mercoledì, gennaio 28, 2009

LAST MINUTE TO JAFFNA



Uno degli esordi made in italy più interessanti dell'annata appena trascorsa è stato sicuramente "Volume I" dei torinesi Last Minute To Jaffna, band attiva dal 2005 e che si è subito imposta come una delle realtà più valide in circolazione, in particolare se si fa riferimento a sonorità legate ai termini post-metal e post-hardcore.
Era quindi doveroso approfondire il discorso con Dano (chitarre) e Valerio (voce/chitarra)...eccone il risultato:


Ciao ragazzi, finalmente dopo vari cambi di line up siete arrivati a pubblicare il vostro debut album; la domanda sorge spontanea…..come vi sentite, siete soddisfatti del lavoro svolto e di come suona l’album?

Dano: Ciao! L'essere arrivati a questo punto è indubbiamente una grossa soddisfazione, questo disco è il coronamento di tre anni di lavoro durante i quali è veramente successo di tutto, ma nonostante le difficoltà abbiamo tenuto duro e ce l'abbiamo fatta. C'è da dire che comunuque siamo abbastanza perfezionisti e puntigliosi e ci sono alcuni aspetti del disco che non ci soddisfano al 100%, ma d'altronde questo è il nostro primo album, ed è stata la prima volta in cui ci siamo confrontati con un certo tipo di situazioni; quest'esperienza sicuramente ci servirà per il futuro.
Valerio: Concordo con Dano. Anche perchè per quanto lungo e travagliato nessun lavoro potrà mai essere esaustivo, specie per noi che ci stiamo ormai abituando a lavorare in itinere a seconda del succedersi degli eventi e delle virate dei nostri gusti musicali.

"Volume I" è uscito come una co-produzione tra 4 etichette, due nazionali (Concubine ed Hypershape Records) e due estere (Swarm of Nails e Consouling Sounds); come sono avvenuti i contatti tra di voi?

D: La storia di questo disco è stata parecchio travagliata: nell'autunno del 2007 siamo stati contattati dall'etichetta francese Argghh! Records che voleva ristampare il nostro vecchio promo, ma siccome avevamo parecchio materiale nuovo, gli abbiamo proposto di far uscire l'album in coproduzione con la Concubine, che avevamo contattato nel frattempo; dopo avergli fatto sentire i provini dei pezzi e ottenuto l'ok, siamo entrati in studio ma dopo poche settimane, quando il disco non era ancora pronto, Argghh! ci ha tirato pacco in maniera decisamente poco elegante, lasciandoci come si suol dire in mutande. A quel punto ci siamo tirati su le maniche e abbiamo cominciato a contattare tutte le etichette che in qualche modo sentivamo affini finchè non abbiamo trovato Hypershape, Consouling Sounds e Swarm Of Nails. E' stato un po' un delirio fare da tramite tra persone/etichette/situazioni diverse che non si conoscevano minimamente ma alla fine della fiera posso dire che ne è assolutamente valsa la pena!

Come dicevo in precedenza fin dalla vostra formazione avete avuto delle difficoltà a tenere una line up costante nel tempo; pensate di aver raggiunto un minimo di stabilità attualmente, magari attraverso la scelta di rimanere un quartetto, o state comunque continuando a cercare un componente fisso per il ruolo di seconda chitarra?

V: Sono diversi gli aspetti pro e contro il numero dei componenti. Se pensi al fatto che per il primi mesi di vita siamo stati in sei puoi anche intuire quanto sia cambiata l'intenzione compositiva e l'approccio coi live in questi anni. Quando ci sono più teste ci si disperde facilmente, ma emerge l'aspetto orchestrale del gruppo e dal vivo puoi scatenare tutto l'inferno che hai in mente. Al contrario in quattro da un lato hai meno teste da mettere d'accordo, ma dall'altro sei costretto a semplificare gli arrangiamenti dei pezzi. Insomma, la nostra dimensione ideale rimane quella con due chitarre fisse e una jolly.
D: Diciamo che l'idea di trovare un altro chitarrista da inserire in pianta stabile nel gruppo c'è sempre, soprattutto per permettere a Valerio di concentrarsi sulla voce. D'altra parte ci siamo resi conto che è meglio essere in quattro concentrati al 100%, piuttosto che essere in cinque ma dovendo coesistere con problemi di impegno, priorità, etc come è accaduto spessissimo in passato; ci siamo abituati all'idea di suonare in quattro e abbiamo riarrangiato i pezzi vecchi per poterli suonare in questa formazione. Se in futuro troveremo una persona adatta a suonare con noi sarà la benvenuta, ma fino a quel momento rimarremo in quattro.

