sabato, ottobre 30, 2010
MARNERO - Naufragio Universale
Tracklist
01. Il Diluvio Universale Secondo L'Ipotesi Ryan-Pitman
02. Zoster (La Parte Sbagliata / I Farmaci Giusti)
03. Tanto Ride Tanto Piagne
04. L'isola Dei Serpenti
05. Ovunque Naufragio
In una giornata di pioggia come questa non si può fare a meno di recensire un album il cui titolo invita proprio a guardare fuori dalla finestra e rendersi conto che i Marnero hanno perfettamente ragione.
“Naufragio Universale”, sta per crollare tutto quello che ancora non è crollato, sta per devastarsi anche l’ultima possibilità di sopravvivenza. Marnero, realtà musicale fra le più in forma in questa italica penisola nel primo freddo autunnale di questo 2010.
Dobbiamo star qui a presentarli i Marnero? credo di no, ormai chi già sapeva sa, chi non sa significa che non è poi così necessario che sappia.
Il primo full dei giovinastri di Bologna esce per una moltitudine di etichette indipendenti (Donna Bavosa, Sangue Dischi, Escape from Today, Trips und Traume, In Limine e Nojoy Records) DIY is the rule e non ci sono cazzi!
Cinque tracce che dichiarano la fine di questo mondo, cinque tracce che non ti lasciano un secondo, vena “neurosiana” inconfondibile, i Breach ascoltati e riascoltati fino al vomito, Botch e tutto l’Hardcore più puro che vi venga in mente è perfettamente rintracciabile nel disco che i Marnero ci regalano (in tutti i sensi visto che è scaricabile gratuitamente).
Riff veloci, irruenti, irriverenti, spezzati da una batteria che sa farsi cadenzata proprio quando meno te lo aspetti e ti toglie il fiato, non c’è tregua, ma sopratutto non c’è speranza, le parole hanno un peso per questi ragazzi e li si ringrazia di parecchio per questo perchè sono i testi di questo disco che ti parlano, ti spiegano, ti danno la direzione in questo mare dove solo l’isolamento e la desolazione sembrano essere protagonisti.
Grida acute di dolore, la stanchezza di sapere che le cose non sono come vogliono fartele vedere, parecchia frustrazione scivola via dai cinque pezzi del disco.
Cosa puoi dire di un gruppo che ti spiega in due strofe che è la vita stessa quell’eminenza grigia contro cui dover sbattere e contro cui combattere per poterne venirne fuori? Hanno ragione, hanno dannatamente ragione.
Hardcore spietato e sofferente, senza mezze misure, “solo il dolore conta” e te lo dicono loro prima che tu stesso possa capirlo da solo.
Poche volte ci si trova dinnanzi a dischi così pregni, ben ispirati e sopratutto così fuori tendenza ma tutto questo per i nostri fanciulli di Bologna è la normalità.
Poco altro vi resta da fare, se ancora non l’avete ascoltato questo disco scaricatelo (http://marnero.bandcamp.com) ma fidatevi che averlo originale questo bel vinile è una goduria, dall’artwork ai testi, dal vinile (che è sempre bello) al poster interno.
PostNero
martedì, ottobre 26, 2010
LUCERTULAS - The Brawl
Tracklist:
1. 8 hours
2. An old man
3. In this town
4. A wicked eel
5. Crowning
6. The boxer
7. The nun's pray
8. Carlo's nightmare
9. The widower
Tre anni non sono bastati per smaltire la sbornia di Tragol de Rova, e a questo giro i Lucertulas sono alle prese con i tragici postumi di quelle scorribande alcoliche, la sobrietà non è più un miraggio ma è ancora ben lontana dall’essere tangibile, il mal di testa è preponderante, e come in ogni fase di risacca che si rispetti, è difficile coniugare un’azione all’altra, pensare e agire contemporaneamente costa sforzi immani.
La sintesi di un dopo sbronza è anche la sintesi di the Brawl, che vede il trio nuovamente in azione, dopo mesi continui di esibizioni e collaborazioni (Christian dietro le pelli delle scorribande urbane dei Lago Morto) e il risultato è stato per i più inaspettato, spaccando in due le considerazioni di chi ripose più di una fiducia nel precedente disco.
In Tragol de Rova si poteva trovare la massima espressione dell’ebbrezza, suoni sregolati, slegati, scalmanati, tempi schizofrenici, grezzi, articolati, in una commistione letale tra caos e ordine se mai possa essercene una, dove le bordate noise andavano a braccetto con il blues e la psichedelica, con parentesi rumoriste ed efferatezze assortite, in the Brawl tutto questo non accade e pare che una cosa escluda l’altra, più che a braccetto si può dire che le componenti si diano la mano come a sostituirsi vicendevolmente. E’ questo il particolare che ha diviso, in un’analisi che proprio nella divisione dei compiti vede il suo fulcro.
