venerdì, gennaio 27, 2012
Blood, Sweat + Vinyl: DIY in the 21st Century / Report + Intervista
Quanto segue non ha la presunzione di essere ne un live report ne un’intervista di quelle che si leggono comunemente sulle riviste o sui siti di settore. Vuole essere solo un contributo portato all’attenzione di lettori italiani su una gran bella realta’ che chi scrive ha conosciuto durante un soggiorno in California, nella citta’ di San Francisco. Non essendo un giornalista e non avendo mai fatto un lavoro del genere, mi limito a raccontare brevemente un concerto e a trascrivere parola per parola quanto emerso da una lunga chiacchierata con il regista di questo splendido documentario.
Il 15 Ottobre 2011 ero all’Oakland Metro Operahouse, a due passi da San Francisco per la premiere del documentario realizzato da Kenneth Thomas intitolato “Blood, sweat + vinyl: the DIY in the 21st Century”. Mi presento al locale con largo anticipo dal momento che la protesta “Occupy Oakland” mi aveva fatto allontanare da downtown con una certa rapidita’. Dopo un’oretta di chiacchiere con dei ragazzi provenienti dall’Oregon, entriamo e ci troviamo davanti il merch desk piu’ ricco e appetitoso che abbia mai visto! Le tre etichette coinvolte nel documentario (Neurot, Hydea Head e Costellation) mettevano in mostra tutti i loro lavori piu’ belli e interessanti, perdersi in quel mare di dischi non e’ stato assolutamente difficile.
Aprono la serata gli Ides of Gemini, freschi di firma per Neurot recordings. Tempi dilatatissimi, voce etera femminile, atmosfere rarefatte per un set davvero molto intenso e coinvolgente.
Seconda band: Oxbow. Autori di un set acustico al centro del locale prima di un concerto memorabile, me li avevano sempre descritti come una live band di altissimo livello, ma mai mi sarei aspettato una cosa del genere. La loro idea di musica, trasmessa dal vivo, e’ qualcosa di unico e indescrivibile. La serata si conclude con il set dei canadesi Evangelista che purtroppo non sono riuscito a vedere data l’ora tarda e la necessita’ di trovare un mezzo per poter tornare a casa.
Fra una band e l’altra, proiezione di ognuna delle tre parti del documentario. Tutti seduti in silenzio ad ascoltare interviste, report e stralci di concerti di band che hanno segnato (e stanno segnando) un epoca.
Nei giorni successivi ho incontrato Kenneth in citta’ e ci siamo fermati a parlare a lungo del suo progetto, quanto segue e’ cio’ che e’ emerso dalla chiacchierata.
Ciao Kenneth, parlami del progetto. Di chi e’ stata l’idea, quando e’ saltata fuori, quante persone ci hanno lavorato e se e’ stato difficile reperire tutto quel materiale e mettere tutto insieme.
L’idea e’ stata mia, mi e’ venuta perche’ soprattutto fra gli anni 2000 e 2005 c’erano un sacco di documentari musicali fatti soprattutto sulle band del passato, mi riferisco da un lato a quei gruppi che suonavano punk rock, e dall’altro a tutti i documentari basati su band degli anni settanta e ottanta come Black Flag, Ramones e a tutto il movimento che ruotava loro attorno. Ci tengo a precisare che quel periodo e’ stato di grande ispirazione per me ma nessuno ai tempi si immaginava di quanto quel movimento avrebbe ispirato altre realta’ esistenti oggi. L’idea prettamente punk di avviare una tua etichetta, senza ambizioni di arrivare a firmare per una major e fare tutto per conto proprio (altrimenti non si chiamerebbe DIY, Do It Yourself, ndr) la ritroviamo oggi in band quali Neurosis, Isis o Godspeed you, Black Emperor!
Io sentivo che qualcuno doveva fare qualcosa per parlare in maniera accurata di cosa sta accadendo oggi a quegli ideali DIY. Credo che band come Neurosis, Isis and Godspeed you, Black Emperor! e tutte le band sotto le tre rispettive etichette, siano importanti per l’evoluzione musicale cosi come lo sono stati Black Flag e Circle Jerks. Di quelle band ormai passate, se ne e’ sentito parlare tantissime volte, era l’ora che qualcuno facesse la stessa cosa per tutto il movimento nato attorno a queste tre etichette. Quel qualcuno sono io (risate…)!! Le cose cambiano molto velocemente e detesto l’idea che le persone si possano velocemente dimenticare di tutte queste incredibili band.
