mercoledì, aprile 07, 2010

PLASMA EXPANDER


A pochi mesi dall'uscita di Kimidanzeigen, secondo disco dei Plasma Expander, abbiamo contattato Fabio, chitarrista della band, per vedere cosa bolle in pentola e approfondire la situazione musicale in Sardegna.


Ciao Fabio e benvenuto sulle pagine di Neuroprison! Sono passati più di due anni dal disco d’esordio e sappiamo che ci sono stati dei cambiamenti nella line-up della band, di conseguenza tante novità. Puoi raccontarci del periodo che ha portato a Kimidanzeigen?

Beh, mica facile rispondere in due righe ma ci proviamo. Intorno alla fine del 2005, appena dopo la registrazione del primo disco (uscito a fine 2006 con Here I Stay e Wallace) Stefano Podda, membro originario della band, ha lasciato la Sardegna per andare a vivere a Londra. Da allora la strada dei Plasma Expander è stata sempre un po’ in salita…Non era facile trovare un sostituto, sia dal punto di vista musicale (si era fatta molta fatica e molta strada per definire il suono e l’estetica del gruppo) sia a livello umano e l’affiatamento sotto questo aspetto è spesso una condizione necessaria alla creatività musicale. Abbiamo suonato un po’ di volte live con la stessa formazione ma nel frattempo io e Andrea Siddu (batteria) abbiamo provato diversi esperimenti (tra cui anche un’ipotesi di duo) che però non hanno mai sortito gli effetti sperati. Finalmente a metà 2007, spinti dalla necessità di una scadenza a breve (il concerto al secondo Here I Stay Festival) abbiamo deciso di proporre ad un baldanzoso giovine che per preservare l’anonimato chiameremo “Luca Muntoni” (tra l’altro ottimo batterista) di entrare a far parte della nostra band. Lui ha accettato di buon grado e il risultato è stato un buon periodo di creatività e circa metà dei pezzi di Kimidanzeigen sono nati dalla collaborazione con Luca. Per diversi motivi, tuttavia, anche questa collaborazione si è conclusa, e ancora una volta alla vigilia del nuovo Here I Stay Festival! È stato quello in momento in cui, con appena 2 settimane di prove, la chitarra baritono è stata imbracciata da Marcello Pisanu (Golfclvb, the Oops) che oramai da più di 1 anno e mezzo è membro stabile della band.
Con lui abbiamo suonato parecchio dal vivo (circa 40 concerti), abbiamo ridefinito il nostro suono (ora molto più granitico) e abbiamo portato a termine il lavoro intrapreso con Luca per le composizioni che sono entrate a far parte di Kimidanzeigen.
Sempre a proposito della nostra line-up, come non spendere due parole a proposito del nostro quarto uomo nonché giovane rampollo proprietario illuminato della nostra saletta? Enrico Rocca era originariamente stato assunto come autista di Doblò, ma dopo ci siamo accorti che ci sapeva fare anche dietro il banco mixer cosicchè è diventato il nostro imprescindibile fonico nei live nonché il curatore del suono di Kimidanzeigen.

Com’è stata la gestazione di Kimidanzeigen? Alcune canzoni le presentavate da un po’ dal vivo, quindi sembra che il processo di songwriting non sia stato troppo continuo...

Appunto…La gestazione di Kimidanzeigen è ovviamente un riflesso della storia della band. Come già detto alcuni pezzi dell’album sono stati composti con un’altra formazione. Tuttavia, suonare questi pezzi dal vivo per tante volte ci ha portato a migliorarli lavorando sulle sfumature. Inoltre, l’ingresso di Marcello ha fatto sì che anche i pezzi composti con la precedente formazione suonassero ovviamente diversi perché personalizzati dal suo stile esecutivo.

Kimidanzeigen si propone sulla scia del primo omonimo album, contando però su alcune novità subito udibili: un suono se vogliamo più duro e corposo e allo stesso tempo le parti più sregolate, tipiche dei vostri live, emergono in tutta la loro ebbrezza, quasi a voler riproporre su disco l’attitudine che avete dal vivo. E’ così o c’è dell’altro?

Sin dalla nascita, i Plasma Expander si sono sempre caratterizzati come un gruppo live: suonare dal vivo è quel che ci piace fare di più. Da questo punto di vista, il primo disco (seppur caratterizzato da composizioni che ancor oggi ci piacciono molto), aveva un suono un po’ troppo sterile, pulitino e poco aggressivo. La nostra intenzione iniziale era quella di riprodurre, per quanto possibile, l’energia e l’atmosfera di “estasi cinetica” tipica dei live. Se questo è quello che passa allora siamo contenti.

Vi siete serviti di strumenti a fiato, come ad esempio in “Four Legs, e i risultati sono sicuramente buoni. Come è nata l’idea?

