sarei aspettato una cosa del genere. La loro idea di musica, trasmessa dal vivo, e’ qualcosa di unico e indescrivibile. La serata si conclude con il set dei canadesi Evangelista che purtroppo non sono riuscito a vedere data l’ora tarda e la necessita’ di trovare un mezzo per poter tornare a casa.



Fra una band e l’altra, proiezione di ognuna delle tre parti del documentario. Tutti seduti in silenzio ad ascoltare interviste, report e stralci di concerti di band che hanno segnato (e stanno segnando) un epoca.
Nei giorni successivi ho incontrato Kenneth in citta’ e ci siamo fermati a parlare a lungo del suo progetto, quanto segue e’ cio’ che e’ emerso dalla chiacchierata.



Ciao Kenneth, parlami del progetto. Di chi e’ stata l’idea, quando e’ saltata fuori, quante persone ci hanno lavorato e se e’ stato difficile reperire tutto quel materiale e mettere tutto insieme.

L’idea e’ stata mia, mi e’ venuta perche’ soprattutto fra gli anni 2000 e 2005 c’erano un sacco di documentari musicali fatti soprattutto sulle band del passato, mi riferisco da un lato a quei gruppi che suonavano punk rock, e dall’altro a tutti i documentari basati su band degli anni settanta e ottanta come Black Flag, Ramones e a tutto il movimento che ruotava loro attorno. Ci tengo a precisare che quel periodo e’ stato di grande ispirazione per me ma nessuno ai tempi si immaginava di quanto quel movimento avrebbe ispirato altre realta’ esistenti oggi. L’idea prettamente punk di avviare una tua etichetta, senza ambizioni di arrivare a firmare per una major e fare tutto per conto proprio (altrimenti non si chiamerebbe DIY, Do It Yourself, ndr) la ritroviamo oggi in band quali Neurosis, Isis o Godspeed you, Black Emperor!
Io sentivo che qualcuno doveva fare qualcosa per parlare in maniera accurata di cosa sta accadendo oggi a quegli ideali DIY. Credo che band come Neurosis, Isis and Godspeed you, Black Emperor! e tutte le band sotto le tre rispettive etichette, siano importanti per l’evoluzione musicale cosi come lo sono stati Black Flag e Circle Jerks. Di quelle band ormai passate, se ne e’ sentito parlare tantissime volte, era l’ora che qualcuno facesse la stessa cosa per tutto il movimento nato attorno a queste tre etichette. Quel qualcuno sono io (risate…)!! Le cose cambiano molto velocemente e detesto l’idea che le persone si possano velocemente dimenticare di tutte queste incredibili band.

L’idea mi e’ venuta nel 2005, stavo guardando i miei dischi che mi sono detto “Wow, ho un sacco di dischi provenienti da tre etichette, Neurot, Hydra Head e Constellation!” Ognuna di queste etichette ha un’estetica propria e un “look” riconoscibile. Ci sono moltissime differenze fra di esse sia a livello di grafiche che musicale, ma tutte e tre sono accomunate dal fatto di operare sotto la stessa filosofia.

Il tutto ebbe inizio una sera, quando ancora vivevo a Los Angeles e i Pelican suonavano in citta’. Arrivai in questo localino pieno di fumo, piccolo e buio, chiamato The Mountain Bar in Downtown e incontrai Larry, il batterista. Senza sperare in chissa’ cosa gli buttai li l’idea del documentario, e lui mi rispose che Aaron Turner era li con loro. Ebbi cosi’ la possibilita’ di parlare direttamente con lui. Qualche giorno dopo gli spedii via mail l’idea e la sua risposta fu: “Great!” Gli proposi di filmare un loro concerto (degli Isis, ndr) a Los Angeles la settimana successiva e lui accetto’. Gli dissi: “Facciamo cosi: io filmo il vostro concerto il prossimo 5 Novembre 2005 con 3 videocamere e un registratore e voi accettate di farvi fare un’intervista”. Rispose di si. A quel punto gli Isis usarono le riprese per un DVD che usci’ l’anno successivo intitolato “Clearing the Eye”, e io utilizzai le riprese come punto di partenza per il mio lavoro.


Il sottotitolo del documentario e’ “Il DIY nel ventunesimo secolo”. Sappiamo che queste tre etichette che portano avanti la loro attivita’ sotto una filosofia DIY, sono diventate dei punti di riferimento per questo genere di musica. Come riescono a combinare questi due aspetti e come si sono comportate nei tuoi confronti?

Ogni persona che ho incontrato e’ stata estremamente disponibile nei miei confronti. Credo soprattutto perche’ queste tre etichette si relazionano a comunita’ molto vicine fra loro e c’e’ un alto grado di fiducia e rispetto fra di essi. Una volta intervistato Aaron Turner degli Isis fui in grado di contattare i membri dei Cave In dal momento che sarebbero venuti a suonare in citta’ qualche mese dopo, e proprio grazie al fatto che avevo intervistato Aaron mi dissero: “Si, certo, abbiamo gia’ sentito parlare di questo progetto, vogliamo assolutamente farne parte!” Una volta fatto cio’ fui in grado di contattare i Pelican e da loro arrivai via email fino a Steve Von Till perche’ appunto avevo gia’ intervistato persone che lui conosceva e ripsettava. Devo dire che sono tutte persone molto simpatiche, e’ solo che hanno sempre un sacco di impegni, cosi’ decisi di mandare loro dei sample di video e interviste, giusto per descrivere meglio la mia idea. Volevo sembrare seriamente intenzionato a portarla in fondo e quelle erano prove inconfutabili delle mie intenzioni. D’altronde avevo cercato di effettuare ogni singola ripresa nel modo piu’ professionale possibile facendo appello a tutta la mia esperienza accumulata fino a quel momento. Capii subito di avere a che fare con tutte persone “vere” e leali, non ho incontrato “prime donne” (“What you see is what you get” parole sue). La mia filosofia era: “Questo e’ il mio documentario ma questa e’ la vostra musica, quindi, indipendentemente da chi ha realizzato il lavoro, ognuno usi questo materiale per fare qualsiasi cosa voglia”. Questo modo di pormi ha sicuramente giovato alla creazione di un rapporto di mutuo rispetto e fiducia reciproca fra me e loro e io ho sempre cercato di tenerli informati man mano che il progetto andava avanti. Volevo essere sicuro che tutto andasse per il verso giusto, ho quindi trattato il tutto come se fosse il risultato di uno sforzo comune, anche perche’ altrimenti non avrei mai avuto accesso a informazioni esclusive come invece mi e’ stato permesso. Intervistai Steve Von Till in Idaho dove vive adesso. Entrai nel suo studio proprio mentre lui stava suonando nuovo materiale di Harvest Man e lascio’ che lo riprendessi. Fu una figata perche’ quel materiale era ancora inedito, usci’ poi nel disco “In the dark toungue”, ero davvero felicissimo!

Continuando a parlare di DIY…

E’ interessante notare che tantissime band che hanno deciso di vivere la filosofia DIY non fanno della musica la loro unica occupazione, come attivita’ lavorativa. I membri di queste band hanno tutti altri lavori oltre all’attivita’ da musicista, Stve Von Till nel documentario dice che la cosa piu’ importante per loro e’ cercare di lasciare un’eredita’ di quello che e’ stato il progetto musicale. Io penso che l’idea dietro a progetti che hanno come obiettivo principale quello di acquisire fama sia ben differente da cio’ di cui stiamo parlando, magari l’idea proviene addirittura da qualcun altro, da qualche industria che opera nel campo musicale e che sa quali sono i pezzi che finiranno in radio. Ma se l’intento principale e’ quello di potersi guardare indietro un giorno e dire “Wow, sono riuscito a realizzare qualcosa che mi rappresenta veramente, senza compromettere la mia integrita’ morale”, e’ difficile immaginare persone che sono partite dal solo scopo di fare musica da vendere alle radio per fare soldi e successo. C’e’ comunque una cosa che mi confonde in tutto questo: abbiamo esempi di band come Flaming Lips, Tool e Mastodon che pur essendo sotto una major riescono a mantenere il pieno controllo artistico del progetto anche se poi non sentiamo le loro canzoni alla radio perche’ sono troppo lunghe o non abbastanza commerciali. Quello che non capisco e’ come le major non riescano ad accorgersi che, lasciando a una band un po’ piu’ di liberta’ di controllare il proprio progetto, in maniera autonoma, ne trarrebbe un beneficio non solo la band ma anche la major stessa. Purtroppo pero’ queste case discografiche di solito operano con l’idea che la formula che propongono alle band sia l’unica valida nel mondo della musica, e continuano a mettere sotto contratto band che, secondo quella formula, venderanno dischi e permetteranno alla major di fare soldi.

Ho notato che all’interno dell’edizione limitata ci sono un sacco di oggetti oltre ai due DVD. C’e’ qualche ragione particolare o qualche curiosita’ a riguardo?

Buon aparte di questo documentario e’ stato girato all’interno di locali e rock clubs, volevo dare a chi compra l’edizione limitata qualche gadget speciale che possa ricordare il banco del merchandise che puoi trovare ai concerti. Quando vai a vedere concerti di Pelican, Isis o Neurosis e ti avvicini al merch table e trovi oltre ai dischi e alle magliette anche altri tipi di merch meno convenzionali, veramente belli e rari perche’ non si trovano a tutti i concerti. Questo era cio’ che volevo riprodurre io: prendere quell’idea e metterla all’interno dell’edizione limitata cosi’ che chi la compra possa avere qualcosa che solo lui ha. E’ come un vinile, ci sono sempre serie con colori limitati, e proprio perche’ stiamo comunque parlando di musica, volevamo riprodurre quell’idea.

Avete ancora avuto possibilita’ di proiettare il documentario in Europa? Come stanno andando i primi appuntamenti qi negli States? Avete in programma di venire in Italia per promuovere il documentario?

Abbiamo uno screening fissato in Portogallo la prossima settimana (Ottobre 2011, ndr..), il promoter del festival e’ veramente molto contento dell’idea quindi spero verra’ fuori qualcosa di interessante. E’ stato trasmesso al Supersonic festival (UK) la scorsa settimana, sfortunatamente non ho potuto essere la’, ma a leggere dai Tweet di diverse persone sembra sia andata alla grande. Il festival che abbiamo appena fatto a Oakland e’ stato molto pubblicizzato, posters, cartoline in ogni bar e coffee shop frequentato da ascoltatori del genere, abbiamo anche fatto un’intervista su un quotidiano che esce in East Bay ed ha aiutato molto. La gente e’ venuta al festival si per vedere le band Ides of Gemini, Evangelista e Oxbow, ma anche per vedere il documentario. Io volevo che la gente venisse a godersi il concerto e sarei stato molto felice se avesse prestato attenzione anche al film, mi sono stupito molto di vedere quel silenzio e quell’attenzione in tutto il locale quando veniva proiettato e li ho capito che probabilmente quello e’ il modo migliore per presentare una cosa come la mia, in un rock club con rock band che hanno ispirato il film. Speriamo di riuscire a venire in Europa per un tour promozionale la prossima primavera (2012 ndr…) che coinvolga un po’ di citta’ fra Francia, Germania e speriamo di riuscire a mostrare il nostro lavoro anche in Italia. Stiamo lavorando soprattutto con la Francia, avremmo l’idea di proporlo come abbiamo fatto a Oakland, ma sarebbe stupendo anche poterlo proiettare direttamente in qualche cinema. Basta che ci sia qualche fan di questa musica che vuole vederlo, magari in Italia se qualcuno fosse interessato ci piacerebbe molto organizzare qualcosa.