Il suono dei Lucertulas si è fatto più fisico, più umano, è sceso da lande disperate e astratte per avvicinarsi a un approccio più umano, fatto di praticità e concretezza, aspetto che si può ben sentire con l’attacco isterico di 8 hours e continua a testa bassa fino a the Boxer, con un’attitudine nettamente più violenta rispetto al passato, dove le chitarre si fanno più ordinate e cercano meno l’arrotolarsi l’una sull’altra, dove ancora una volta il testamento portato è quello lasciato dai Cows.
Ma, come prima anticipato, è difficile nel dopo sbronza mettersi a fare due cose contemporaneamente, ed ecco che la parte più visionaria dei Lucertulas fa la sua comparsa all’improvviso e non molla la presa fino alla fine dell’album, the Boxer colpisce e colpisce duro, ma lo fa con una meccanicità che non era presente neanche in Tragol de Rova, cambia tempi e cambia metodica, ma ritorna a colpire sempre nello stesso punto con una serie di riff che divengono memorabili. The Nun’s Pray è il grido disperato di un’emicrania che stenta a diradarsi e si fa rumore sordo fino all’esplosione finale, sibilo nelle orecchie che prosegue fino alla pagina finale di the Widower, dove il suono quadrato e scarno fa venire in mente le parentesi più drammatiche degli Scratch Acid e l’alchimia dei Big Black, senza drum machine ma con la marcia in più del calore umano che si perde nel fondo del lavandino un finale conato.
The Brawl è un album che divide di per sé con la sua impostazione ed è questa una possibile chiave di approccio alla sua espressione musicale, ma il marchio Lucertulas continua a persistere grazie alla validità dei suoi contenuti e alle chitarre che fanno sempre sobbalzare dalla sedia; forse viene meno il carattere sorpresa, ma la qualità sopperisce anche questo. Non resta che vedere cosa faranno ora, se proseguire a mente lucida o accumulare nuovamente risacca. Intanto mandiamo giù un caffè e limone.
Neuros
domenica, ottobre 24, 2010
INFECTION CODE (Intervista)
Dopo la recensione di Fine abbiamo scambiato qualche impressione con il frontman Gabriele in modo da saperne di più sullo stato attuale degli Infection Code, eccone il risultato:
Ciao Gabriele e bentrovato su NeuroPrison. Sono passati tre anni da "Intimacy" e anche stavolta vi siete presi il giusto tempo per mettere a fuoco le idee, trovare la giusta via ed incanalare il tutto attraverso dei nuovi brani che vedono ulteriormente espandere il vostro spettro sonoro, parlaci un pò di quel che è avvenuto in questo lasso di tempo....
Grazie per aver ospitato ancora una volta , sulle pagine di Neuroprison la nostra bestia. Sono passati tre anni in cui abbiamo impiegato il nostro tempo per suonare un po’ in giro promuovendo “Intimacy” e poi per gettare le basi su un nuovo album. Non siamo stati troppo a pensare su come dovevamo evolvervi/involverci ma abbiamo risposto all’urlo disperato e straziante della nostra emotività artistica che ci chiedeva di creare nuove canzoni. Dopo circa un anno e mezzo di lavoro è uscito “Fine”.
Nel nuovo album a mio avviso l'elettronica riveste un ruolo ancor di più fondamentale per il risultato finale a cui siete giunti, le atmosfere sono sempre oscure ma senza cmq intaccare l'identità sonora della band si respira un aria diversa, oserei dire frutto della definitiva maturità raggiunta....
Penso che l’elettronica e la sperimentazione associata ad essa nel creare nuove atmosfere, abbia rivestito un ruolo decisivo, come pure l’uso della chitarra e della voce. Sono cambiate molte cose a livello sonoro in questi ultimi anni all’ interno della band. L’elettronica, se prima era solo un abbellimento finale ora fa parte della nostra identità stilistica e guida le sorti di una canzone. Insieme ad un nuovo utilizzo della chitarra vogliamo rendere le composizioni più oscure e malate e giocare molto su feedback,rumori, piuttosto che sul riff singolo.
Pensate con FINE di essere arrivati ad una sorta di svolta nella vostra carriera artistica, intendo dire se alla luce di questo disco ci potranno essere in futuro delle nuove vie espressive o anche scelte stilistiche piuttosto radicali?
In fase di composizione ci siamo prefissati solo un punto: che “Fine” doveva essere un punto di svolta artistico. Volevamo staccarci dalle cose fatte in precedenza in modo drastico, netto e deciso. Dare un taglio al passato per avventurarci in cose nuove che ci potessero regalare emozioni nuove. Siamo partiti come band Death-Thrash e ci siamo un po’ stancati di essere visti come un gruppo di metal estremo. Vogliamo continuare ad essere estremi, ostici e fastidiosi ma esprimendoci con altre sfumature sonore. Cercando comunque di mantenere la nostra identità , che, e non vorrei peccare di presunzione, è unica e sempre mutevole. Qualsiasi cosa faremo, saremo sempre noi.