Mah, le motivazioni sono diverse. Per prima cosa, gli inserti del sax soprano di Valter Mascia su “Four Legs”, così come degli archi di Maria Teresa Sabato e di Gianluca Piachedda in “Horny M” e “Nose on Belly”, sono stati funzionali ai pezzi. Semplicemente, in alcuni frangenti le composizioni avevano bisogno, a nostro avviso, di un intervento esterno – una “voce”, più o meno melodica (come nel caso del sax) o una frase di accompagnamento (come nel caso degli archi) – per risultare più interessanti ed intriganti. In secondo luogo, ci piace pensare che musicisti esterni possano intervenire sui nostri pezzi interpretandoli a loro modo. Ancora, la presenza di interventi esterni contribuisce a differenziare il disco dal live. Infine, la formazione a tre ha molti pregi (soprattutto in termini di più immediata comunicazione tra musicisti) ma ha sicuramente il difetto che spesso non si riesce a fare tutto quello che si vuole o che viene in mente. Intendo non solo un problema di copertura di frequenze ma anche di “ruoli” degli strumenti: se, come capita spesso, decidiamo di lavorare insieme ed intensivamente sull’aspetto più ritmico del pezzo, talvolta si sente la mancanza di una “voce” (non necessariamente cantata) che in qualche modo suoni “sopra” il nostro tessuto ritmico. Ecco quindi che gli strumenti esterni diventano fondamentali.

Sananas è la montagna che si alza al centro del disco, sicuramente una delle canzoni più estreme del vostro repertorio, molto vicina al suono degli ultimi Morkobot addirittura. Sicuramente l’apertura sinistra e rumorosa ha contribuito a quell’alone insalubre che si respira. Vi ritrovate di più in questa dimensione o quando le forme si fanno più libere e meno oppressive?

Davvero trovi che Sananas sia estrema e oppressiva? Sì in effetti la prima parte può risultare un po’ claustrofobica ma tutto il finale ci suona sempre molto poco serioso e quasi ironico…Di sicuro è uno dei pezzi più divertenti da suonare. Per quanto riguarda il ritrovarci o meno in una certa dimensione, se la contrapposizione è “struttura” o “improvvisazione”, allora è verissimo che con questa nuova formazione, sia per le caratteristiche di Marcello sia per un nostro percorso, l’ago della bilancia punta decisamente sulla prima: di improvvisazione nel disco ce n’è veramente poca…Non sentiamo invece particolarmente rilevante la contrapposizione con riferimento ad altre caratteristiche espressive ed emozionali della musica (sinistra vs. gioiosa, malinconica vs. allegra): personalmente, prediligo situazioni musicali che siano o neutre o per le quali è difficile descrivere a parole l’emozione ad esse associate.

A leggere un po’ di recensioni per il web che vi riguardano, i termini più utilizzati sono sicuramente kraut-rock, math-rock, blues, post-rock, segno che le influenze siano tante e gli appigli dati all’ascoltatore pochi. In quale di queste vi ritrovate di più? Sempre che ve ne sia una sola ovviamente.

Credo che le recensioni non sbaglino quando chiamano in causa questi termini…Per quanto mi riguarda, il kraut-tedesco dei Neu e dei Can (con il famoso motorik beat), il math-rock dei Don Caballero e dei Colossamite, il no-blues di Captain Beefheart e il post-rock degli Slint sono senza dubbio punti di riferimento importanti della mia storia musicale e i loro dischi sono stati consumati dal mio lettore cd. Non saprei sinceramente dirti in cosa ci si ritrova di più: quando si suona gli ascolti vengono fuori naturalmente e non c’è mai stata un’occasione in cui ci siamo detti: “questo pezzo lo facciamo kraut” oppure in qualche altro modo. Il processo di composizione parte sempre da elementi che hanno molto poco a che fare con la sfera intenzionale.

A leggere alcuni titoli come Horny M., No Mustache o Sananas traspare una certa ironia, confermata anche nella parte finale di Nose on Belly. Senza trascurare il vostro abbigliamento live. E’ un fattore su cui puntate molto essendo una band strumentale?