Alessio Corsini

mercoledì, gennaio 18, 2012

Blood, Sweat + Vinyl: DIY in the 21st Century / Report + Interview



Quanto segue non ha la presunzione di essere ne un live report ne un’intervista di quelle che si leggono comunemente sulle riviste o sui siti di settore. Vuole essere solo un contributo portato all’attenzione di lettori italiani su una gran bella realta’ che chi scrive ha conosciuto durante un soggiorno in California, nella citta’ di San Francisco. Non essendo un giornalista e non avendo mai fatto un lavoro del genere, mi limito a raccontare brevemente un concerto e a trascrivere parola per parola quanto emerso da una lunga chiacchierata con il regista di questo splendido documentario

Il 15 Ottobre 2011 ero all’Oakland Metro Operahouse, a due passi da San Francisco per la premiere del documentario realizzato da Kenneth Thomas intitolato “Blood, sweat + vinyl: the DIY in the 21st Century”. Mi presento al locale con largo anticipo dal momento che la protesta “Occupy Oakland” mi aveva fatto allontanare da downtown con una certa rapidita’. Dopo un’oretta di chiacchiere con dei ragazzi provenienti dall’Oregon, entriamo e ci troviamo davanti il merch desk piu’ ricco e appetitoso che abbia mai visto! Le tre etichette coinvolte nel documentario (Neurot, Hydea Head e Costellation) mettevano in mostra tutti i loro lavori piu’ belli e interessanti, perdersi in quel mare di dischi non e’ stato assolutamente difficile.

Aprono la serata gli Ides of Gemini, freschi di firma per Neurot recordings. Tempi dilatatissimi, voce etera femminile, atmosfere rarefatte per un set davvero molto intenso e coinvolgente. Seconda band: Oxbow. Autori di un set acustico al centro del locale prima di un concerto memorabile, me li avevano sempre descritti come una live band di altissimo livello, ma mai mi sarei aspettato una cosa del genere. La loro idea di musica, trasmessa dal vivo, e’ qualcosa di unico e indescrivibile. La serata si conclude con il set dei canadesi Evangelista che purtroppo non sono riuscito a vedere data l’ora tarda e la necessita’ di trovare un mezzo per poter tornare a casa.

Fra una band e l’altra, proiezione di ognuna delle tre parti del documentario. Tutti seduti in silenzio ad ascoltare interviste, report e stralci di concerti di band che hanno segnato (e stanno segnando) un epoca.
Nei giorni successivi ho incontrato Kenneth in citta’ e ci siamo fermata a parlare a lungo del suo progetto, quanto segue e’ cio’ che e’ emerso dalla chiacchierata....


Hi Kenneth! Whose was the idea of this project, how many people are involved into. How much time did it take you to have all these interviews and how long was to put everything together.

Basically I came out with the idea, it came to me because between 2000 and 2005 there were a lot of music documentaries being made mostly about music of the past like Punk rock music, or film about music from the seventies or the eighties made for band such as Black Flag, Ramones and about al the people involved in that kind of movements, and for me it’s very inspirational but at the same time nobody in the documentary was talking about how they had inspired people today. This punk rock idea of starting your own record label and not trying to be signed by a major label basically doing everything yourself otherwise is not called DIY people like Neurosis stuck doing that, people like Isis were doing that, people like Godspeed you, Black Emperor! are doing that and I basically felt like something needed to be made to talk about what was happening today with those punk and DIY ideals. In my opinion bands like Neurosis, Isis and Godspeed you black Emperor! and the bands under their labels are just as important to the evolution of the music as band such as Black Flag and Circle Jerks, all these bands of the past of which have talked about, left and right, and now it was time that someone talks about Neurosis and the others, I should be the one to do it! (laughts...) Things change and I hate the idea that people forget about all these awesome bands.
I got the idea in October 2005, I was looking at my records and I thought “Wow I have so many releases of Neurot, Hydrahead and Costellation.” Each of these three labels has his specific aesthetic, look, and there are a lot of differences as far as like the music that they put out, but they all operate under the same sort of philosophy. It just happened to be that the band Pelican was playing in Los Angeles that night and I was living in LA too. I run down to this tiny, dark, smoky little bar called The Mountain Bar in Downtown Los Angeles and I met Larry, the drummer of Pelican and I just pitched the idea of the documentary, and he answered me that Aaron Turner was there, so I could talk directly to him, I mailed him the idea and he reply me “Great!” I purposes him to shoot a footage of the Isis concert in Los Angeles the week later, and he agreed. I told him: “I will film your next show on November 5th 2005 with 3 cameras and a soundboard recording and you guys can use the footage for whatever you want as long as I’ll use it for the documentary and you agree to an interview. And he said “Yes”. Then Isis used that footage for a DVD released the next year called Clearing the eye which is basically a bunch of concert footage, and then I sat down with Aaron and the whole thing started from there.

The subtitle of your documentary is “The DIY in the 21st century”. We all know that these three labels keep their jobs under the DIY philosophy but we know that they became landmarks for this kind of music in the latest years as well. How can they combine these two aspects and how did they relate themselves to you?

Everybody was extremely accommodating and I think part of it is because these labels are very tight communities, there’s a high degree of trust and integrity and once I interviewed Aaron Turner from Isis then I was able to contact the guys from the band Cave In, because they were in town a couple of months after I interviewed Aaron and because I interviewed Aaron they said “Oh, well we heard about this thing, we’re cool with that!” Once I did that, I was able to contact Pelican and they remembered, and from there I was able to contact Steve Von Till just through email but because I’d already interviewed people who he knew personally and respected. They’re all really nice but they all have very busy schedules and I was able to show them some video samples and some interview samples as a way of saying this is my idea. I’m really serious about it and this is my proof; look at this samples there is Aaron Turner talking there is Isis play, shots of Pelican play. It was important for me to shoot everything as professional as possible just because my background is being a documentary camera person in general, so that’s just how I shoot and so I think that what I was doing was gonna be professional. Moreover because I had already talked to people that they respected and so it was easier for them basically to give me a chance and everyone makes very heavy and intense music. They’re all very nice and accommodating and there’s no ultimate personalities, so what you see is what you get, they’re not trying to hide anything. Because my philosophy was: “This is my documentary but this is your music so as far as who owns the footage I say we both can use the footage for whatever we want”, so letting them know that is what I felt about the project from the beginning developed a mutual respect and trust and I also let them know every step of the way what was going on. I wanted to make sure that everything was alright and I treated it as a cooperative effort; the whole way through and because of that I was able to get some exclusive access to things I wouldn’t have gotten otherwise. I interviewed Steve Von Till up in Idaho where he lives, got to go inside his recording studio, he plays some Harvest Man stuff and he let me just videotape, it was cool because it was stuff that will soon be on the album “In the dark tongue” so that was really exciting.

Keep talking about DIY…

It’s interesting because a lot of these bands who choose to live and play under the DIY philosophy who make this choice basically don’t make a full living at this kind of work. All these bands have to have other jobs besides the musicians and there’s a Steve Von Till quote in the documentary where he says that the most important thing for them is the legacy they leave behind and I think that is the common idea behind people who subscribe to the DIY philosophy is because if you wanted to make music that became popular you’d be operating under a different idea of how to create music and that different idea would be somebody else’s idea like that would be a decision coming from a corporate media head saying this is the type of music that sells records this is the type of music that you’ll hear on the radio and if you are concerned with looking back at your life when you get older and saying “Wow, I really made something worthwhile” it’s hard to imagine people who made music specifically to be popular and specifically to be on the radio looking back and saying “Wow I did something that really had a lot of integrity and really came from my soul” and I think as Steve Von Till said the most important thing is the legacy. The thing that was confusing to me is that there are bands like Flaming Lips and bands like Tool and Mastodon that are very rare because they’re bands that are pretty much in full control of their artistic direction and whatever music they want to make and their music is not played on popular radio because their songs are too long or too weird but for some reasons they’re on major labels. What I don’t understand is how can more major labels don’t see that Mastodon Tool and Flaming Lips sell a shit load of albums, if major labels give the artists a little more freedom to control and with these examples it can totally benefit the labels but for some reasons major labels still operate under the idea this is the music formula that works, these are the bands that we want to sign because they’ll write the music that will sell records, make us money.

I noticed that there is a lot of stuff inside the box set for the limited edition. There’s some particular reason? Why did you decide to put everything together?

So much of this documentary was made inside live music venues, inside rock clubs and I wanted to give people who bought the limited edition box set some special items that reminded them of the merchandise table at the rock club because when you go to see a band like Pelican or Neurosis or Isis you go to their merchandise table they’ve got t-shirts and goodies but Isis for a while had a limited edition toy, Neurosis had … all these bands had weird little items that they sell that are really cool and really rare because you don’t see it all the time and I wanted to do that: take that idea and put it into the limited edition box set so when it sells out and then more are made you still have the CDs and probably the booklet and the other stuff was specific for the limited edition. It’s like vinyl, there’s always a limited of colored records. We wanted to do the same thing for here because this is all about the music.

Have you already had any European screening yet? How are the first screening going here in US? Any plans to come to Italy to promote your documentary?

Portugal is happening a week from now (October ndr…) but the promoter of that festival is really excited about showing this movie so I’m assuming that it’s gonna be great and Supersonic (UK) happened last night and unfortunately I could not make it but I saw a couple of Twitter feeds where people were really excited about it which is the response I was looking for that people see it as something important that needed to be made. The festival that we just did in Oakland we did a lot of advertising, a lot of posters all over town, postcards, every bar and coffee shop that we could think of where people who like this kind of music would go, we got an interview in the East Bay express which is a local newspaper and that all helped a lot and people were there to see the bands, which were Evangelista, Ides of Gemini and Oxbow but they were also there equally to see the film. I wanted people to come and see the music and it’d be great if they paid attention to the film but when we played the film everybody was dead quite and was paying a lot of close attention and I was very excited about that because I realized that was the best way to show the film, in a rock venue with other bands that inspired the making of this film, and everyone was appreciating the bands and the film at the same time. So we’re hoping to continue that next spring. In April we’re planning on doing a tour that involves multiple cities in France, in Germany, and we’re hoping to get to Italy, we’re working on that as well so like I said what we’re planning in France is similar to what we’ve done here, but it’ll also be great to see the movie screened in cinemas and as long as the fans of this music know that this movie has been made I think that people will really dig seeing it so we’re gonna be in the neighborhood, so if people in Italy want to see it we can set something up.

-Alessio Corsini

giovedì, novembre 11, 2010

RUGGINE (Intervista)




Francesco Rossi (basso), Simone Rossi (chitarra e voce), Paolo Scalabrino (basso) e Davide Olivero (batteria) sono i Ruggine, vengono dalla provincia di Cuneo e sono autori di un disco-bomba dal titolo che è tutto un programma, Estrazione Matematica Di Cellule.
L’intervista che segue ci dà la possibilità di approfondire con tre di loro alcuni aspetti inerenti alla loro musica e al loro modo di intendere le cose…


Ciao ragazzi, benvenuti su Neuroprison. Per prima cosa vorrei sapere qualcosa di più sul monicker: perché proprio “Ruggine”?