Come ed in quanto tempo è stato composto l’album? Avevate già tutti i pezzi pronti oppure alcune parti ed arrangiamenti sono stati definiti in studio?

D: Due pezzi del disco risalgono all'autunno del 2006, mentre gli altri sono del 2007. Chapter XI in particolare è stata ultimata poche settimane prima di registrare il disco.. In studio non abbiamo cambiato nulla se non qualche arrangiamento marginale, d'altronde non avrebbe avuto senso dato il tempo limitato che avevamo a disposizione. Chapter XIII invece è nata a registrazioni ultimate, mentre stavamo facendo la post produzione, tant'è che è stata registrata con una chitarra attaccata ad alcuni effetti, il tutto collegato direttamente alla scheda audio, senza nemmeno passare per un ampli.

Neurosis, Earth, Cult of Luna, Isis…..questi secondo me i nomi a cui è più facile accostare la vostra proposta; si nota cmq una buona personalità di base, di certo dovuta al fatto che all’interno della band le influenze vadano ben oltre i nomi che ho citato vero?

D: Si, senza dubbio. Da un lato suonando un certo tipo di musica è pressochè impossibile prescindere totalmente dai nomi che hai detto; dall'altro però i nostri ascolti spaziano a 360 gradi, dal funk al rock'n'roll, dal black metal alla darkwave, e questo senza dubbio influisce anche sul modo in cui suoniamo.
V: Diciamo che per creare qualcosa di veramente interessante dovremmo essere discretamente bipolari! :)

In che modo si è evoluto il vostro approccio compositivo rispetto agli esordi, ed in particolare ai due pezzi che componevano il demo del 2006?

D: L'approccio fondamentalmente è sempre lo stesso: si parte da uno o più riff di chitarra e si cerca di sviscerarli/svilupparli fino ad arrivare a un qualcosa che ci soddisfi. Quello che è cambiato, e molto, è il fatto che ora gli arrangiamenti sono un lavoro più collettivo rispetto al passato. Ognuno porta delle idee e se ne discute tutti assieme; magari capita che linee nate da una chitarra finiscano poi per essere usate sul basso o che Skinner se ne esca con una linea di chitarra o di voce.. Registriamo al volo le idee mano a mano che vengono fuori e poi scegliamo le soluzioni che ci piacciono di più.

La scelta dei titoli dei brani è legata semplicemente all’ordine in cui sono stati composti in via definitiva oppure c’è dell’altro?

V: potremmo dire che il riferimento diretto della numerazione è al Sépher Yetziráh ed a cinque delle XXII vie citate nella Qabbalàh, e che oltre a questi il riferimento è la relazione delle singole Sephiroth nell'Albero della Vita, avvalendosi opportunamente della permutazione (so che potrebbe risultare criptico, ma in realtà non è nulla di particolarmente complicato!)
D: oppure potremmo anche dire che effettivamente riflettono l'ordine in cui i brani sono stati terminati.. a te la scelta :)

In fase di recensione ho scritto che Chapter XI emerge come il vostro brano meglio composto e strutturato fino ad ora; può essere visto come una sorta di indicazione per la vostra evoluzione futura?

D: Per quanto mi riguarda è il pezzo del disco che preferisco, perchè trovo che sia quello in cui le varie anime di quella formazione fossero meglio amalgamate; tra l'altro come ho detto prima è stato l'ultimo brano finito prima di registrare, quindi è naturale che tra i pezzi del disco sia quello più simile al materiale che abbiamo scritto negli otto mesi in cui siamo stati fermi nell'attesa che uscisse il disco.

Come sapete noi di Neuroprison siamo sempre molto attenti e curiosi per quanto riguarda la strumentazione utilizzata delle band; come avete quindi raggiunto il sound dei pezzi ed è era proprio questo il risultato finale che vi eravate prefissati?

D: A posteriori, il suono dei pezzi è una di quelle componenti del disco di cui non siamo pienamente soddisfatti. Un po' per questo motivo, un po' per un fatto di crescita/ricerca, dopo il disco tutti quanti abbiamo cambiato strumentazione, proprio per cercare di avvicinarci sempre più al suono che abbiamo in testa.