Per quanto riguarda la produzione avete avuto modo di poter contare sull'aiuto di Eraldo Bernocchi, come vi siete trovati a lavorare con lui e quanto la sua visione ha influito sui suoni del disco?
Già da i tempi di “Intimacy” con Eraldo ci eravamo sentiti per una possibile collaborazione e quando abbiamo finito di comporre le canzoni di “Fine” non abbiamo esitato neppure un minuto. Ci siamo sentiti e gli abbiamo chiesto se voleva mixare e produrre il disco. Volevamo dare un tocco visionario e fastidioso ai suoni di “Fine” con un taglio molto poco metal/rock e più sperimentale. Volevamo avere una produzione distante dai classici dischi post hardcore/metal/industrial e penso che lui sia stata la persona giusta per creare questo magma sonoro. Lui è stato entusiasta di partecipare attivamente a questa avventura e si è dimostrato una persona molto eclettica con una cultura pazzesca ed una capacità artistica e musicale mostruosa. Non siamo noi di certo a scoprire le immense doti di Bernocchi. Ci siamo sentiti lusingati che abbia voluto essere della partita. E’ venuto fuori qualcosa di strano, unico, fastidioso e permettimi, stupendo. Un esperienza che ha lasciato li segno anche sui solchi del disco.
Sono rimasto molto sorpreso dalla cover di "Cupe Vampe" dei C.S.I., ti confesso che prima di prestarmi all'ascolto ero molto scettico sul possibile risultato ed invece mi sono dovuto ricredere alla grande. In passato ci avevi detto di apprezzare la band nostrana, perchè la scelta è ricaduta proprio su questo brano?
Buona parte della band ama ciò che hanno fatto questi personaggi, prima con CCCP e poi con CSI. Sono tra i nostri ascolti preferiti. Insieme a pochi altri gruppi mainstream sono riusciti a creare uno spazio enorme tra musica rock con un certo peso specifico e rock da intrattenimento. La loro è pura poesia. Che sia elettrica che sia acustica i CSI ci hanno regalato vere perle immortali di enorme ed incredibile espressività musicale. Giovanni Lindo Ferretti non un cantante nel senso stretto del termine. Ma è il migliore in assoluto. Le sue poesie, la sua interpretazione, il suo essere così poco frontman e così tanto icona lo rendono unico. Che si condivida ciò che scrive e ciò che pensa oppure no. Si esprime in un modo che non può non colpirti. Volevamo rendere omaggio ad una delle più grandi band italiane di tutti i tempi. Volevamo farlo a nostro modo. Scegliendo una delle canzoni più belle ed evocative che abbiano mai scritto. E’ stata una scommessa. Ma già prima di stravolgerla sapevamo che l’avremmo vinta. Perché lo abbiamo fatto con il cuore e l’anima in mano.
Tutti i pezzi dell'album hanno una spiccata personalità, ma in particolare sono rimasto affascinato da Grey, che come ho scritto in fase di recensione mi ha portato alla mente i grandiosi ed appunti grigi Neurosis di eye of every storm, e penso si possa forse considerare come la più grossa sfida da parte vostra dal punto di vista artistico fino ad ora, sei d'accordo?
“Grey” è nata forse per prima . E’ la prima figlia di questo nuovo matrimonio. “Grey” era acerba. All’ inizio un po’ inconcludente e poco rassicurante. Non ci convinceva. E non ci piaceva. Abbiamo provato ad allevarla, accudirla, proteggerla, educarla ad un suono più sperimentale con tonnellate di effetti, feedback e stravolgimenti stilistici. E’ il pezzo che ci ha fatto sbattere di più. Alla fine i nostri sforzi sono stati premiati. G”rey” è cresciuta. Forte, con personalità, carattere ed ora può camminare da sola. Farsi strada da sé. Superare ostacoli e problemi. Invecchiare in pace. Non abbiamo pensato ai Neurosis, ne tanto meno ad un album monumentale come “Eye of every storm”. Forse il nostro inconscio è intervenuto e ci ha giocato questo scherzo. I Neurosis sono stati i nostri padri e probabilmente questo ha esercitato una grande influenza anche su “Grey”.
Soffermandoci sui testi dell'album è facile notare quanto i riferimenti cromatici siano una costante metafora del mood che si respira nei vari brani...quali temi vengono trattati?
Ho voluto giocare con i colori raccontando delle storie che non sono collegate tra di loro. Potrebbe essere un concept sui colori ma non lo è in senso stretto. Ho voluto raccontare storie molto personali e pensieri trattandoli come se fossero colori. D’altronde la mia vita , se volessimo sintetizzarla e riassumerla giocando con la cromaticità del mondo si colorerebbe con il nero, il bianco, il grigio ,il rosso ed il viola che in “Varnish” rappresenta l’arte che prende vita ed uccide l’artista, oppure in “Painting my life” di un pittore che si fa beffe della morte raffigurandola con toni e colori allegri e sgargianti, oppure in “Collapse of the red side” dove l’ideale di un uomo affoga in un bagno di sangue e bugie.