Davide: Non ha un significato particolare…Anni fa ci siamo trovati a dover cercare urgentemente un nome al gruppo in vista di un concerto e "Ruggine" aveva un suono che ci piaceva. Sicuramente era migliore di altre soluzioni che avevamo trovato, con il tempo abbiamo iniziato a farci l'abitudine e non abbiamo più voluto cambiarlo. L'idea era venuta dal nome di un disco dei Gea (gruppo bergamasco), c'era la foto della copertina su un giornale di musica e ci piaceva la scritta "Ruggine", non so perchè ma ci aveva colpito.

Simone: Ruggine è stata una scelta dettata dall' esigenza di possedere un nome. Non ha un senso specifico ma ci piace per il "suono " che crea, oltre che alle sensazioni legate al tipo di musica che facciamo. Al giorno d' oggi non potrebbe esistre un altro nome per noi, RUGGINE e basta!


Estrazione Matematica Di Cellule è un debutto di una maturità e di una coesione notevoli. Siete riusciti ad ottenere un bilanciamento perfetto tra la complessità strumentale del rock matematico, la ferocia dell’hardcore e la spietatezza del noise-rock, senza mai perdere di vista le emozioni. Brani come "Cadillac", "Mangio Il Sole Con Gli Occhi", "Fujiko" e "Thallium III" sono ferite aperte che fanno male, chiodi conficcati nella pelle, il suono della provincia malata. Penso siate ampiamente soddisfatti del risultato ottenuto…

Davide: Ti ringraziamo, forse quello che hai detto non lo pensiamo neanche noi…
Quello che volevamo all'inizio era fare un bel disco tenendo conto anche dei tempi che avevamo a disposizione e della disponibilità economica che avevamo (poca). A lavoro finito possiamo dire di essere soddisfatti. Il risultato finale ci piace e quello che volevamo trasmettere penso si possa cogliere. E' la cosa più importante e non è affatto scontata.

Paolo: Siamo ampiamente soddisfatti del disco, e siamo ancora più soddisfatti di quello che siamo riusciti a creare in questi anni. Estrazione Matematica Di Cellule, il nostro primo disco a tutti gli effetti, è stato solo il culmine di un lavoro che racchiude in sè un bel pezzo della nostra storia. Penso sia come aver chiuso un cerchio dal quale eravamo partiti quasi per caso. L’aver registrato un disco è stato un “traguardo” che ci ha dato fiducia, ci ha fatto rendere conto delle nostre potenzialità.

Simone: Estrazione Matematca Di Cellule è stato il risultato di anni di ascolti, concerti ed esperienze che hanno forgiato una certa nostra personalità. Sono contento perchè, i nostri pezzi, hanno sempre avuto una linea ed una tematica costante nel corso degli anni. Quando riesci a crearti un suono ed una personalità musicale, crei un punto di riferimento in quell'ambito; in questo caso associabile ai Ruggine.


In sede di recensione ho scritto che la vostra musica è “costantemente in bilico tra rumore e melodia, tensione e raffinatezza, urgenza comunicativa e cerebralità”. Condividete questa analisi? Come nasce un brano dei Ruggine?

Davide: Il problema è che non lo sappiamo neanche noi di preciso. A volte i pezzi saltano fuori quasi per caso e li terminiamo in fretta. Nella maggior parte dei casi però il processo è piuttosto lungo, ci lavoriamo per molto tempo e facciamo diverse modifiche fino a trovare la soluzione che secondo noi è la migliore. Spesso l'afghano ci da una mano.

Simone: Un brano dei Ruggine nasce, il più delle volte, da situazioni inaspettate dove tutti e quattro riusciamo a creare un riff quasi immediato rispetto alla colonna portante del pezzo. Ci sono pezzi che nascono e terminano in un lasso di tempo relativamente breve, mentre invece per altri è già successo che ci andasse molto di più.

Paolo: Condivido la tua analisi, come condivido la risposta di Davide e Simone.
La stesura dei brani non è mai un processo “matematico”. Ci sono volte in cui sei alle prove e il tutto fila liscio come l’olio, i pezzi nascono in maniera naturale. Altre volte invece ci si dilunga e ci si perde dentro ad un riff senza riuscire a far quadrare il brano.


La produzione di Manuel Volpe presso il Redhouse Recordings di Senigallia è stata importantissima per la riuscita del disco. A livello strettamente sonoro, ad esempio, la differenza tra il full length e il precedente Ep omonimo (recensione) è notevole. Credo che Manuel abbia fotografato fedelmente ciò che sono i Ruggine oggi: una band potente, chirurgica e dall’ impatto tremendamente live. Com’è stato lavorare con lui? Vorreste rinnovare questo sodalizio in futuro?

Davide: E' stata sicuramente un'esperienza molto bella e formativa. Per l'aver lavorato con lui e per aver avuto la possibilità di farlo al Redhouse. Manuel è una persona che già avevamo conosciuto prima di registrare, avevamo fatto dei concerti con il gruppo con cui suona, i Bhava, e quindi era stato più facile lavorare poi con lui in studio. Soprattutto per il discorso dell'impatto live: è una cosa a cui noi tenevamo molto e Manuel è stato bravissimo in questo.

Paolo: Penso che Manuel abbia vissuto molto intensamente e seriamente i giorni delle registrazioni, come i giorni che la precedevano. Il suo interesse nei nostri confronti è sempre stato forte, tanto da proporci di registrare con lui al Redhouse.
Tutto questo è stato solo un vantaggio per noi, visto che avevamo voglia di registrare i brani nuovi ed allo stesso tempo registrare nuovamente i brani a cui più tenevamo dell’Ep. Prima di pensare a una nuova collaborazione dobbiamo mettere insieme i pezzi che andranno a comporre un nuovo disco, cosa sulla quale ci stiamo concentrando maggiormente.

Simone: Stiamo parlando di uno studio di registrazione professionale, che valorizza tutto ciò che riguarda il gruppo. Siamo stati fortunati ed entusiasti di lavorare con Manuel, in quanto lui ha colto in pieno il senso e quello che volevamo ottenere. Sicuramente in futuro, se ci sarà la possibilità, saremo lieti di poter lavorare ancora con lui.


Ai più attenti osservatori dell’underground italico non sarà sfuggita la vostra provenienza, la zona di Cuneo. Sembra proprio che quella provincia sia diventata l’epicentro del nuovo “noise-rock made in Italy”. Cosa sta succedendo lì? A cosa di deve tutto questo fermento?

Davide: Non saprei dirti, ci conosciamo tutti ed in generale ciò che ci accomuna è che ci crediamo davvero, indipendentemente da quello che facciamo. E' vero, ci sono tanti gruppi validi nella provincia di Cuneo. Penso ai Fuh, il gruppo al quale più di ogni altro ci sentiamo legati, agli Io Monade Stanca, ai Treehorn, ai Dogs For Breakfast, ai Fagetz, ai Three Light Noise.
In ambito meno "rumoroso" e più cantautoriale ci sono La Moncada e Matteo Castellano (una delle cose più belle che mi sia capitata di ascoltare in assoluto). Presto si faranno conoscere anche i La Malora e gli HuB.
Ed infine ci sono i Cani Sciorrì ed i Dead Elephant, i gruppi dai quali in provincia è partito un pò tutto. Sì, alla fine siamo giusto in due o tre.

Paolo: Questa domanda non può che farmi davvero piacere. A mio avviso è molto importante che al di fuori della “granda”ci sia gente davvero interessata a quello che succede qui, è davvero gratificante.
In realtà qui in provincia, a parte i gruppi, non c’è un gran fermento “musicale”. I locali dove suonare sono davvero pochi, ma in particolare è la gente il più grande assente di questo momento. Sembra quasi svanito l’interesse per la musica live, non per le cover band o le orchestre liscio ovviamente, ma per i gruppi che vanno avanti da anni cercando di lasciare qualcosa di proprio, un qualcosa che viene espresso tramite una canzone oppure ad un concerto per esempio.
Forse tutti questi gruppi sono nati anche in contrapposizione ai limiti della provincia, riuscire a farsi apprezzare da persone che vivono a centinaia di chilometri di distanza da noi non può essere che uno stimolo a fare sempre meglio.

Simone: Per quanto riguarda la scena di Cuneo, tutto è nato dall' avvento degli Elephant Man che hanno gettato il sassolino nello stagno dando il via a tante nuove situazioni e realtà. Qui se ne sentiva il bisogno; ed a oggi sono contento che si sia creato tutto questo. Ci tenevo a sottolineare che tra tutti vi è una grossa collaborazione, in quanto si è cresciuti insieme condividendo tante esperienze...


Siete nati come terzetto (chitarra, basso, batteria) ma successivamente avete ampliato la line-up con l’ingresso di un secondo bassista. Durante l’ascolto di Estrazione…mi sono reso conto che la presenza dei due bassi e le tessiture da essi create concorrono a dare un dinamismo ritmico e armonico molto particolare ai brani del disco…

Davide: E' un pò quello che volevamo ottenere. L'idea di avere due bassi è una cosa che a noi piace molto, che in qualche modo ti permette di avere un impatto particolare, soprattutto dal vivo. E' anche un modo per poterci distaccare da altri gruppi ed avere maggiori stimoli per rendere più personale ciò che facciamo. Non è sempre semplicissimo, ma è comunque sempre meglio che pulire il bagno di Camerana (chi vuole capire, capisca).

Paolo: La scelta dei due bassi è stata tanto fortuita quanto interessante.
Nel corso degli anni io e Francesco siamo riusciti ad ottenere ognuno il proprio suono, senza coprirsi l’uno con l’altro.
Abbiamo trovato la giusta “miscela” di suono per rendere tutto il meno banale possibile. Francesco ha un suono molto più impuntato sulle basse, io sulle frequenze medio alte mentre Simone ricopre tutta la parte di alte mancanti. In questo maniera riusciamo a coesistere molto bene. Anche se mi sento di dire che siamo la rovina di ogni fonico.

Simone: L' idea dei due bassi, per quanto fosse strana, ci ha subito intrigato e soddisfatto musicalmente. Volevamo fare qualcosa di nuovo, anche se all'inizio non è stato perchè si trattava di farli risaltare e fare in modo di creare due suoni ben differenziati con una ben definita personalità sonora. Tutto questo lavoro si sente, come sottolineavi tu, in Estrazione Matematica Di Cellule, ci piace!


Parliamo dell’aspetto puramente lirico della vostra musica. Chi si occupa della scrittura dei testi e cosa vi ispira maggiormente nella vita di tutti i giorni?

Paolo: I testi delle canzoni li scriviamo principalmente io e Simone.
Chi si sente più ispirato a scrivere un testo per un particolare pezzo lo fa, poi insieme ci troviamo per inserirlo nella canzone, oppure per valutare eventuali arrangiamenti. Credo sia un buon metodo lavorare a due in questa parte della composizione.
Per quel che riguarda il contenuto dei testi, si entra in un campo minato. Quando scrivo non penso mai particolarmente ad un tema, scrivo quello che sento, quello che vivo, domande e tutto quello che più mi colpisce nella vita di tutti i giorni. Tutto questo comprende momenti di spensieratezza a momenti di semplice voglia di gridare un qualcuno, un qualcosa. Penso che tutto ciò emerga platealmente nel disco, c'è un bisogno reale di smuovere qualcosa, e soprattutto il bisogno di poter raccontare le proprie sensazioni che crescono.