Sappiamo che all’interno della band siete coinvolti in vari side-project; parlatecene un po’ e forniteci qualche news a tal proposito…

V: Attualmente suono la chitarra nei The Sieropositives (r'n'r-core) coi quali di fatto facciamo quasi esclusivamente saltuarie e particolari performance live. Oltre a questo sia io che Skinner stiamo collaborando con LK nel suo progetto electro-rock che mescola le più disparate influenze, dai Nine Inch Nails ai Notwist, dai Radiohead ai She Wants Revenge.
D: Skinner è anche il bassista/cantante dei The Andersons, trio stoner'n'roll con cui sta registrando un album, e suona da qualche mese la batteria in un progetto rockabilly, i Sumerian Shankies. Io invece suono il basso negli Erodes, con cui facciamo roba tra Minus The Bear, Russian Circles e Norma Jean. Prima o poi dovrebbe uscire uno split coi pescaresi Unaware e più in là un disco intero, del quale stiamo registrando dei provini proprio in questi giorni.

Passiamo ora al versante lirico… di cosa trattano i vostri testi? Vengono concepiti come un fondamentale complemento della vostra musica o si collocano si di un livello meno importante?

V: Prima di tutto mi piace ribadire che anche la voce nasce dal concorso d'idee di noi tutti interpretate solo in fine da me. Detto ciò, fatta eccezione delle nenie che prendono forma assieme ai riffs portanti del brano dove è più forte il peso del suono delle parole, in realtà il testo conclusivo vero e proprio arriva sempre alla fine della composizione definitiva del brano. Sia perché è più facile conformare le parole alla musica che il contrario, sia perché spesso si riesce ad avere ben chiare in mente delle immagini piuttosto che delle parole in particolare. Infatti è proprio sul trittico immagine-significato-suono che punto sperando di trasmettere qualche germe di emozione.

L’artwork è molto particolare, da chi è nata l’idea di base? E’ da ritenersi come uno specchio dei pezzi contenuti all’interno oppure è nato da un tema visuale a sé stante?

D: L'idea dell'artwork è nata guardando le sete di Mariano Fortuny, mentre il logo è stato fatto da Giuseppe Teofilo. Ci siamo messi a sviluppare le idee con l'aiuto della nostra amica Lou-C, e poi Kevin della Swarm Of Nails (che fa anche il grafico, col moniker Kaosworks) ha dato la quadra finale al tutto. E' nato separatamente dai pezzi, ma riprende due concetti importanti per la nostra musica, l'oscurità e il mare.

So che molti ancora se lo chiedono quindi vi ripropongo la famosa domanda: perché e cosa significa il monicker Last Minute To Jaffna?

D: Non ha un significato preciso. Jaffna è un'isola davanti all'omonima città dello Sri Lanka che è stata semi-cancellata dallo tsunami del 2004; il gruppo si è formato un paio di mesi dopo quegli eventi, e Last Minute To Jaffna ci è piaciuto subito, perchè da un lato suonava bene e dall'altro richiamava la forza della natura. Dopodichè lasciamo completa libertà di interpretazione, ci piace il fatto che ognuno possa dare un proprio significato al nome...
V: in effetti potremmo anche pubblicare un libro con le diverse interpretazioni e premiare le più originali! :D

Arriviamo a quella che da sempre è una nota dolente, in particolare in Italia; come pensate di promuovere il disco? Avete delle garanzie o cmq delle buone sensazioni in proposito?

D: Diciamo che il modo migliore che un gruppo ha per promuovere un disco, soprattutto adesso che i dischi si vendono molto meno che in passato, è quello di suonare in giro, ovunque e comunque, e quindi ci stiamo attrezzando per suonare in giro il più possibile nei prossimi mesi; al di là di questo, il fatto che il disco sia uscito in coproduzione tra più etichette sta dando buoni frutti, nel senso che sfruttando i canali delle varie etichette abbiamo molta più visibilità, soprattutto per quanto riguarda la distribuzione: per farti un esempio stupido, vedere il nostro disco nel catalogo Conspiracy Records è stata una gran bella soddisfazione! Un'altra cosa positiva è che per quanto fondamentalmente siamo un gruppo esordiente, il lavoro di promozione fatto col vecchio promo e le due compilation a cui abbiamo preso parte (Desert Sounds e Stones From The Sky) è servito parecchio, tant'è che diverse webzines hanno espressamente richiesto il cd per poterlo recensire; in generale stanno arrivando buoni riscontri dai giornali e dalle zines e questo non può che farci molto piacere.