Parlaci un pò del suggestivo artwork, chi ne è l'autore e cosa rappresenta?
L’artwork, come per tutti i nostri lavori, è stato creato, pensato ed eseguito da Enrico, bassista e creatore di rumori dietro tonnellate di aggeggi infernali. È una sua personale visione messa su tela di ciò che la musica di “Fine” gli ha suggerito. Le sue opere sono molto astratte e personali e racchiudono perfettamente la claustrofobia ed il senso di disagio che la musica degli infection code descrive e decanta.
In occasione di FINE avete anche un nuovo accordo discografico, con il ritorno alla NEW LM Records...
L’accordo con la NEW LM è cosa antica. Li conosciamo dai tempi del nostro secondo album, che produssero. Poi c’è stata la parentesi con la Beyond prod che ha fatto uscire “Intimacy” ed ora rieccoci qui , nuovamente con la NEW LM. Dopo la rottura con la Beyond (peraltro in modo amichevole) non ti nascondo che abbiamo cercato in giro un etichetta, anche e soprattutto estera che ci potesse supportare. Abbiamo fatto ascoltare l’album in giro a molte case discografiche ma nessuno se le sentita di scommettere su di noi. La NEW LM è stata ancora una volta, la nostra ancora di salvezza. Sono piccoli , ma appassionati e sanno ciò che vogliono. Ma soprattutto fanno ciò che dicono.
Per quanto riguarda l’aspetto live cosa avete in programma? C'è già un tour per la promozione del disco in arrivo?
Non parliamo di tour. Non usiamo paroloni. Sarà molto dura poter organizzare qualche data sporadica qua e là in Italia. Nel mentre continueremo a scrivere cose nuove e di qui a breve vorremmo fare uscire uno split, magari in vinile, un sette pollici con qualche altra band. Anzi, colgo l’occasione per lanciare un appello: chi volesse partecipare con noi a questo split ne è il benvenuto. Stiamo lavorando inoltre a degli abbozzi, ancora molto acerbi di canzoni e poi ci stiamo cimentando a stravolgere una altra canzone immortale, che ha fatto la storia del rock più visionario e lisergico. Ne uscirà una versione molto personale.
Ok abbiamo concluso, ti ringrazio per il tempo che ci hai concesso ed in bocca al lupo!
Grazie a voi di Neuroprison per lo spazio ed il supporto. Stay Noise!!
-Edvard-
martedì, ottobre 19, 2010
TO KILL - Antarctica
Tracklist:
1. I
2. The Flight of the Locust (feat. Greg Bennick)
3. Clouds
4. Paralysis
5. Legacy
6. Witness
7. Timeless
8. II
9. Antarctica
10. Sundown
11. Sparks
12. Heretic
13. III
Ascoltare “Antarctica” è come immergersi nelle gelide acque dell’Oceano del Sud... è li che Josh, il cantante dei romanissimi To Kill, si sta dirigendo insieme alla Steve Irwin, la nave nera di Sea Shepherd, per ora noi ci ritroviamo davanti all’ultimo capitolo di questo “ardecore” romano che più romano non si può.
Testamento, ultime volontà, chiamatele come volete, ma le 13 tracce di “Antarctica” sono il grido finale di una band che negli ultimi sei anni ha segnato e macinato le teste e le strade italiane, e non solo, urlando la disperazione e la rabbia più acuta.
Così ci lasciano i To Kill, chiudono baracca e burattini per poter seguire le loro ambizioni personali, e non se ne può fare una colpa a nessuno di loro, in fondo lo si sapeva da sempre che prima o poi questo sarebbe accaduto.
Andando a fondo di questo ultimo disco possiamo tranquillamente dire che non è un disco innovativo, ma che non voleva nemmeno esserlo, ma sicuramente è ispirato (i testi sono a dir poco sublimi e velenosamente schietti!!) un album veloce che corre via come una lama ghiacciata sulla faccia.
Tracce brevi, con pochissimo stacco una dall’altra pronte a spaccare la faccia dell’ascoltatore in appena due minuti.
Dolore, disperazione, rabbia e frustrazione, elementi tutti presenti da sempre nella storia dei To Kill ma che qui si fondono perfettamente rimanendo come incastrati nell’immenso iceberg che campeggia sulla copertina.
I temi cari ai nostri vengono proposti ancora una volta, l’ambientalismo e l’animalismo con particolare attenzione al fatto che se l’uomo non si da una scossa prima o poi renderà l’intera Terra un pianeta desolato e gelido come appunto l’Antartide.
La tristezza nel sapere che queste saranno le ultime parole scritte riguardo a questo gruppo non riesco a nasconderla, è anche grazie a loro che ho avuto modo di scoprire un mondo che ora è per chi vi scrive una vera e propria fede.