Fra le vostre influenze principali citerei band come Don Caballero, Dazzling Killmen, Uzeda, Sottopressione e Massimo Volume. Siete d’accordo? Avanti con i dieci dischi da isola deserta…

Questi sono sicuramente tutti gruppi che ci hanno dato tantissimo. Alcuni probabilmente sono tra i nostri gruppi preferiti e quindi è innegabile che ci abbiano influenzato. Chi più, chi meno. Sta roba dei dieci dischi è difficilissima.
Questa può andar bene:

ANGELI - Voglio Di Più
BURIAL - Untrue
DEFTONES - White Pony
DON CABALLERO - What Burns Never Returns
GONG - Angel's Egg
KING CRIMSON - Red
MASSIMO VOLUME - Lungo I Bordi
ISIS - Panopticon
SHELLAC - At Action Park
TORTOISE - Tnt


Estrazione Matematica Di Cellule è scaricabile gratuitamente dal sito della Escape From Today. Sarebbe interessante conoscere il vostro punto di vista sulle moderne pratiche di fruizione della musica (streaming, download, You Tube, MySpace, etc.)…

Simone: Per chi come noi, suona live e cerca di fare dischi, sicuramente è un grande appiglio il fatto di poter proporre i propri pezzi e molto altro. Mi fa piacere che, quando si è in giro a suonare, c'è qualcuno che ci dice che ha già scaricato i pezzi, ma vuole comunque comprarti il disco. Questa è la prova che se piaci a qualcuno, questo non si limita a scaricare i tuoi pezzi, cerca qualcosa di concreto ed è questo che ci fa amare questa avventura....

Davide: Come tutte le cose dipende sempre dall'uso che se ne fa. Per noi che i dischi li vendiamo principalmente durante i concerti, è una cosa positiva che qualche persona possa conoscerci in altri modi, magari anche attraverso internet. Se poi dopo si comprano anche il disco diventa come aggiungere la mozzarella al kebab. Fantastico.


Come procede la vostra attività live? Avete già intrapreso un tour per supportare il disco?

Davide: Qualcosa è uscito, poi nel frattempo c'è stata l'estate di mezzo e come sempre purtroppo siamo rimasti fermi un pò.
Abbiamo da poco suonato ad Arona, ora Saluzzo, Milano e poi sicuramente Torino. A breve speriamo di suonare in altre parti d'Italia e di fare un mini tour anche all'estero, assolutamente.

Paolo: Un tour vero e proprio non siamo riusciti a farlo, abbiamo fatto delle date sì, ma ci piacerebbe riuscire a presentare il disco in più parti d’Italia. Visto che cantiamo in italiano (e non sono molti i gruppi che lo fanno) dovremmo provare a sfruttare al massimo questa cosa cercando di muoverci il più possibile nel nostro paese. Poi logicamente se c’è da suonare all’estero ancora meglio, ma penso che questa possa essere un po’ la nostra strada.
La più grande difficoltà ora resta il tempo che si riesce a dedicare alla ricerca di posti dove suonare. Tutto ciò non è affatto facile dal mio punto di vista, il suonare non ci mantiene anzi, spesso ci si rimette pur di suonare fuori dalla nostra zona. Le cose sembrano andare così: o hai un’agenzia che si occupa interamente nella ricerca dei tuoi live, della promozione eccetera, oppure tutta quella parte rientra nell’autogestione della band che non sempre si riesce a seguire al meglio.


Viviamo in un’epoca di riciclaggi impietosi e revivalismi vari, in cui essere originali è un’impresa ardua e spesso ciò che più conta è l’hype che si è creato intorno a una band più che la qualità effettiva della sua proposta. Domanda da 100 milioni di dollari: quale pensate possa essere il futuro della musica?

Davide: Questa è una frase che qualcuno di noi ha messo sul MySpace della Canalese*Noise Records:
" I tecnici del suono sono scoraggiati. Hanno passato la maggior parte del ventesimo secolo a sviluppare splendidi suoni stereofonici e adesso si trovano a dover lavorare con un atroce sistema di compressione del suono chiamato "file". La convenienza è uno schifo."
Thurston Moore

Paolo: Credo che finche ci sarà la vita umana su questo pianeta ci sarà gente che avrà bisogno di esprimere le proprie idee attraverso ogni forma d‘arte, poi che ci sia qualcuno disposto a farle proprie è un’altra storia.
L’importante è non perdere mai i propri punti di vista, senza farsi addormentare.

Simone: Sicuramente il fatto che si stanno creando realtà come quella nostra di Cuneo, insieme a tante altre, si può associare al fatto che si è arrivati ad un punto in cui la gente ha ceduto ed ha bisogno di qualcosa di diverso. Nonostante questo, in Italia, sono sempre meno i posti che fanno suonare o che propongono qualcosa di interessante. Ci sono band bravissime ed originali che trovano spazio e consensi all'estero e non qui. Vedo questo cammino ancora lungo e tortuoso, ma penso che qualcosa cambierà perchè deve cambiare!


In passato avete condiviso il palco con Il Teatro Degli Orrori, una band che non ha certo bisogno di presentazioni. C’è chi sostiene che si siano ormai “venduti”, c’è chi invece continua ancora ad apprezzarli incondizionatamente. Fate parte anche voi di uno di questi due schieramenti?

Davide: Noi non siamo mai stati dei "fan" accaniti del Teatro Degli Orrori; alcuni di noi li ascoltano, altri meno.
E' secondo noi un gruppo che merita rispetto e sicuramente il termine "venduti" accostato ad un gruppo come il loro mi suona un pò fuori luogo.

Paolo: Quando abbiamo suonato insieme non mi hanno affatto dato l’impressione di essersi venduti. Ho visto una band che quando è salita sul palco ha fatto il suo show, ha proposto un live davvero “teatrale” e soprattutto con un impatto potente e compatto. Poi sono una band che viene da una cosa chiamata “One Dimensional Man”, penso sia gente che ha lasciato il segno, e sia stato e continua ad essere motivo di orgoglio, del panorama “rock” nazionale.


Siamo arrivati in dirittura d’arrivo, grazie mille per la disponibilità e per il tempo che ci avete concesso. Vi rinnovo i complimenti per il disco e…concludete come meglio preferite.

Grazie mille a te/voi per l'intervista e ancora grazie per i complimenti al disco.
A presto.


Marcello Semeraro

domenica, ottobre 24, 2010

INFECTION CODE (Intervista)



Dopo la recensione di Fine abbiamo scambiato qualche impressione con il frontman Gabriele in modo da saperne di più sullo stato attuale degli Infection Code, eccone il risultato:


Ciao Gabriele e bentrovato su NeuroPrison. Sono passati tre anni da "Intimacy" e anche stavolta vi siete presi il giusto tempo per mettere a fuoco le idee, trovare la giusta via ed incanalare il tutto attraverso dei nuovi brani che vedono ulteriormente espandere il vostro spettro sonoro, parlaci un pò di quel che è avvenuto in questo lasso di tempo....

Grazie per aver ospitato ancora una volta , sulle pagine di Neuroprison la nostra bestia. Sono passati tre anni in cui abbiamo impiegato il nostro tempo per suonare un po’ in giro promuovendo “Intimacy” e poi per gettare le basi su un nuovo album. Non siamo stati troppo a pensare su come dovevamo evolvervi/involverci ma abbiamo risposto all’urlo disperato e straziante della nostra emotività artistica che ci chiedeva di creare nuove canzoni. Dopo circa un anno e mezzo di lavoro è uscito “Fine”.


Nel nuovo album a mio avviso l'elettronica riveste un ruolo ancor di più fondamentale per il risultato finale a cui siete giunti, le atmosfere sono sempre oscure ma senza cmq intaccare l'identità sonora della band si respira un aria diversa, oserei dire frutto della definitiva maturità raggiunta....

Penso che l’elettronica e la sperimentazione associata ad essa nel creare nuove atmosfere, abbia rivestito un ruolo decisivo, come pure l’uso della chitarra e della voce. Sono cambiate molte cose a livello sonoro in questi ultimi anni all’ interno della band. L’elettronica, se prima era solo un abbellimento finale ora fa parte della nostra identità stilistica e guida le sorti di una canzone. Insieme ad un nuovo utilizzo della chitarra vogliamo rendere le composizioni più oscure e malate e giocare molto su feedback,rumori, piuttosto che sul riff singolo.


Pensate con FINE di essere arrivati ad una sorta di svolta nella vostra carriera artistica, intendo dire se alla luce di questo disco ci potranno essere in futuro delle nuove vie espressive o anche scelte stilistiche piuttosto radicali?

In fase di composizione ci siamo prefissati solo un punto: che “Fine” doveva essere un punto di svolta artistico. Volevamo staccarci dalle cose fatte in precedenza in modo drastico, netto e deciso. Dare un taglio al passato per avventurarci in cose nuove che ci potessero regalare emozioni nuove. Siamo partiti come band Death-Thrash e ci siamo un po’ stancati di essere visti come un gruppo di metal estremo. Vogliamo continuare ad essere estremi, ostici e fastidiosi ma esprimendoci con altre sfumature sonore. Cercando comunque di mantenere la nostra identità , che, e non vorrei peccare di presunzione, è unica e sempre mutevole. Qualsiasi cosa faremo, saremo sempre noi.


Per quanto riguarda la produzione avete avuto modo di poter contare sull'aiuto di Eraldo Bernocchi, come vi siete trovati a lavorare con lui e quanto la sua visione ha influito sui suoni del disco?

Già da i tempi di “Intimacy” con Eraldo ci eravamo sentiti per una possibile collaborazione e quando abbiamo finito di comporre le canzoni di “Fine” non abbiamo esitato neppure un minuto. Ci siamo sentiti e gli abbiamo chiesto se voleva mixare e produrre il disco. Volevamo dare un tocco visionario e fastidioso ai suoni di “Fine” con un taglio molto poco metal/rock e più sperimentale. Volevamo avere una produzione distante dai classici dischi post hardcore/metal/industrial e penso che lui sia stata la persona giusta per creare questo magma sonoro. Lui è stato entusiasta di partecipare attivamente a questa avventura e si è dimostrato una persona molto eclettica con una cultura pazzesca ed una capacità artistica e musicale mostruosa. Non siamo noi di certo a scoprire le immense doti di Bernocchi. Ci siamo sentiti lusingati che abbia voluto essere della partita. E’ venuto fuori qualcosa di strano, unico, fastidioso e permettimi, stupendo. Un esperienza che ha lasciato li segno anche sui solchi del disco.


Sono rimasto molto sorpreso dalla cover di "Cupe Vampe" dei C.S.I., ti confesso che prima di prestarmi all'ascolto ero molto scettico sul possibile risultato ed invece mi sono dovuto ricredere alla grande. In passato ci avevi detto di apprezzare la band nostrana, perchè la scelta è ricaduta proprio su questo brano?