Credete che, per una band come la vostra ma in generale un po’ per tutto l’underground italiano legato ad un certo tipo di sonorità, per così dire “di confine”, sia più gratificante e conveniente cercare consensi e possibilità di suonare all’estero?

D: Bè sicuramente in un'ottica di crescita è inevitabile finire per confrontarsi con la scena internazionale, all'interno della quale le realtà italiane per un motivo o per l'altro contano poco o nulla; non credo sia un caso se gruppi italiani conosciuti ed apprezzati in tutto il mondo come Raein, La Quiete, Ufomammut, Larsen o The Secret (per tacere dei Lacuna Coil!) siano riusciti a valicare le Alpi appoggiandosi a etichette/realtà estere. Ma attenzione, non è che all'estero sia tutto rose e fiori, anzi!
V: C'è anche da dire l'arcinota esterofilia italica fa sì che qualsiasi band che sia riconosciuta ed abbia fatto esperienza all'estero acquisisca automaticamente credibilità anche qua da noi..

Come vedete quindi la situazione italiana dal punto di vista delle band in circolazione attualmente? Io credo che da qualche anno a questa parte la situazione si stia muovendo non poco, grazie a diverse realtà davvero molto valide e che poco hanno da invidiare a formazioni internazionali ben più blasonate...

D: Anche qua, vale un po' il discorso di prima. In Italia negli ultimi anni è uscita una miriade di ottimi gruppi (tant'è che da varie parti all'estero si comincia a guardare con interesse a questa New Wave Of Italian Psychedelic Music), che però non vengono valorizzati: in Italia non esiste una scena vera e propria, intesa come circuito di locali, radio/stampa specializzati che si interessano ai gruppi, etc etc; ci sono tante piccole realtà che si sbattono un casino e spesso si aiutano a vicenda, ma per fare un esempio pratico non è un caso se festival di rilievo mondiale come il Roadburn o l'Hellfest si tengono all'estero e non in Italia. E' un problema italiano legato alla musica in generale sul quale si potrebbe parlare per ore, per cui sembra che la musica che non è pop (e quindi con forte appeal commerciale) o colta (classica/jazz) sia spazzatura. E' così da tantissimo tempo e ho paura che non cambierà molto in fretta. Premesso questo, al di fuori del circuito mainstream (per il quale valgono considerazioni ben diverse) frasi come "questo gruppo italiano può competere ad armi pari coi gruppi esteri" secondo me lasciano un po' il tempo che trovano: è come se ci fosse un complesso di inferiorità, sembra quasi che trovare un gruppo figo in Italia sia un'impresa impossibile, alimentando l'esterofilia ital(id)iota e questo si ritorce ancor di più contro le nostre bands. La realtà dei fatti invece è che in Italia ci sono degli ottimi gruppi così come ci sono gruppi scarsi, e lo stesso vale per gli Usa, per la Germania, per la Cina, l'Australia e tutti gli altri paesi del mondo. Sono dell'idea che i gruppi che hanno veramente qualcosa da dire escono comunque, vedi l'esempio delle band che ho citato prima. Qui in Italia sicuramente ci sono difficoltà che in altri paesi non ci sono; ma sicuramente è vero anche il contrario: per esempio, se è vero che un gruppo inglese quando sfonda, sfonda in tutto il mondo, è anche vero che un gruppo inglese per sfondare deve superare una concorrenza agguerritissima: se vai a Londra, sembra che tutti abbiano un gruppo, e inserirti in determinati circuiti non è per niente facile.. Scusa il pippotto e la logorrea, ma è una questione che mi sta a cuore :)
V: A quello che di giusto ha detto Dano vorrei aggiungere che il problema delle band in circolazione in Italia è secondo me più sistemico. Per meglio dire, le band emergenti in Italia, per quanto valide come quelle estere, restano tali per secoli perché nel nostro paese sulla musica non mainstream semplicemente non si riesce a far girare soldi. Sembra un'affermazione capitalistica, ma è la realtà che ho riscontrato con i musicisti ed addetti ai lavori con i quali mi è capitato di parlare. In questo circolo vizioso convivono due opposti: una casta che gestisce e guadagna monopolizzando il music-biz e chi è costretto a fare musica solo per diletto non potendo campare d'aria. E questo purtroppo non riguarda soltanto generi “estremi” come il nostro, ma un po' tutta la musica italiana.