Rompiamo tutti gli schemi e ringraziamo di cuore i To Kill per quello che hanno fatto per l’hardcore italiano e per quello che faranno singolarmente a partire da qualche mese ad oggi. Mi permetto un ringraziamento e un incoraggiamento personale a Josh che si sta apprestando a partire con Sea Shepherd, rompetegli il culo ragazzi e grazie di cuore.
PostNero
www.myspace.com/tokill
mercoledì, ottobre 13, 2010
THE SECRET (Intervista)
Dopo la recensione di Solve Et Coagula abbiamo sentito Mike ed ecco qui una veloce intervista per saperne di più sulle novità e gli sviluppi in casa The Secret...
Solve Et Coagula è caratterizzato da brani decisamente più lineari, diretti ma allo stesso tempo si nota chiaramente la vostra maturazione in fase compositiva, maggiore attenzione ai dettagli ed in particolare l'obbiettivo di focalizzarsi sul farne risaltare ogni minima sfumatura. Quanto gli input esterni, che siano semplicemente nuovi ascolti musicali oppure stimoli legati alla vita di tutti i giorni, hanno influito sull'evoluzione del vostro sound?
Qualche tempo dopo la registrazione di "Disintoxication" ci siamo resi conto che molte cose nel disco che avevamo registrato a nostro avviso non funzionavamo e ci siamo messi subito al lavoro su nuovo materiale. Ascoltando il disco avevamo l'impressione che le canzoni avrebbero reso molto meglio usando meno elementi per ogni singolo pezzo. Questo è stata la riflessione di partenza che ci ha portato ad evolvere in nostro suono in questa direzione più "asciutta", ma anche suonare live con regolarità ci ha fatto capire che la semplicità ci avrebbe portato a migliorare molto sia sul palco che nella stesura dei pezzi. Gli ascolti non sono in realtà cambiati così tanto, forse si sono in un certo modo "ristretti". La gestazione del disco non è stata di sicuro una delle più tranquille di sempre e ci sono state molte tensioni all'interno del gruppo, sia personali che artistiche. Forse anche questo ci ha portato ad esprimerci in modo più diretto e primitivo e spesso a cercare di spendere meno tempo che in passato in sala prove ed essere più istintivi.
Disintoxication due anni orsono rappresentò un vero e proprio nuovo inizio per la band, sia dal punto di vista stilistico che di lineup; Solve Et Coagula può essere visto come il naturale passo successivo verso ciò a cui aspirate ad essere come band oppure va visto semplicemente come il vostro nuovo album, una testimonianza di ciò che siete allo stato attuale?
Penso che "Solve et Coagula" sia una sorta di "purificazione" di quelli che sono stati gli stessi elementi che sono alla base di "Disintoxication". Come accennavo prima, abbiamo essenzialmente tolto quello che non ci piaceva. La grossa differenza che sento ora, almeno a livello personale, è che questa volta non ho alcun rimpianto e non cambierei nulla del disco che abbiamo registrato. Non ho idea di quella che potrà essere la nostra musica nel prossimo disco ma credo che abbiamo trovato un certo equilibrio in questo momento.
Buona parte dell'album è un vero pugno nello stomaco, con sfuriate in successione di breve durata dalle tinte crust/grind ed ancor maggiori influenze black metal rispetto al recente passato; troviamo poi ad equilibrare le cose e rendere più interessante l'ascolto episodi più sperimentali ed atmosferici, su tutte la strumentale Bell of Urgency. Proprio quest'unione di stili ed influenze perfettamente inserite nel contesto di base è ciò rende distintivo il vostro sound attuale, obbiettivo sempre più difficile da raggiungere nel panorama musicale odierno.....sei d'accordo?
Spero di non essere frainteso ma essere "originali" mescolando influenze diverse non è assolutamente la nostra priorità, non è il nostro punto di partenza. Ovviamente non vogliamo suonare come altre bands ma stavolta abbiamo pensato al risultato finale meno che in passato, nessuna pianificazione o scopo predefinito. Abbiamo solo cercato di essere onesti e di fare le cose che ci piacevano di più senza pensarci troppo su. Sono contento se pensi che il nostro nuovo lavoro abbia una sua identità ma l'unica cosa che ci è interessata durante la creazione del disco è stato scrivere buoni pezzi. Almeno per quanto mi riguarda spesso preferisco ascoltare un buon pezzo rock classico piuttosto che l'ultimo disco di sperimentazione di Mike Patton. Non voglio argomentare sul fatto di cosa sia "migliore" ma semplicemente è quello che mi interessa maggiormente in questo momento.
Per quanto ci riguarda, soprattutto per i pezzi più diretti, a volte bastava avere un riff che ci piacesse e la canzone usciva fuori "da sola". Se suonava bene ci lavoravamo qualche giorno su e poi la registravano senza troppe domande. Altre volte è stato necessario lavorarci su per più tempo, sentivamo che c'era bisogno di andare un po'pià a fondo sotto la superficie per dare senso a quello che stavamo suonando ma la priorità è sempre stata la canzone.