Buona parte della band ama ciò che hanno fatto questi personaggi, prima con CCCP e poi con CSI. Sono tra i nostri ascolti preferiti. Insieme a pochi altri gruppi mainstream sono riusciti a creare uno spazio enorme tra musica rock con un certo peso specifico e rock da intrattenimento. La loro è pura poesia. Che sia elettrica che sia acustica i CSI ci hanno regalato vere perle immortali di enorme ed incredibile espressività musicale. Giovanni Lindo Ferretti non un cantante nel senso stretto del termine. Ma è il migliore in assoluto. Le sue poesie, la sua interpretazione, il suo essere così poco frontman e così tanto icona lo rendono unico. Che si condivida ciò che scrive e ciò che pensa oppure no. Si esprime in un modo che non può non colpirti. Volevamo rendere omaggio ad una delle più grandi band italiane di tutti i tempi. Volevamo farlo a nostro modo. Scegliendo una delle canzoni più belle ed evocative che abbiano mai scritto. E’ stata una scommessa. Ma già prima di stravolgerla sapevamo che l’avremmo vinta. Perché lo abbiamo fatto con il cuore e l’anima in mano.


Tutti i pezzi dell'album hanno una spiccata personalità, ma in particolare sono rimasto affascinato da Grey, che come ho scritto in fase di recensione mi ha portato alla mente i grandiosi ed appunti grigi Neurosis di eye of every storm, e penso si possa forse considerare come la più grossa sfida da parte vostra dal punto di vista artistico fino ad ora, sei d'accordo?

“Grey” è nata forse per prima . E’ la prima figlia di questo nuovo matrimonio. “Grey” era acerba. All’ inizio un po’ inconcludente e poco rassicurante. Non ci convinceva. E non ci piaceva. Abbiamo provato ad allevarla, accudirla, proteggerla, educarla ad un suono più sperimentale con tonnellate di effetti, feedback e stravolgimenti stilistici. E’ il pezzo che ci ha fatto sbattere di più. Alla fine i nostri sforzi sono stati premiati. G”rey” è cresciuta. Forte, con personalità, carattere ed ora può camminare da sola. Farsi strada da sé. Superare ostacoli e problemi. Invecchiare in pace. Non abbiamo pensato ai Neurosis, ne tanto meno ad un album monumentale come “Eye of every storm”. Forse il nostro inconscio è intervenuto e ci ha giocato questo scherzo. I Neurosis sono stati i nostri padri e probabilmente questo ha esercitato una grande influenza anche su “Grey”.


Soffermandoci sui testi dell'album è facile notare quanto i riferimenti cromatici siano una costante metafora del mood che si respira nei vari brani...quali temi vengono trattati?

Ho voluto giocare con i colori raccontando delle storie che non sono collegate tra di loro. Potrebbe essere un concept sui colori ma non lo è in senso stretto. Ho voluto raccontare storie molto personali e pensieri trattandoli come se fossero colori. D’altronde la mia vita , se volessimo sintetizzarla e riassumerla giocando con la cromaticità del mondo si colorerebbe con il nero, il bianco, il grigio ,il rosso ed il viola che in “Varnish” rappresenta l’arte che prende vita ed uccide l’artista, oppure in “Painting my life” di un pittore che si fa beffe della morte raffigurandola con toni e colori allegri e sgargianti, oppure in “Collapse of the red side” dove l’ideale di un uomo affoga in un bagno di sangue e bugie.

Parlaci un pò del suggestivo artwork, chi ne è l'autore e cosa rappresenta?

L’artwork, come per tutti i nostri lavori, è stato creato, pensato ed eseguito da Enrico, bassista e creatore di rumori dietro tonnellate di aggeggi infernali. È una sua personale visione messa su tela di ciò che la musica di “Fine” gli ha suggerito. Le sue opere sono molto astratte e personali e racchiudono perfettamente la claustrofobia ed il senso di disagio che la musica degli infection code descrive e decanta.

In occasione di FINE avete anche un nuovo accordo discografico, con il ritorno alla NEW LM Records...

L’accordo con la NEW LM è cosa antica. Li conosciamo dai tempi del nostro secondo album, che produssero. Poi c’è stata la parentesi con la Beyond prod che ha fatto uscire “Intimacy” ed ora rieccoci qui , nuovamente con la NEW LM. Dopo la rottura con la Beyond (peraltro in modo amichevole) non ti nascondo che abbiamo cercato in giro un etichetta, anche e soprattutto estera che ci potesse supportare. Abbiamo fatto ascoltare l’album in giro a molte case discografiche ma nessuno se le sentita di scommettere su di noi. La NEW LM è stata ancora una volta, la nostra ancora di salvezza. Sono piccoli , ma appassionati e sanno ciò che vogliono. Ma soprattutto fanno ciò che dicono.


Per quanto riguarda l’aspetto live cosa avete in programma? C'è già un tour per la promozione del disco in arrivo?

Non parliamo di tour. Non usiamo paroloni. Sarà molto dura poter organizzare qualche data sporadica qua e là in Italia. Nel mentre continueremo a scrivere cose nuove e di qui a breve vorremmo fare uscire uno split, magari in vinile, un sette pollici con qualche altra band. Anzi, colgo l’occasione per lanciare un appello: chi volesse partecipare con noi a questo split ne è il benvenuto. Stiamo lavorando inoltre a degli abbozzi, ancora molto acerbi di canzoni e poi ci stiamo cimentando a stravolgere una altra canzone immortale, che ha fatto la storia del rock più visionario e lisergico. Ne uscirà una versione molto personale.



Ok abbiamo concluso, ti ringrazio per il tempo che ci hai concesso ed in bocca al lupo!

Grazie a voi di Neuroprison per lo spazio ed il supporto. Stay Noise!!


-Edvard-

mercoledì, ottobre 13, 2010

THE SECRET (Intervista)



Dopo la recensione di Solve Et Coagula abbiamo sentito Mike ed ecco qui una veloce intervista per saperne di più sulle novità e gli sviluppi in casa The Secret...



Solve Et Coagula è caratterizzato da brani decisamente più lineari, diretti ma allo stesso tempo si nota chiaramente la vostra maturazione in fase compositiva, maggiore attenzione ai dettagli ed in particolare l'obbiettivo di focalizzarsi sul farne risaltare ogni minima sfumatura. Quanto gli input esterni, che siano semplicemente nuovi ascolti musicali oppure stimoli legati alla vita di tutti i giorni, hanno influito sull'evoluzione del vostro sound?


Qualche tempo dopo la registrazione di "Disintoxication" ci siamo resi conto che molte cose nel disco che avevamo registrato a nostro avviso non funzionavamo e ci siamo messi subito al lavoro su nuovo materiale. Ascoltando il disco avevamo l'impressione che le canzoni avrebbero reso molto meglio usando meno elementi per ogni singolo pezzo. Questo è stata la riflessione di partenza che ci ha portato ad evolvere in nostro suono in questa direzione più "asciutta", ma anche suonare live con regolarità ci ha fatto capire che la semplicità ci avrebbe portato a migliorare molto sia sul palco che nella stesura dei pezzi. Gli ascolti non sono in realtà cambiati così tanto, forse si sono in un certo modo "ristretti". La gestazione del disco non è stata di sicuro una delle più tranquille di sempre e ci sono state molte tensioni all'interno del gruppo, sia personali che artistiche. Forse anche questo ci ha portato ad esprimerci in modo più diretto e primitivo e spesso a cercare di spendere meno tempo che in passato in sala prove ed essere più istintivi.


Disintoxication due anni orsono rappresentò un vero e proprio nuovo inizio per la band, sia dal punto di vista stilistico che di lineup; Solve Et Coagula può essere visto come il naturale passo successivo verso ciò a cui aspirate ad essere come band oppure va visto semplicemente come il vostro nuovo album, una testimonianza di ciò che siete allo stato attuale?


Penso che "Solve et Coagula" sia una sorta di "purificazione" di quelli che sono stati gli stessi elementi che sono alla base di "Disintoxication". Come accennavo prima, abbiamo essenzialmente tolto quello che non ci piaceva. La grossa differenza che sento ora, almeno a livello personale, è che questa volta non ho alcun rimpianto e non cambierei nulla del disco che abbiamo registrato. Non ho idea di quella che potrà essere la nostra musica nel prossimo disco ma credo che abbiamo trovato un certo equilibrio in questo momento.


Buona parte dell'album è un vero pugno nello stomaco, con sfuriate in successione di breve durata dalle tinte crust/grind ed ancor maggiori influenze black metal rispetto al recente passato; troviamo poi ad equilibrare le cose e rendere più interessante l'ascolto episodi più sperimentali ed atmosferici, su tutte la strumentale Bell of Urgency. Proprio quest'unione di stili ed influenze perfettamente inserite nel contesto di base è ciò rende distintivo il vostro sound attuale, obbiettivo sempre più difficile da raggiungere nel panorama musicale odierno.....sei d'accordo?


Spero di non essere frainteso ma essere "originali" mescolando influenze diverse non è assolutamente la nostra priorità, non è il nostro punto di partenza. Ovviamente non vogliamo suonare come altre bands ma stavolta abbiamo pensato al risultato finale meno che in passato, nessuna pianificazione o scopo predefinito. Abbiamo solo cercato di essere onesti e di fare le cose che ci piacevano di più senza pensarci troppo su. Sono contento se pensi che il nostro nuovo lavoro abbia una sua identità ma l'unica cosa che ci è interessata durante la creazione del disco è stato scrivere buoni pezzi. Almeno per quanto mi riguarda spesso preferisco ascoltare un buon pezzo rock classico piuttosto che l'ultimo disco di sperimentazione di Mike Patton. Non voglio argomentare sul fatto di cosa sia "migliore" ma semplicemente è quello che mi interessa maggiormente in questo momento.

Per quanto ci riguarda, soprattutto per i pezzi più diretti, a volte bastava avere un riff che ci piacesse e la canzone usciva fuori "da sola". Se suonava bene ci lavoravamo qualche giorno su e poi la registravano senza troppe domande. Altre volte è stato necessario lavorarci su per più tempo, sentivamo che c'era bisogno di andare un po'pià a fondo sotto la superficie per dare senso a quello che stavamo suonando ma la priorità è sempre stata la canzone.

Alla ricerca dell'originalità preferisco il carattere.


Dal punto di vista lirico è facile intuire che anche stavolta i vostri pezzi sono tutt'altro che pregni di ottimismo...


I testi del disco li ha scritti tutti Marco ma posso dirti che tutto quello che si può trovare nei testi gira sempre e comunque attorno alla perdita della fede/fiducia. Nella politica, nei media, nella religione, nei rapporti sociali. La situazione nel paese in cui viviamo è totalmente degenerata e sta peggiorando ogni giorno se possibile. Spero il fondo sia stato toccato ma temo che le cose possano peggiorare ancora. Tanta, troppa gente, non capisce che sta credendo a delle persone che sono la causa principale dei problemi che stiamo affrontando ora. Crede a politici palesemente bugiardi, cerca conforto in una religione falsa e ipocrita, guarda una TV che continua ad incoronare a modelli da seguire persone che mi fanno semplicemente schifo, pilotate da altre persone che fanno ancora più schifo.

Stiamo sprofondando nel baratro e la cosa che mi rattrista di più è vedere che è quello che la gente vuole.

Italiani brava gente.