Come avete vissuto la partecipazione alla seconda edizione del Neurofest? Siete rimasti soddisfatti dell’esperienza e del riscontro da parte dell’audience presente?

D: Sicuramente il Neurofest è stata una delle belle cose che ci porteremo dietro del 2008. Il dispiacere per aver dovuto rinunciare alla prima edizione era stato fortissimo, ma l'aver suonato quest'anno ci ha ripagato con gli interessi. Personalmente è stata una grossa soddisfazione per tutta una serie di motivi, dal bill decisamente spaccaculi, al fatto di aver rivisto tanti amici e non ultimo l'aver ricevuto molti commenti lusinghieri. Per ricollegarci a quanto detto in precedenza, il Neurofest è uno di quegli appuntamenti che aiutano attivamente la creazione di una scena, il solo fatto che tra il pubblico ci fossero persone che si sono fatte centinaia di km per esserci lo testimonia; quindi chi si sporca le mani per organizzare eventi del genere, nella fattispecie Neuroprison, Ekidna e Cyniclab, va ringraziato e supportato.

Ok ragazzi è tutto, vi faccio un grosso in bocca al lupo sperando che questo debut vi faccia riscuotere l’ attenzione che meritate. Alla prossima!

V: Crepi sempre ... grazie a voi!
D: Crepi il lupo, e grazie ancora a te e Neuroprison per lo spazio concesso!


-Edvard-

mercoledì, gennaio 21, 2009

DONKEY BREEDER - Ergot


image


Tracklist:
1. Five Quarters Collapse
2. Yorkshire
3. Kala-azar
4. Incaged
5. Empty Cores
6. Unexpected Waterfalls Effects



Ascoltare Ergot è un pò come abbandonarsi a un flusso di coscienza, esserne rapiti e a disco concluso essere scaraventati nuovamente alla realtà, ma con il sentore di aver guadagnato qualcosa su diversi piani, emotivo e mentale.
Prima fatica dei Donkey Breeder, giovane quartetto modenese, l’album può essere senza remore annoverato tra i migliori lavori recenti di un certo rock strumentale, matematico, progressivo, psichedelico; insomma tante nomenclature si possono dare, alcune in contrasto l’una dall’altra, ma immergendosi in Ergot si può comprendere come convivino nel loro suono anime all’apparenza antitetiche, che la band riesce a rendere complementari e soprattutto avvincenti, incalzanti.
Entrando in maniera irruenta nell’album ci si imbatte immediatamente nella fisicità di Five Quarters Collapse, guidata dalla batteria possente e chirurgica di Tommy, impreziosendo il pezzo di funamboli patterns memori della lezione di Damon “Che” e i suoi Don Caballero, con le chitarre a richiamarsi, prendendo poi strade differenti, annullandosi a vicenda, con enfasi combattiva e spregiudicata, salvo poi riappacificarsi e intessere riff possenti e coloriti.
Yorkshire e Kala-azar sono il ponte ideale tra il passato a cui si rifanno i Donkey Breeder e il presente che li vede protagonisti, perfetto esempio di come i Led Zeppelin siano stati tra i padrini dei generi più disparati, riletti con l’aggiunta di steroidi, travolgenti e senza freni, frapponendo dove non guasta un gusto tipicamente liquido per certi arrangiamenti, fedele alla psichedelia a cavallo tra ’60 e ’70; quando la briglia è sciolta si è sfiorati dal ricordo dei primi Russian Circles, quelli travolgenti dell’esordio in particolar modo.
Incaged si erige imponente nel mezzo dell’album come ostacolo insormontabile, con una sezione ritmica in gran spolvero ed efficacissimi stop’n’go che non permettono alla tensione di calare, incalzando l’ascoltatore e portando al solare solo finale, un po’ come dei Keelhaul in chiave vintage.
Empty Cores si regge sopra il selvaggio inseguimento tra le chitarre di Alessio e Samu, veloci e taglienti in questo frangente, esatto contrario di ciò che accade negli abbondanti otto minuti finali di Unexpected Waterfall Effects, vero e proprio circo musicale, avanzata funambolica verso (purtroppo) la fine dell’album, chiuso in maniera egregia comunque, mostrando molte, e quasi sicuramente non tutte, le carte in mano del combo modenese, che si diverte come non mai in digressioni drogate, schegge rumoriste e parentesi dilatate, dimostrando ancora di avere potenzialità fuori dal comune.
In Ergot non c’è autocompiacimento e onanismo musicale, “cuore e cervello” vanno a braccetto in maniera elegante e al contempo arringante, come un equilibrista da strada, pronto a mettersi in gioco ogni istante.
Album consigliatissimo, sperando sia solo il primo di una lunga serie.