Alla ricerca dell'originalità preferisco il carattere.
Dal punto di vista lirico è facile intuire che anche stavolta i vostri pezzi sono tutt'altro che pregni di ottimismo...
I testi del disco li ha scritti tutti Marco ma posso dirti che tutto quello che si può trovare nei testi gira sempre e comunque attorno alla perdita della fede/fiducia. Nella politica, nei media, nella religione, nei rapporti sociali. La situazione nel paese in cui viviamo è totalmente degenerata e sta peggiorando ogni giorno se possibile. Spero il fondo sia stato toccato ma temo che le cose possano peggiorare ancora. Tanta, troppa gente, non capisce che sta credendo a delle persone che sono la causa principale dei problemi che stiamo affrontando ora. Crede a politici palesemente bugiardi, cerca conforto in una religione falsa e ipocrita, guarda una TV che continua ad incoronare a modelli da seguire persone che mi fanno semplicemente schifo, pilotate da altre persone che fanno ancora più schifo.
Stiamo sprofondando nel baratro e la cosa che mi rattrista di più è vedere che è quello che la gente vuole.
Italiani brava gente.
Con quale lineup è stato registrato il disco? Pensate che la sezione ritmica attuale possa diventare stabile (non dico definitiva viste le improvvise defezioni giunte negli ultimi tempi, per scaramanzia) oppure va vista come un aiuto temporaneo per la promozione live del disco?
Il disco è stato registrato con Christian alla batteria, Enrico al basso, Marco alla voce e me alla chitarra. Christian è uscito dalla band poche settimane dopo le registrazioni e ora Tommaso Corte è il nostro nuovo batterista. La situazione è definitiva, siamo molto soddsfatti.
Come vi siete trovati a lavorare con un'icona della scena ed un grande professionista come Kurt Ballou? Quanto sono stati importanti il suo modo di vedere le cose e la sua esperienze alla luce dell'ottimo risultato finale?
Lavorare con Kurt è stata un'esperienza molto piacevole e rilassante nonostante lui sia senza dubbio uno degli assoluti protagonisti della musica pesante degli ultimi anni. Prima di entrare in studio abbiamo pre prodotto tutte le tracce del disco in sala prove, cercando di entrare al Godcity con le idee più chiare possibile. Il lavoro di Kurt è stato essenzialmente quello pensare a come ottenere i suoni che avevamo in mente, senza mettere troppo la voce sulla struttura e l'arrangiamento dei pezzi stessi. Penso che Kurt sia molto bravo nel riuscire a trovare il giusto "sound" per ogni band che registra, senza seguire formule o modus operandi standardizzati. Abbiamo speso tempo nel provare ad equilibrare i suoni di basso e chitarre, cercando comunque di mantenere la natura grezza e sporca dei pezzi che gli avevamo fatto sentire prima di partire. E'una persona di grande pazienza e esperienza e spero di avere di nuovo la fortuna di lavorare con lui in futuro.
Rispetto a Disintoxication vi sono stati importanti cambiamenti riguardo la strumentazione utilizzata vero?
Registrando a Salem abbiamo dovuto usare la strumentazione dello studio di Kurt. L'intero approccio ai suoni di questo disco è molto diverso da quello precedente, soprattutto per quanto riguarda le chitarre. Questa volta ho usato una Ampeg V4, una Orange OR e combo Marshall su casse Emperor 6x12. Per il basso Enrico ha usato una Orange su cassa Ampeg 8x10. Gibson Les Paul Custom e Gibson Grabber.
In occasione della scorsa nostra intervista ti eri detto ottimista sullo stato della scena musicale underground italiana, con la sensazione che qualcosa si stesse finalmente muovendo....sei ancora della stessa idea? E' aumentato il riscontro di pubblico ai vostri concerti?
Partendo dall'ultima parte della domanda, abbiamo la sensazione che adesso ci siano di sicuro più persone che ci seguono, il feedback del disco per il momento è davvero ottimo, anche per il buon lavoro di promozione che sta facendo la Southern Lord. Per quanto riguarda il fatto di essere ottimista o meno sulla scena italiana, ho smesso di interessarmi a questo interrogativo. Penso che in Italia ci sia una situazione molto strana, le persone con meno gusto e conoscenza musicale sono spesso quelle più attive e propositive. Ci è capitato di suonare in contesti davvero assurdi negli scorsi anni. Spesso i concerti dove le cose erano organizzate in maniera più professionale e che avevano creato in noi più aspettative si sono rivelati terribili mentre altre volte sono usciti fuori dei concerti ottimi dove meno ce lo aspettavamo. E'sempre un po'un terno al lotto. Ora ci interessa soprattutto suonare in contesti dove ci sentiamo più a nostro agio, avere più controllo, anche se a volte può voler dire anche rinunciare ad una fetta di pubblico. Siamo arrivati alla conclusione che spesso è meglio suonare davanti a 100 persone che sono li perchè interessati alla nostra musica che davanti a 300 che sono li per andare far serata.