Con quale lineup è stato registrato il disco? Pensate che la sezione ritmica attuale possa diventare stabile (non dico definitiva viste le improvvise defezioni giunte negli ultimi tempi, per scaramanzia) oppure va vista come un aiuto temporaneo per la promozione live del disco?

Il disco è stato registrato con Christian alla batteria, Enrico al basso, Marco alla voce e me alla chitarra. Christian è uscito dalla band poche settimane dopo le registrazioni e ora Tommaso Corte è il nostro nuovo batterista. La situazione è definitiva, siamo molto soddsfatti.


Come vi siete trovati a lavorare con un'icona della scena ed un grande professionista come Kurt Ballou? Quanto sono stati importanti il suo modo di vedere le cose e la sua esperienze alla luce dell'ottimo risultato finale?


Lavorare con Kurt è stata un'esperienza molto piacevole e rilassante nonostante lui sia senza dubbio uno degli assoluti protagonisti della musica pesante degli ultimi anni. Prima di entrare in studio abbiamo pre prodotto tutte le tracce del disco in sala prove, cercando di entrare al Godcity con le idee più chiare possibile. Il lavoro di Kurt è stato essenzialmente quello pensare a come ottenere i suoni che avevamo in mente, senza mettere troppo la voce sulla struttura e l'arrangiamento dei pezzi stessi. Penso che Kurt sia molto bravo nel riuscire a trovare il giusto "sound" per ogni band che registra, senza seguire formule o modus operandi standardizzati. Abbiamo speso tempo nel provare ad equilibrare i suoni di basso e chitarre, cercando comunque di mantenere la natura grezza e sporca dei pezzi che gli avevamo fatto sentire prima di partire. E'una persona di grande pazienza e esperienza e spero di avere di nuovo la fortuna di lavorare con lui in futuro.


Rispetto a Disintoxication vi sono stati importanti cambiamenti riguardo la strumentazione utilizzata vero?


Registrando a Salem abbiamo dovuto usare la strumentazione dello studio di Kurt. L'intero approccio ai suoni di questo disco è molto diverso da quello precedente, soprattutto per quanto riguarda le chitarre. Questa volta ho usato una Ampeg V4, una Orange OR e combo Marshall su casse Emperor 6x12. Per il basso Enrico ha usato una Orange su cassa Ampeg 8x10. Gibson Les Paul Custom e Gibson Grabber.


In occasione della scorsa nostra intervista ti eri detto ottimista sullo stato della scena musicale underground italiana, con la sensazione che qualcosa si stesse finalmente muovendo....sei ancora della stessa idea? E' aumentato il riscontro di pubblico ai vostri concerti?


Partendo dall'ultima parte della domanda, abbiamo la sensazione che adesso ci siano di sicuro più persone che ci seguono, il feedback del disco per il momento è davvero ottimo, anche per il buon lavoro di promozione che sta facendo la Southern Lord. Per quanto riguarda il fatto di essere ottimista o meno sulla scena italiana, ho smesso di interessarmi a questo interrogativo. Penso che in Italia ci sia una situazione molto strana, le persone con meno gusto e conoscenza musicale sono spesso quelle più attive e propositive. Ci è capitato di suonare in contesti davvero assurdi negli scorsi anni. Spesso i concerti dove le cose erano organizzate in maniera più professionale e che avevano creato in noi più aspettative si sono rivelati terribili mentre altre volte sono usciti fuori dei concerti ottimi dove meno ce lo aspettavamo. E'sempre un po'un terno al lotto. Ora ci interessa soprattutto suonare in contesti dove ci sentiamo più a nostro agio, avere più controllo, anche se a volte può voler dire anche rinunciare ad una fetta di pubblico. Siamo arrivati alla conclusione che spesso è meglio suonare davanti a 100 persone che sono li perchè interessati alla nostra musica che davanti a 300 che sono li per andare far serata.


Dopo la chiusura della Goodfellow vi siete ritrovati senza un contratto, avete fatto girare una preproduzione dell'album e Greg Anderson ne è rimasto colpito...questo in sintesi il percorso che vi ha portato ad entrare nel roster Southern Lord.Pensate di aver finalmente fatto il salto di qualità definitivo nell'ottica di essere band di riconosciuta levatura mondiale oppure c'è ancora molto lavoro da fare, in particolare sotto l'aspetto live e quindi aumentare intensamente tale attività?


Non so davvero come risponderti a questa domanda perchè non penso che stia a noi arrivare a questo tipo di conclusioni. Sicuramente abbiamo ancora tantissimo lavoro da fare e penso che abbiamo ancora grossi margini di miglioramento come band. Lavorare con Southern Lord ha un po'cambiato tante cose e non nego che ora capita che gente che prima non ci dedicava un secondo ora invece magari ci manda le interviste da fare. E'assurdo come spesso la gente abbia bisogno che qualcun'altro prima "approvi" quello che poi andrà ad ascoltare.

Comunque il disco è appena uscito quindi è davvero presto per arrivare a conclusioni. Speriamo bene.


Avete già un programma ben delineato di quella che sarà il vostro tour in Europa e poi oltreoceano per la fine di quest'anno ed il 2011?


Ne stiamo parlando in questi giorni. In questo momento avrei dovuto essere in tour negli USA con gli Early Graves ma come molti sapranno i nostri amici hanno avuto un terribile incidente ed il loro cantante Makh Daniels è morto. Dopo questa tragedia un po'tutti i piani del 2010 sono andati a finire in nulla e fino a fine anno suoneremo qui in Italia. Stiamo pianificando il 2011 ma per scaramanzia non voglio anticipare nulla. Ci sono delle cose molto interessanti in ballo. Speriamo bene anche qui.



Ok siamo alla fine , grazie per il tempo che ci hai dedicato...in bocca al lupo per tutto e alla prossima!


Grazie a te.


-Edvard-

sabato, giugno 12, 2010

CAST THY EYES



I Cast Thy Eyes sono il suono del Salento che sputa sangue. 4 ragazzi (Christian Montagna alla voce, Andrea Litti alla chitarra, Stefano Bovino al basso e Giuseppe Guido dietro le pelli), tanti ideali da condividere in una terra difficile e una storia di amicizia e di passione trasfigurate in musica. E’ da poco uscito il loro secondo disco, We Burn Into The Cold Eyes Of The Sun. Di questo e di altro ancora abbiamo parlato con Andrea, Chris e Stefano nell’intervista che segue.




Allora ragazzi, benvenuti su Neuroprison. Iniziamo con la più classica delle domande: come, quando e perché avete deciso di suonare insieme…

C: Tutto prese forma nel dicembre 2006. L’intenzione era quella di formare una nuova realtà musicale estrema che inevitabilmente ha coeso diverse entità della scena hardcore/metal salentina. All’inizio tutti ci videro come un progetto estemporaneo, solo dopo i primi devastanti live e il primo album registrato agli inizi del 2007 la gente si rese conto delle vere intenzioni dei Cast Thy Eyes e che inevitabilmente facevamo sul serio. Ora dopo appena due anni siamo ancora qui più determinati e perseveranti che mai, con un nuovo chitarrista Andrea Litti e con un nuovo album all’attivo fuori dal marzo 2010. Il titolo del disco prendere forma da una mia personale visione di quello che realmente siamo come individui e quello che ci ritroviamo scomodamente a masticare da anni in questa terra, priva di quel sole o meglio di quella luce di speranza che tutti vedono. Si parla del Salento come fosse la Jamaica del Sud e in realtà forse con quella terra abbiamo una serie di cose in comune: povertà, disagio, e un senso di vedere tutto positivo anche quando la merda l’assapori giorno per giorno. Beh se questa è la realtà mi tiro fuori! Sai perché? Perché la gente di questa terra ha dei profondi limiti statistici e di appartenenza. Io sarò sempre dalla parte dei disadattati, di chi rimane povero, subisce e va avanti a testa alta, di chi non si fa schiacciare dalla repressione, dalle false istituzioni, dallo sporco governo e dalla falsa ipocrisia! Nel Salento le false promesse hanno solo portato sconforto e disperazione, perciò si fottano tutti questi figli di puttana abituati a ricevere da gente ignorante (purtroppo) un voto politico e manipolarlo di conseguenza come un fosse un coltello da conficcare in ogni schiena. E questo è esattamente quello che descrivo nel testo di “dilemma”, e cioè: “dovunque vada, vedo visi che aspettano il momento opportuno per tentare di assassinarsi”. La realtà è più vera di quello che sembra! Io ho lottato duro per avere quello che mi sono costruito negli anni, anche nella musica e non lo butto nel cesso per nessuna ragione.. né tanto meno mi faccio illudere nella vita di tutti i giorni da una classe politica falsificata. Andrò avanti a pugni stretti ancora con più determinazione, consapevole di essere un vero e sporco figlio di puttana proveniente dal profondo Sud!


We Burn Into The Cold Eyes Of The Sun è un album monolitico e rabbioso, in cui convivono dinamicamente rifferama metal-core e accellerazioni tipicamente hardcore.
Vi sentite maturati come band rispetto al debutto omonimo di appena tre anni fa? Com’è cambiato da allora il processo compositivo nei Cast Thy Eyes?


C: I Cast Thy Eyes racchiudono esclusivamente 3 cose fondamentali: ATTITUDINE, PERSEVERANZA e un modo PERSONALE di comporre musica assolutamente non omologata o in linea con le pietose mode del momento. Abbiamo la capacità di usufruire di una dote speciale che è quella della sintesi, unita all’esperienza più che decennale di ognuno di noi. Delineare e materializzare riffs, ritmiche, metriche vocali non inclini a parametri pre-confezionati o scontati. Nulla è studiato a tavolino. La nostra è musica spontanea, istintiva, vera fino al midollo che nasce dal cuore e dalla passione di vivere questa band come unico propellente. Un sound vero che chiude il cerchio soprattutto in ogni nostro devastante live e chi ci ha visto sa cosa intendo. Non parlerei di maturità, ma solo di esperienze negative o positive che accumulate nella vita di tutti i giorni ti fanno anche crescere e comporre musica migliore e più rabbiosa. Sono molto felice di questo nuovo album e ovviamente dell’evoluzione musicale che ha toccato anche me sul lato vocale, incidendo dinamiche e metriche che mi rendono felice del lavoro fatto. La gente, gli addetti ai lavori e chi ci segue da sempre sta valorizzando quanto fatto ed espresso fin’ora. Ma, sono ancor più orgoglioso di quello che stiamo componendo con l’amico Andrea Litti alla chitarra! Con lui abbiamo già cinque nuovi brani finiti che racchiudono la nuova e furibonda essenza dei Cast Thy Eyes.

Ho riscontrato delle analogie tra il vostro sound e quello di alcune band del catalogo Relapse (Coalesce su tutte). E’ così? Quali sono le vostre principali influenze?