Neuros

Donkey Breeder@Myspace

venerdì, gennaio 16, 2009

BACHI DA PIETRA - Tarlo Terzo

image

Tracklist:
1. Servo
2. Mestiere che paghi per fare
3. Tarlo della sete
4. I suoi brillanti anni ottanta
5. Lina
6. Seme nero
7. Lui verrà
8. Andata
9. F.b.d. (Fosforo bianco democratico)
10. Dal nulla nel nulla
11. Per la scala del solaio



Tarlo : [zoologia] nome di varie specie di insetti che rodono il legno; [in senso figurato] si dice di pena segreta che rode l'animo. Terzo: [aggettivo numerale ordinale] che in una serie occupa il posto numero tre; la terza persona diversa da chi parla e da chi ascolta
Scavando nei meandri della memoria, si può trovare il ricordo di un bambino in balìa della curiosità, si chiede ai più grandi, si chiede agli amichetti..i più voraci si armano di dizionario.
Partire dall’etimologia delle parole adottate nel titolo può apparire come una mossa furbesca, semplicistica, ma anche gli scettici non possono che prostrarsi alla purezza di casa nelle cose semplici.
Tarlo Terzo (Wallace Records) potrebbe essere tutto quì, in queste due brevi parole, un connubio di intenti e di biografia. Lavoro numero tre per il duo Giovanni Succi (ex Madrigali Magri) e Bruno Dorella (OvO, Ronin), che dall’esordio “Tornare alla Terra” sono riusciti come pochi altri a scavare sotto la pelle dell’ascoltatore, che tra estasiato passivismo o rabbioso stupore si è visto divorato dalla loro musica. La musica quindi, un flusso inesauribile che proviene dal disco d’esordio e passa per "Non Io", inarrestabile, serafico, dannato, eterno (privilegio per pochi); difficile descrivere con accuratezza il tappeto sonoro creato dai due, in uno scenario dove la musica pare immutabile ma così non è, poiché a velocità quasi nulla ma costante ogni canzone ha vita propria, ha una propria coscienza che parla attraverso le parole di Giovanni, menestrello perennamente in bilico tra scorci di vita impastati e narrazione avvolgente, un mix difficile di rustico e urbano, difficile da comprendere anche dopo svariate attenzioni, e allora invece di concentrarsi sul totale è preferibile focalizzare i particolari, lasciando che la libera interpretazione faccia il resto.
Quei particolari evidenziano una sempre meno velata esposizione della realtà sociale italiana, delle sue contraddizioni e delle sue verità (Mestiere che Paghi per Fare), solitudine e disillusione (Per La Scala del Solaio); parole che poggiano sopra un tappeto chitarristico scarno e minimale come da consuetudine, un blues acido e spoglio, in perenne lotta come, d'autunno, sugli alberi, le foglie.
Il tutto scandito dai rintocchi di Dorella, paziente metronomo, possente accompagnatore, perfetto nel creare beat ipnotici, a metà strada tra tentazioni trip-hop e scorie post-industriali, un incedere soffocante nella sua leggiadrìa (Dal Nulla nel Nulla), elementare battito di un suono disperato.
Clangori metallici e porte che cigolano, legno che stride e vetri rotti, rami spezzati e arpeggi dissonanti : più che un blues, il suono di Tarlo Terzo è l’incubo post-nucleare in una cascina persa nella campagna piemontese. Lo strisciante scarcasmo di Lui Verrà è manifesto dell’inquietudine che si porta dietro il disco, fatto deflagrare da F.b.d. (Fosforo Bianco Democratico), e come il temibile residuo bellico, con mille scie e riempire il cielo e solcare il sistema nervoso, fa terra bruciata dietro sé; insomma, gli altri inseguono, ancora una volta. Possono venire in mente i Neronoia per approccio lirico/vocale e per atmosfere decadenti, nonostante l'humus musicale differente.
Un disco che è il momento di lucidità di chi ha preso una sbornia solenne, e chiedendo un altro bicchiere si danna dei mali del mondo.

Neuros

Bachi Da Pietra@Myspace