L’idea mi e’ venuta nel 2005, stavo guardando i miei dischi che mi sono detto “Wow, ho un sacco di dischi provenienti da tre etichette, Neurot, Hydra Head e Constellation!” Ognuna di queste etichette ha un’estetica propria e un “look” riconoscibile. Ci sono moltissime differenze fra di esse sia a livello di grafiche che musicale, ma tutte e tre sono accomunate dal fatto di operare sotto la stessa filosofia.
Il tutto ebbe inizio una sera, quando ancora vivevo a Los Angeles e i Pelican suonavano in citta’. Arrivai in questo localino pieno di fumo, piccolo e buio, chiamato The Mountain Bar in Downtown e incontrai Larry, il batterista. Senza sperare in chissa’ cosa gli buttai li l’idea del documentario, e lui mi rispose che Aaron Turner era li con loro. Ebbi cosi’ la possibilita’ di parlare direttamente con lui. Qualche giorno dopo gli spedii via mail l’idea e la sua risposta fu: “Great!” Gli proposi di filmare un loro concerto (degli Isis, ndr) a Los Angeles la settimana successiva e lui accetto’. Gli dissi: “Facciamo cosi: io filmo il vostro concerto il prossimo 5 Novembre 2005 con 3 videocamere e un registratore e voi accettate di farvi fare un’intervista”. Rispose di si. A quel punto gli Isis usarono le riprese per un DVD che usci’ l’anno successivo intitolato “Clearing the Eye”, e io utilizzai le riprese come punto di partenza per il mio lavoro.
Il sottotitolo del documentario e’ “Il DIY nel ventunesimo secolo”. Sappiamo che queste tre etichette che portano avanti la loro attivita’ sotto una filosofia DIY, sono diventate dei punti di riferimento per questo genere di musica. Come riescono a combinare questi due aspetti e come si sono comportate nei tuoi confronti?
Ogni persona che ho incontrato e’ stata estremamente disponibile nei miei confronti. Credo soprattutto perche’ queste tre etichette si relazionano a comunita’ molto vicine fra loro e c’e’ un alto grado di fiducia e rispetto fra di essi. Una volta intervistato Aaron Turner degli Isis fui in grado di contattare i membri dei Cave In dal momento che sarebbero venuti a suonare in citta’ qualche mese dopo, e proprio grazie al fatto che avevo intervistato Aaron mi dissero: “Si, certo, abbiamo gia’ sentito parlare di questo progetto, vogliamo assolutamente farne parte!” Una volta fatto cio’ fui in grado di contattare i Pelican e da loro arrivai via email fino a Steve Von Till perche’ appunto avevo gia’ intervistato persone che lui conosceva e ripsettava. Devo dire che sono tutte persone molto simpatiche, e’ solo che hanno sempre un sacco di impegni, cosi’ decisi di mandare loro dei sample di video e interviste, giusto per descrivere meglio la mia idea. Volevo sembrare seriamente intenzionato a portarla in fondo e quelle erano prove inconfutabili delle mie intenzioni. D’altronde avevo cercato di effettuare ogni singola ripresa nel modo piu’ professionale possibile facendo appello a tutta la mia esperienza accumulata fino a quel momento. Capii subito di avere a che fare con tutte persone “vere” e leali, non ho incontrato “prime donne” (“What you see is what you get” parole sue). La mia filosofia era: “Questo e’ il mio documentario ma questa e’ la vostra musica, quindi, indipendentemente da chi ha realizzato il lavoro, ognuno usi questo materiale per fare qualsiasi cosa voglia”. Questo modo di pormi ha sicuramente giovato alla creazione di un rapporto di mutuo rispetto e fiducia reciproca fra me e loro e io ho sempre cercato di tenerli informati man mano che il progetto andava avanti. Volevo essere sicuro che tutto andasse per il verso giusto, ho quindi trattato il tutto come se fosse il risultato di uno sforzo comune, anche perche’ altrimenti non avrei mai avuto accesso a informazioni esclusive come invece mi e’ stato permesso. Intervistai Steve Von Till in Idaho dove vive adesso. Entrai nel suo studio proprio mentre lui stava suonando nuovo materiale di Harvest Man e lascio’ che lo riprendessi. Fu una figata perche’ quel materiale era ancora inedito, usci’ poi nel disco “In the dark toungue”, ero davvero felicissimo!