A: beh proprio i Coalesce forse no (mai sopportata la voce del cantante), anche se indubbiamente e per quanto mi riguarda, le band emerse come loro dalla costa est statunitense a fine anni '90 e che hanno contribuito a svecchiare e ridefinire l'hardcore, hanno indicato che esisteva una nuova via, concettuale più che stilistica in senso stretto, parallela a quella segnata dalle contaminazioni tra metal e hardcore tutte muscoli e niente cervello, e ancora oggi molte di quelle band suonano ancora “moderne” e fresche anche rispetto a produzioni più recenti. La Relapse in realtà a questo genere di cose è arrivata in ritardo rispetto al lavoro pionieristico di etichette come Revelation, Hydra Head o Equal Vision e ha sicuramente fatto fruttare il proprio peso specifico superiore alle etichette citate a livello promozionale, portando certi suoni all'attenzione di masse più numerose (giusta osservazione, ndr).
Riguardo alle band che hanno influenzato il mio modo di suonare, se ti dicessi che la più grande influenza musicale della mia vita sono stati i Metallica di “And Justice For All” non ti direi una fesseria, ma sfido chiunque a trovarne traccia evidente in tutte le band con cui ho suonato fino ad oggi, tranne le due cassette demo registrate con la mia prima band nel '95 e nel '96!

Oltre al lavoro di Stefano Manca in cabina di regia, bisogna ricordare anche l’ottimo contributo di Mr. Alan Douches (già al lavoro con Converge, The Dillinger Escape Plan e Mastodon) che ha masterizzato i brani di We Burn… presso il West West Side Music Studio di New Windsor (NY). Immagino siate soddisfatti del risultato finale. Come siete entrati in contatto con lui?

A: Ovviamente conoscevamo già Alan Douches per i suoi lavori, e proprio Stefano Manca aveva già inviato ai West West Side un paio di mixaggi usciti dal suo Sudestudio, quindi la scelta è stata doppiamente naturale.

Recentemente la line-up originaria è stata leggermente modificata con l’uscita del chitarrista Antonio Gaballo - che comunque ha partecipato alla stesura dei brani e alle sessioni di registrazione - e l’ingresso in pianta stabile di Andrea Litti (ex Shank, nonché già compagno di merende di Christian nel progetto grind Traitor ). Dobbiamo aspettarci dei cambiamenti significativi nel songwriting dei Cast Thy Eyes d’ora in avanti?

A: In qualche modo sì. Anzi, questo sta già avvenendo nei cinque pezzi che la band ha scritto con me alla chitarra in questi quattro mesi dal mio ingresso in formazione. Chiaramente non si tratta di stravolgere totalmente l'approccio musicale del gruppo, intanto perché io e gli altri della band abbiamo un background musicale abbastanza comune a livello di ascolti, poi ovviamente sono conscio del fatto che la band ha una sua identità e cerco comunque di assimilarla, nello spirito più che nella lettera. Infine, è cambiato solo un membro su quattro, e devo dire che finora il processo compositivo si è dimostrato molto democratico. Questa cosa in particolare mi ha positivamente colpito: che quando si scrivono i pezzi nuovi ognuno di noi ha qualcosa di buono e sostanziale da suggerire e proporre, anche al di là del proprio ruolo nella band. Ora come ora non saprei dirti con precisione come o in che direzione sta mutando il sound dei Cast Thy Eyes... per ora posso solo sperare che ne daremo dimostrazione effettiva molto presto!

S: Nessun brusco cambiamento se si considera il fatto che i brani sia passati (con Antonio) sia presenti (con Andrea) sono sempre stati figli di una composizione corale, dove ogni uno di noi è fondamentale e l’idea di ogni singolo anche se minima è sempre determinante! Andrea è un animale, è entrato con determinazione, e soprattutto serietà in un periodo delicato della nostra storia! Ha esperienza da vendere oltre che una passione che fa invidia a tutti! Dal primo giorno ci ha trasmesso un nuova carica e forza, e tutto questo lo si sente già nei nuovi brani.

Parlateci dei testi di We Burn… Mi pare che essi siano incentrati soprattutto su due aspetti: il travaglio interiore e l’amara e disincantata osservazione della realtà.
“Il seme dell’angoscia” di cui parlate nel brano d’apertura è difficile da cancellare?


C: I miei testi racchiudono la realtà, quello che vedono i miei occhi, quello che vivo in ogni istante della mia vita anche quando trascorro lunghi momenti di solitudine, dipingendo! i miei sono pensieri che scaturiscono da un marcato disagio mentale e che si esteriorizza anche attraverso una personalità instabile, vogliosa di rigenerarsi giorno per giorno con nuovi stimoli e bestie da accudire. Aver attraversato la nebbia anche nella mia vita vissuta, aver assaporato su pelle cos’è la sofferenza, mi ha portato a scrivere cosa si nascondeva dietro questa foschia…

Dal video di "Die One Day" (uno dei momenti migliori del disco per il sottoscritto) è evidente il desiderio di sottolineare il legame con le vostre radici. Eppure la musica proposta dai Cast Thy Eyes è lontanissima da tutto cio' comunemente evoca l'immaginario salentino. Mi domandavo cosa c'è di "salentino" nella vostra musica...

C: C’è una cosa che molti non hanno capito o percepito. Noi non abbiamo girato il video di “Die One Day” per far vedere quanto ci sentissimo legati alla nostra terra o alle radici e quindi farci vedere grezzi, sporchi e sudati in quel contesto. Il video trae in inganno, ed è proprio quello che volevo ottenere avendo curato la regia e lo storyboard dello stesso. I ragazzi della band erano d’accordo con la mia visione e perciò hanno dato un contributo vero con idee e soluzioni possibili. La rabbia non ha un’identificazione precisa, non può essere contestualizzata! Questo penso! Perché oggi lo stereotipo di fare un video hardcore o metal viene visto ancora con determinate soluzioni che possono essere riconducibili a posti o spazio temporali ricercati appositamente o peggio ancora costruiti da un set. “Die One Day” non è studiato a tavolino, non è stato gonfiato con americanate spastiche, abbiamo solo suonato quel pezzo in modo aggressivo e violento come lo abbiamo proposto in qualsiasi situazione live. Quella campagna è solo riconducibile alla nostra essenza ma la realtà e che abbiamo solo suonato in modo vero e in your face. Io ci tengo a ringraziare ancora Stefano Tramacere e Marianna Russo di 18GRADIaEST Videoproduzioni, per il lavoro svolto nel video. La cosa che più mi rende felice è che solo loro potevano entrare nella mia testa e capire ciò che volevamo raggiungere per l’essenza della band. Oltre che amici, sono dei professionisti seri e motivati, in questo ci siamo ritrovati perfettamente.

Il nuovo album è stato co-prodotto dai Cast Thy Eyes e da un “consorzio” di piccole realtà indipendenti riunite sotto il nome di D.I.Y. Conspiracy. La domanda nasce spontanea: quale credete sia il futuro del D.I.Y., in un momento storico in cui la supremazia del web ha portato alla digitalizzazione/disumanizzazione della musica e alla frammentazione delle “scene”?

S: Certo il momento non è dei migliori, ormai è diventato tutto un puttanaio. Il D.I.Y. però è passione forte, è un legame carnale verso ciò che si fa, dalla registrazione di un disco, all’indebitarsi per stamparlo, al distribuirlo e/o a supportare un altro gruppo a fare tutto ciò. D.I.Y è l’essenza dell’ hardcore, è orgoglio! Guarda secondo me certe passioni sono dure a morire e limitarsi alla condivisione di un file non credo possa diventare mai l’unico e solo obbiettivo di una band.

Tempo fa ho assistito ad un vostro live set particolarmente infuocato e coinvolgente e ho maturato la convinzione che è quella la sede in cui la vostra musica trova la sua dimensione migliore. Come descrivereste un vostro concerto a chi non ha ancora avuto la possibilità di vedervi all’opera?

A: Mi trovi abbastanza d'accordo, e qui ci posso mettere il doppio punto di vista di chi questa band l'ha vista suonare da entrambi i lati del palco! Sicuramente siamo un gruppo molto “fisico” e che dal vivo non si risparmia, anzi... sudore, sangue e corde rotte sono gli ingredienti principali delle nostre esibizioni, ma non si tratta di fare i pagliacci, magari per nascondere altre carenze musicali o strumentali. Ci riesce facile farci coinvolgere per primi dalla musica che suoniamo, in maniera molto naturale e istintiva. Sicuramente l'esperienza maturata suonando dal vivo per dieci o più anni, con Cast Thy Eyes e con le nostre precedenti band, ci è servita, anche dal punto di vista tecnico e dei suoni.

Come vi state muovendo per la promozione di We Burn…?

S: Alla grande. Di questo se ne occupa soprattutto Christian. Ogni giorno a fare la fila negli uffici postali non è da tutti, anzi sfido io qualunque label a fare quello che fa lui con così tanta costanza e professionalità! Nel giro di pochi mesi Il disco è stato già recensito dai tutti magazine più importanti, Il video è stato per due mesi in rotazione su due programmi di Rock tv, e le apparizioni su webzine sono una costante.
Ritornando al discorso D.I.Y., certe cose ce l’hai dentro.

Progetti futuri?

A: come dicevo prima, siamo sempre al lavoro per scrivere i pezzi che faranno parte di un futuro nuovo full lenght, ma il progetto discografico più immediato è la ristampa di “We Burn...” su vinile 12” che sarà curata dalla francese The Flying Elephant records. Questa etichetta ha già prodotto tra le altre cose un ottimo album degli spagnoli Antigua Y Barbuda, i quali ci affiancheranno in un tour europeo organizzato dalla stessa label francese, che se tutto va bene ci vedrà impegnati tra fine Ottobre e inizio Novembre per una dozzina di date tra Italia, Francia, Belgio, Germania e Spagna.
Entro la fine del 2010 contiamo anche di riuscire a recuperare le date del tour italiano con gli amici Hobophobic, previsto per lo scorso fine Maggio e saltato all'ultimo momento per cause di forza maggiore, e abbiamo in programma altri giretti lungo la Penisola. Riguardo a future date nel Salento, quest'estate saremo al Lecce Hardcore Fest che si terrà dal 30 Luglio all'1 Agosto presso la Rimesa Autogestita di Sanarica (LE) e il 13 Agosto al Mundialito Antirazzista, un torneo di calcio a 5, con vari eventi serali a fare da cornice, che si svolgerà a metà Agosto a Gagliano del Capo (LE) e che vedrà impegnate squadre provenienti da tutto il mondo.
La fame di live è sempre tanta, quindi fatevi avanti e proponete!

Siamo arrivati alla fine, grazie mille ragazzi e… concludete pure come vi pare.

A: Grazie a te e a Neuroprison caro Marcello, inutile che vi dica quanto è utile e importante che continuiate a fare luce su questa fetta dell'underground, italiano e non. Spero che chi legge avrà la voglia e la possibilità di contattarci e conoscerci meglio ascoltando “We Burn...” o venendo a vederci suonare dal vivo o curiosando sui nostri siti web:
www.myspace.com/castthyeyes
www.facebook.com/cast.thy.eyes
www.youtube.com/user/castthyeyes


Marcello Semeraro

venerdì, maggio 14, 2010

FROHIKE RECORDS




Abbiamo dato ampio spazio alle band del suo roster, abbiamo apprezzato le scelte grafiche ed etiche che si celano dietro ogni loro lavoro: finalmente ora diamo la parola a Simone e Marta, ovvero coloro che tramano dietro il monicker Frohike.
E' riduttivo chiamarla etichetta, ci piace chiamarla sensibilità.



Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di Neuroprison. Gli argomenti da trattare non mancano, andiamo quindi in ordine cronologico. Quando nasce Frohike e sotto quali stimoli?