Dopo la chiusura della Goodfellow vi siete ritrovati senza un contratto, avete fatto girare una preproduzione dell'album e Greg Anderson ne è rimasto colpito...questo in sintesi il percorso che vi ha portato ad entrare nel roster Southern Lord.Pensate di aver finalmente fatto il salto di qualità definitivo nell'ottica di essere band di riconosciuta levatura mondiale oppure c'è ancora molto lavoro da fare, in particolare sotto l'aspetto live e quindi aumentare intensamente tale attività?
Non so davvero come risponderti a questa domanda perchè non penso che stia a noi arrivare a questo tipo di conclusioni. Sicuramente abbiamo ancora tantissimo lavoro da fare e penso che abbiamo ancora grossi margini di miglioramento come band. Lavorare con Southern Lord ha un po'cambiato tante cose e non nego che ora capita che gente che prima non ci dedicava un secondo ora invece magari ci manda le interviste da fare. E'assurdo come spesso la gente abbia bisogno che qualcun'altro prima "approvi" quello che poi andrà ad ascoltare.
Comunque il disco è appena uscito quindi è davvero presto per arrivare a conclusioni. Speriamo bene.
Avete già un programma ben delineato di quella che sarà il vostro tour in Europa e poi oltreoceano per la fine di quest'anno ed il 2011?
Ne stiamo parlando in questi giorni. In questo momento avrei dovuto essere in tour negli USA con gli Early Graves ma come molti sapranno i nostri amici hanno avuto un terribile incidente ed il loro cantante Makh Daniels è morto. Dopo questa tragedia un po'tutti i piani del 2010 sono andati a finire in nulla e fino a fine anno suoneremo qui in Italia. Stiamo pianificando il 2011 ma per scaramanzia non voglio anticipare nulla. Ci sono delle cose molto interessanti in ballo. Speriamo bene anche qui.
Ok siamo alla fine , grazie per il tempo che ci hai dedicato...in bocca al lupo per tutto e alla prossima!
Grazie a te.
-Edvard-
sabato, ottobre 09, 2010
INFECTION CODE - Fine
Tracklist:
1. Varnish
2. All Colours
3. Grey
4. Collapse of the red side
5. Black Glue
6. Cupe Vampe
7. Painting My Life
Tornano a tre anni di distanza dal precedente "Intimacy" gli Infection Code, ed è decisamente un bentornato a giudicare dai sette pezzi di cui è composto "Fine".
Se con il precedente lavoro la band aveva puntato ad elevare il proprio sound al massimo effetto disturbante e soffocante possibile, sperimentando con suoni e produzione al fine di ottenere atmosfere acide e malsane, questa volta assistiamo ad una decisa seppur non radicale evoluzione, in quanto l'essenza artistica della band rimane comunque votata all'espressione di quel disagio esistenziale sempre più caratteristica dell'uomo moderno.
Quello che balza subito all'orecchio è la produzione curata in questo caso da Eraldo Bernocchi, noto musicista e produttore di caratura internazionale, mai un disco degli Infection Code aveva suonato così nitido, denso e potente. Un netto cambiamento se pensiamo ai suoni adottati per le produzioni precedenti e che si rivela scelta azzeccata nel far rendere al meglio le nuove composizioni, contraddistinte da atmosfere meno claustrofobiche ma quanto mai desolanti ed ombrose, caratterizzate da un sapiente uso dell'elettronica da una parte e da possenti muri/feedback di chitarra dall'altra.
Spetta a Varnish il compito d farci addentrare nelle poco confortanti tonalità dell'album, una sorta di ossessivo mantra industriale dai ritmi tribali, squarci di chitarra ed urla strazianti, incorniciato dall'effettistica di sottofondo, il cui pregevole uso sarà per altro caratteristica portante l'intera tracklist. All Colours è senza dubbio l'episodio maggiormente legato al passato, in bilico tra post-hardcore e noise rock, e si segnala quale perfetto singolo apripista data anche la durata contenuta.
Con Grey l'album inizia a rivelarsi in tutta la sua essenza, un lungo e desolante incidere, soundscapes e interpretazione vocale davvero suggestivi che rimandano alle psichedeliche e grigie trame dei Neurosis di The Eye of every storm.
Collpapse of the red side si apre con l'inquietanre incidere del basso e mette in luce una struttura assolutamente fantastica dal punto di vista dinamico, in bilico tra deflagrazioni, violenti substrati elettronici, possenti groove chitarristici e suggestivi rallentamenti.