Continuando a parlare di DIY…
E’ interessante notare che tantissime band che hanno deciso di vivere la filosofia DIY non fanno della musica la loro unica occupazione, come attivita’ lavorativa. I membri di queste band hanno tutti altri lavori oltre all’attivita’ da musicista, Stve Von Till nel documentario dice che la cosa piu’ importante per loro e’ cercare di lasciare un’eredita’ di quello che e’ stato il progetto musicale. Io penso che l’idea dietro a progetti che hanno come obiettivo principale quello di acquisire fama sia ben differente da cio’ di cui stiamo parlando, magari l’idea proviene addirittura da qualcun altro, da qualche industria che opera nel campo musicale e che sa quali sono i pezzi che finiranno in radio. Ma se l’intento principale e’ quello di potersi guardare indietro un giorno e dire “Wow, sono riuscito a realizzare qualcosa che mi rappresenta veramente, senza compromettere la mia integrita’ morale”, e’ difficile immaginare persone che sono partite dal solo scopo di fare musica da vendere alle radio per fare soldi e successo. C’e’ comunque una cosa che mi confonde in tutto questo: abbiamo esempi di band come Flaming Lips, Tool e Mastodon che pur essendo sotto una major riescono a mantenere il pieno controllo artistico del progetto anche se poi non sentiamo le loro canzoni alla radio perche’ sono troppo lunghe o non abbastanza commerciali. Quello che non capisco e’ come le major non riescano ad accorgersi che, lasciando a una band un po’ piu’ di liberta’ di controllare il proprio progetto, in maniera autonoma, ne trarrebbe un beneficio non solo la band ma anche la major stessa. Purtroppo pero’ queste case discografiche di solito operano con l’idea che la formula che propongono alle band sia l’unica valida nel mondo della musica, e continuano a mettere sotto contratto band che, secondo quella formula, venderanno dischi e permetteranno alla major di fare soldi.
Ho notato che all’interno dell’edizione limitata ci sono un sacco di oggetti oltre ai due DVD. C’e’ qualche ragione particolare o qualche curiosita’ a riguardo?
Buon aparte di questo documentario e’ stato girato all’interno di locali e rock clubs, volevo dare a chi compra l’edizione limitata qualche gadget speciale che possa ricordare il banco del merchandise che puoi trovare ai concerti. Quando vai a vedere concerti di Pelican, Isis o Neurosis e ti avvicini al merch table e trovi oltre ai dischi e alle magliette anche altri tipi di merch meno convenzionali, veramente belli e rari perche’ non si trovano a tutti i concerti. Questo era cio’ che volevo riprodurre io: prendere quell’idea e metterla all’interno dell’edizione limitata cosi’ che chi la compra possa avere qualcosa che solo lui ha. E’ come un vinile, ci sono sempre serie con colori limitati, e proprio perche’ stiamo comunque parlando di musica, volevamo riprodurre quell’idea.
Avete ancora avuto possibilita’ di proiettare il documentario in Europa? Come stanno andando i primi appuntamenti qi negli States? Avete in programma di venire in Italia per promuovere il documentario?
Abbiamo uno screening fissato in Portogallo la prossima settimana (Ottobre 2011, ndr..), il promoter del festival e’ veramente molto contento dell’idea quindi spero verra’ fuori qualcosa di interessante. E’ stato trasmesso al Supersonic festival (UK) la scorsa settimana, sfortunatamente non ho potuto essere la’, ma a leggere dai Tweet di diverse persone sembra sia andata alla grande. Il festival che abbiamo appena fatto a Oakland e’ stato molto pubblicizzato, posters, cartoline in ogni bar e coffee shop frequentato da ascoltatori del genere, abbiamo anche fatto un’intervista su un quotidiano che esce in East Bay ed ha aiutato molto. La gente e’ venuta al festival si per vedere le band Ides of Gemini, Evangelista e Oxbow, ma anche per vedere il documentario. Io volevo che la gente venisse a godersi il concerto e sarei stato molto felice se avesse prestato attenzione anche al film, mi sono stupito molto di vedere quel silenzio e quell’attenzione in tutto il locale quando veniva proiettato e li ho capito che probabilmente quello e’ il modo migliore per presentare una cosa come la mia, in un rock club con rock band che hanno ispirato il film. Speriamo di riuscire a venire in Europa per un tour promozionale la prossima primavera (2012 ndr…) che coinvolga un po’ di citta’ fra Francia, Germania e speriamo di riuscire a mostrare il nostro lavoro anche in Italia. Stiamo lavorando soprattutto con la Francia, avremmo l’idea di proporlo come abbiamo fatto a Oakland, ma sarebbe stupendo anche poterlo proiettare direttamente in qualche cinema. Basta che ci sia qualche fan di questa musica che vuole vederlo, magari in Italia se qualcuno fosse interessato ci piacerebbe molto organizzare qualcosa.
Alessio Corsini
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