S - Frohike nasce nel 2007 ma la prima uscita arriva solo ad inizio 2008. Era una cosa totalmente diversa da oggi, eravamo diversi noi, era diversa la situazione. Eravamo una goccia nel mare di piccole label nate con la rivoluzione del 2.0, nulla di più. Chiedi gli stimoli, mi verrebbe più da parlare di voglia di emulazione, o comunque di voler essere parte di un qualche cosa, piuttosto che veri e propri stimoli artistici. Diciamo che volevamo sguazzare pure noi.


Per un pò di tempo le produzioni sono andate a singhiozzo, salvo poi riprendere con costanza da un po’ di tempo a questa parte, con risultati davvero ottimi: quale è stato il punto di svolta?

S - Sicuramente il punto di svolta è stato l'ingresso di Marta, che passando da fan sfegatata a parte integrante del progetto, ha portato voglia di cambiamento, voglia di serietà. L'amicizia che ci lega ha fatto da collante e da reagente, rimasti soli abbiamo avuto la libertà di fare le cose come volevamo. Abbiamo voluto rischiare e abbiamo avuta molta fortuna, inizialmente. Non avevamo molti soldi (non che adesso sguazziamo nell'oro eh!) e affascinati dai Dyskinesia ci siamo buttati nella produzione del loro disco anche se non l'abbiamo gestita direttamente noi, per questo motivo siamo rimasti fermi per parecchi mesi, diciamo che è stata una situazione un po' complicata, ecco. Ma in quei mesi abbiamo messo le basi per il nostro futuro: abbiamo conosciuto Giacomo degli Up There: the Clouds, Francesco dei Three Steps to the Ocean, Giulio Santaniello. Diciamo che abbiamo conosciuto le persone giuste al momento giusto. Siamo ragazzi fortunati. Molto.


Appellarsi a Frohike con il nome di “etichetta” è sicuramente riduttivo, e lo si può ben cogliere leggendo il vostro manifesto (www.frohikerecords.com/manifesto.ht.../manifesto.html); le parole sulle quali vorrei ci soffermassimo sono tre: adolescenza, sporcarsi le mani, ambiente. Iniziamo con la prima, essendo voi giovanissimi come conciliare i vostri impegni, esigenze, idee con il progetto Frohike?

S - Purtroppo è difficile. Per lo split Corpoparassita/Dyskinesia abbiamo passato circa 3 mesi a incastrare la produzione nella vita di tutti i giorni, abbiamo "sacrificato" interi fine settimana per chiuderci in una cantina a serigrafare o impastare carta. Ne è valsa la pena... Pensandoci, l'essere studenti è una fortuna, non oso immaginare quando avremo orari fissi da 8 ore giornaliere cosa riusciremo a fare. Per ora cerchiamo di cavarcela con l'aiuto di amici e familiari.

M - Per quanto riguarda le nostre idee ed esigenze invece riusciamo ad integrarle per il semplice fatto che sono realmente incarnate da Frohike, è un progetto in eterno movimento appunto perchè cresce con noi. L'unico inconveniente della nostra "giovane" età è l'assenza di esperienza, che lentamente si stà costruendo sul campo, come è giusto che sia.


Sporcarsi le mani: gran parte del lavoro è fatto da voi, dagli artwork alle grafiche, all’assemblamento. Come nasce ogni progetto? Quanto fa sentire vivi prendere parte a una propria passione e contribuire alla sua creazione?

S - Difficile descrivere un modus operandi generale. Non essendo professionisti del settore, o meglio, non essendo professionisti di nessun settore, ci limitiamo a giocare. Il tutto si sviluppa un po' per caso, un po' ragionando a freddo con i gruppi, tra di noi. La cosa abbastanza divertente è che nulla è deciso né definito fino alla fine perchè ogni santa volta succede sempre qualcosa che ti fa rimescolare le carte in tavola. E allora devi inventarti qualcosa per risolvere i problemi, fondamentale quindi il lavoro di squadra e l'aiuto di tutti. Penso sia proprio questo ciò che ti fa sentire realmente parte di un progetto.


Ambiente: negli ultimi lavori di Up There the Clouds e Corpoparassita/Dyskinesia avete donato particolare attenzione al rapporto prodotto-ambiente, focalizzando l’attenzione sulla necessità di unire musica e sensibilizzazione, ad esempio verso la questione del sughero. Come nasce la ricerca dei materiali e l’input verso un certa tematica?

S & M - Come ogni progetto, non c'è un piano stabilito a tavolino. Siamo persone abbastanza curiose e interessate al mondo nella sua diversità. Ci piace guardarci attorno, scoprire e provare cose nuove. Questo aspetto si riflette nella vita di ogni giorno, per questo capita di incappare in problemi e tematiche che tentiamo di metabolizzare, in modo da darci da fare nel nostro piccolo. Siamo abbastanza realisti, non abbiamo sogni di gloria né intenti rivoluzionari, pensiamo semplicemente che ognuno debba fare la propria parte, tutto qui. Pensiamo la musica debba comunicare qualcosa, ci sembra un mezzo perfetto. Può comunicare emozioni, sentimenti, sensazioni e idee. E la comunicazione non si deve fermare solo alla musica, deve uscire dal supporto ed avvolgere tutta la confezione. Amiamo vedere i dischi nella loro totalità. Noi ci preoccupiamo del "contorno", di tutto ciò che accompagnerà la musica, al resto ci pensano i gruppi.

I gruppi presenti sotto la vostra ala cominciano ad essere molti e assolutamente eterogenei. Riuscite voi a tracciare un punto in comune tra tutti?

S - La voglia di dire qualcosa, in qualsiasi forma o modo. Ci piace chi tenta nuove strade, chi si mette in discussione, chi sbaglia e poi paga le conseguenze, chi è ancora capace di sorridere o piangere o incazzarsi, chi sa dare il giusto valore alle parole, chi viene sempre male in fotografia.

M - Non esiste una congiunzione reale tra loro, ci hanno solo catturato, ognuno a modo suo


Di recente avete organizzato il Mag Mell Fest, potete raccontarci come è andata?

M - Il Mag Mell è stato un po' un modo per metterci alla prova, essendo il primo evento a cui abbiamo partecipato seriamente come organizzatori. La cosa è nata con la proposta, da noi felicemente accettata, di Mike (Hypershape Records, Viscera///...) che già stava iniziando a prender accordi con i ragazzi della Rebel Kid. Saltando direttamente alle conclusioni si può dire che i risultati di mesi di impegno da parte di tutti e tre sono stati ripagati con due belle serate, insomma, energie ben investite. Unica nota è che nonostante ci sia stato un buon afflusso di pubblico, da questo punto di vista, si poteva far di più.


Ci sono altre sensibilità (giusto per non chiamarle etichette) alle quali vi sentite vicini o dalle quali avete preso qualche spunto?

S - Sinceramente sono in difficoltà a rispondere ad una domanda del genere. Strada facendo abbiamo conosciuto molti altri ragazzi di altre etichette e distro, con cui abbiamo condiviso serate, mail e abbracci, ci sentiamo vicini a tutti loro, inutile stare qui a fare nomi o indicare col dito (mia mamma ha sempre detto che è maleducazione!). Una cosa che ci fa veramente piacere notare è che anni fa eravamo i più "giovani" a fare una cosa del genere, oggi ci sono altri nostri coetanei a farci compagnia. Largo ai giovani, morte ai vecchiacci.

M - Ad esser sincera, non riesco a pensare a nessuna influenza in particolare, specie dal nostro stesso "ambiente". Credo che i maggiori spunti provenienti dall'esterno provengano da elaborazione di discorsi, un po' alticci, fatti con amici vari, altrettanto alticci.


Qualche domanda specifica sul vostro ultimo lavoro, ovvero lo split tra Corpoparassita e Dyskinesia. Come mai la scelta di far flirtare queste due band all’apparenza così distanti musicalmente? La scelta di alternare una traccia per artista è spontanea o frutto del caso? Per la prima volta avete anche creato una t-shirt, inizierete anche con il merch quindi?

M - Diciamo che non è merito nostro, le due band ci hanno proposto l'idea e noi non potevam far altro che accettare di buon grado, vista la stima che abbiamo per entrambi i progetti! Lo stesso vale per le tracce, un'idea molto interessante aggiungerei.

S - Abbiamo avuto la necessità di imparare a serigrafare in poche settimane per avere pronti i dischi (la bustina dello split è infatti serigrafata), di conseguenza abbiamo provato a fare una serie molto limitata di magliette. Sicuramente la serigrafia è una tecnica che ci affascina morbosamente e stiamo già pensando ai mille usi che ne potrebbero derivare. Nella nostra mente vogliamo tentare di curare il merch dei gruppi, magari proponendo cose particolari e strane. Vedremo...


Siamo quasi alla fine. State già decidendo come muovervi in futuro e quali sono i progetti in ballo?

M & S - In questo periodo stiamo lavorando all'uscita di un progetto molto particolare che vede i Viscera/// alle prese con la colonna sonora per un cortometraggio di animazione. Il tutto uscirà in dvd limitato con allegato cd, contenente la colonna sonora e remix di canzoni dei Viscera/// di precedenti dischi, in collaborazione con GrindPromotion. Poi per l'inizio dell'estate è pianificata l'uscita del primo lavoro dei nostri amici Block! Antonius Block! da Milano, anche qui artwork e packaging curati totalmente da noi. Nel frattempo aspettiamo novità dal fronte fronte O (ex-Deprogrammazione) per quanto riguarda lo split con gli Hungry Like Rakovitz e pensiamo all'organizzazione stessa della Frohike. Se tutto va bene, in autunno torneremo con grosse sorprese.


Una domanda personale: quali sono i libri sul comodino e i dischi nel lettore/giradischi in questo periodo?

S - Come libri, sto leggendo "Considera l'aragosta" di Wallace e dovrei rileggere "Tokyo blues norwegian wood" di Murakami, cosa che rimando da mesi ma giuro che farò al più presto. Dischi... mmm nell'ultimo periodo sto ascoltando tanto i Distanti, Massimo Volume, Bon Iver, Sylvester Anfang (che tra l'altro ho scoperto grazie a NeuroPrison!) e mi sono da pochissimo innamorato del nuovo dei 65daysofstatic. Nei mesi passati ho ascoltato tanto black metal, facendo finta di essere depresso, ma ora ho smesso, giuro!

M - Tra le letture: Il cinema secondo Hitchcock (F. Truffault) e La pubblicità (G. Fabris), entrambe amate seppur obbligate dai doveri accademici, gli ascolti sono decisamente più svariati, da Lili Refrain (grandissima anche nei live, per altro) ai Thrones, ma di fisso direi The queen is dead - The Smiths e We were exploding anyway - 65daysofstatic.


Con questo è tutto ragazzi, a nome di Neuroprison un grande in bocca al lupo. Come da tradizione, chiudete pure come volete.

S - Grazie a NeuroPrison per l'interesse, lo spazio e il tempo dedicato a noi! A tutti gli altri, fate l'amore, comprate i dischi e andate ai concerti (meglio se fate tutt'e tre le cose nella stessa serata, l'ordine decidetelo voi).

M - Null'altro da aggiungere al mio collega, amen.

Neuros