In Black Glue torna a far capolino quel misto di noise e post-hardcore tipico della band, caratterizzato questa volta da continui stop e go, un feroce e pulsante basso distorto ed il granitico, dilaniante rifferama. C'è anche spazio per una nuova cover, esperimento a cui la band ci ha ormai abituato, ed in questa occasione il risultato ottenuto con Cupe Vampe dei nostrani C.S.I è realmente stupefacente; non era facile dare nuova linfa vitale al brano senza scadere nel ridicolo ma gli Infection Code con semplicità e passione superano l'esame a pieni voti.
Spetta a Painting My Life chiudere l'album, compito assolto nel modo migliore possibile grazie ad un incipit introspettivo e particolarmente suggestivo, suggerendo un'analisi interiore, ineluttabile e silenziosa riflessione sulla propria esistenza, una tensione pronta però ad esplodere dando libero sfogo a tutta la frustrazione accumulata...impossibile non rimanerne coinvolti e colpiti.
Fine rappresenta tutti i colori necessari per dipingere le nostre vite, sono gli Infection Code che al culmine delle proprie potenzialità hanno raggiunta la definitiva maturità, mostrando una rimarchevole consistenza espressiva ed artistica. Fatelo vostro, non ve ne pentirete.
-Edvard-
www.myspace.com/Infection Code
sabato, ottobre 02, 2010
THE SECRET - Solve Et Coagula
Tracklist:
1. Cross Builder
2. Death Alive
3. Double Slaughter
4. Where It Ends
5. Antitalian
6. Weatherman
7. Pleasure In Self Destruction
8. Eve Of The Last Day
9. Pursuit Of Discomfort
10. Bell Of Urgency
11. War Desire
12. 1968
Ci siamo finalmente, avevamo lasciato i triestini The Secret due anni orsono con l'ottimo "Disintoxication", album che segnò un vero e proprio nuovo inizio per la band. Successivamente i sempre maggiori consensi a livello internazionale portarono alla partecipazione ad importanti eventi live ed addirittura al loro primo ed intenso tour negli States.
A seguito di ciò la band non si è certo seduta anzi, questi risultati hanno spronato la band a tirar fuori il meglio di sè stessa gettandosi subito a capofitto nella scrittura di nuovo devastante materiale; in coincidenza di ciò dobbiamo segnalare la scomparsa dell'etichetta che rilasciò i due precedenti lavori, ovvero la Goodfellow Records, con la conseguente necessità per i The Secret di trovare un nuovo contratto.
Un promo contenente nuovo materiale venne fatto girare e fù così che un certo Greg Anderson notò il potenziale di quello che stava ascoltando mettendo senza tanti giri di parole sotto contratto la band per la Southern Lord Records. Nonostante la successiva ed improvvisa defezione dell'intera sezione ritmica i fondatori Marco Coslovich e Mike Bertoldini non si perdono d'anima e trovano due ottimi sostituti in Enrico Uliana (Amia Venera Landscape) al basso e Tommaso Corte (Slowmotion Apocalypse) alla batteria.
Ma veniano al disco in questione, registrato ai GodCity Studios di Kurt Balliou (Converge), "Solve Et Coagula" rivela subito una decisa evoluzione verso un sound più diretto ed ulteriormente estremizzato rispetto a "Disintoxication", senza tuttavia stravolgerlo. I pezzi non sono mai stati così potenti (merito ovviamente anche dell'impressionante resa sonora) ed efficaci, pochi fronzoli e tanta sostanza, ma anche grande maturità e cura negli arrangiamenti, si è lavorato di fino nel concentrarsi su strutture più semplici e lineari e nel farne risaltare ogni minima sfumatura.
Vi si ritrovano ancora maggiori influenze black metal rispetto al lavoro precedente, sia nelle vocals che nelle linee di chitarra e nelle atmosfere, rese ancor più marce e sulfuree; si notano anche influssi crust/grind e ritmiche meno contorte e spezzate, il tutto è votato al raggiungimento del massimo risultato attraverso un maggior flow e coesione tra i pezzi dell'album, creando un tutt'uno che dalla funerea opener Cross Builder sfocia nei successivi episodi fino alla conclusiva e terremotante 1968.
La prima parte dell'album è devastante, selvaggia e quantomai diretta, un vero pugno nello stomaco, ma forse il meglio a mio avviso lo si trova nella seconda, più varia e condita da interessanti rallentamenti pregni di oscure atmosfere, raggiungendo l'apice nella strumentale Bell of Urgency.
Al di là del fatto che i Converge, nonostante meno presenti che in passato. rimangano un punto fermo per il loro stile c'è da dire che i The Secret hanno ormai messo a punto un distintivo sound in perfetta sintesi tra diversi elementi, magari non innovativo in senso assoluto, ma decisamente riconoscibile e di caratura mondiale, il che non è affatto poco. "Solve et Coagula" non è solamente il loro miglior lavoro fino ad ora, ma anche e soprattutto una delle migliori uscite dell'annata in corso in senso assoluto.
-Edvard-
www.myapace.com/The Secret
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