Separiamo il discorso titoli dal discorso abbigliamento. Con riferimento ai primi, non vedo una particolare relazione tra la loro presunta ironia e la nostra carenza di un cantante. Non so se i titoli siano o meno ironici….se lo sono non ne siamo troppo consapevoli o comunque non ci badiamo troppo. Se i titoli sembrano ironici è probabilmente perché dietro ogni titolo di solito c’è una storia extra-musicale e spesso queste storie fanno ridere! Altro è il discorso del nostro abbigliamento live: in questo caso mi sento di poter dire che l’ironia non c’entra niente. Anche in questo caso la decisione è stata del tutto casuale e quando ci siamo accorti che funzionava (facendoci entrare più facilmente nel concerto e catturando più agevolmente l’attenzione dell’audience) abbiamo continuato. Ora come ora, suonare senza “maschera” non sarebbe per noi la stessa cosa. Da questo punto di vista probabilmente c’è una relazione con l’assenza di un front-man capace di mantenere viva l’attenzione del pubblico: la divisa, se è di un certo tipo, obbliga l’audience già da subito ad una certa attenzione suscitando una curiosità addizionale. Se poi l’effetto ulteriore è quello di renderci poco seriosi, anche questo ci va bene: tendenzialmente diffidiamo di chi si prende troppo sul serio.

Ancora una volta è salda la collaborazione con la Wallace Records e l’Here I Stay Records, ma per il nuovo disco c’è stato un contributo da parte di altre sei etichette tra le quali BarLaMuerte di Bruno Dorella (OvO, Ronin), Transponsonic, BrigaDisco, Burp, Bloody Sound e Valvolare. Come è si è sviluppata questa grande ammucchiata?

I motivi sono diversi. Innanzitutto si tratta di amici e di persone con le quali ci piace avere a che fare. Il disco dei Plasma Expander è stato appunto un modo per sancire questa collaborazione e questa stima reciproca. In secondo luogo, dato che i soldi non sono tanti, la syndacation è spesso l’unico modo per tirare fuori i soldi necessari per una produzione di un certo livello (i.e., proprio il contributo di tante etichette ha consentito la doppia uscita vinile/cd). In terzo luogo, dal punto di vista della promozione, è più facile che giri il nome se il disco è presente in 8 cataloghi anziché in 2.

Di recente siete stati in tour nel Centro-Nord Italia e nella penisola iberica. Che esperienza è stata?

Estremamente positiva, difficile da raccontare in poche righe. Tutto è andato per il verso giusto, l’accoglienza è stata ovunque fantastica e abbiamo conosciuto sempre persone meravigliose. Tieni conto che il tutto è stato fatto in assoluta autoproduzione, senza agenzie, senza finanziamenti, senza furgone (solo il nostro eroico Doblò che ci ha scarrozzato in 4 più il backline per quasi 10000 kilometri in 16 date), senza aiuti esterni se non quelli relativi alla rete di contatti ed amicizie di cui si diceva prima.

Provenienti dalla Sardegna, quante difficoltà ci sono per suonare fuori dall’isola? E soprattutto: com’è la situazione sul suolo natio, in particolar modo per suonare dal vivo?

Come si suol dire: grazie per darmi la possibilità di rispondere a queste domande. Le difficoltà per noi sono enormi e riguardano, ovviamente, i costi fissi in termini di denaro e di tempo. Ogni volta che ci si muove dobbiamo mettere in conto 3-400 euro di nave e 2 giorni di viaggio (e quindi 2 giorni di ferie in più dato che non siamo professionisti). Questi costi non devono essere sostenuti da una band che vive a Roma, a Bologna o a Milano. E’ ovvio che, di fronte a certi costi fissi, non possiamo permetterci di suonare fuori dalla Sardegna per meno di 3 o anche 4 date se vogliamo anche solo sperare di non perderci. E, ancora più ovviamente, non possiamo permetterci di organizzare delle date in giro per l’Italia ogni weekend (cosa che invece possono fare le band della Penisola). E’ ovvio che, in una situazione del genere, l’intervento opportuno da parte di amministrazioni locali lungimiranti dovrebbe essere quello di contribuire in qualche modo a coprire questi costi dato che la musica di qualità è cultura e la cultura fa bene a tutti. Peccato che, a me sembra così, i soldi pubblici vadano sempre e comunque sempre nella stessa direzione e in progetti musicali che con la qualità musicale hanno veramente ben poco a che fare. Non voglio parlare di chi questi soldi li intercetta (buon per loro), ma soprattutto di chi, nonostante gli indiscutibili meriti, non li ha mai intercettati. Esempio: il festival estivo dell’Here I Stay, nostra etichetta, si svolge da 4 anni in un ambiente stupendo, conosciuto ed apprezzato da molti sia nella Penisola che all’estero, più di 25 concerti in 3 giorni con campeggio e servizi gratuiti, atmosfera fantastica e musica di qualità, bed and breakfast sold out nel circondario, fantastica immagine della Sardegna per chi viene da fuori. Ebbene, mai un soldo pubblico. A quanto pare, la musica rock è ancora la musica del Diavolo in Sardegna e in Italia. Peccato che in altre realtà (Svizzera e Germania), i nostri colleghi si finanziano il tour con i soldi messi a disposizione dai governi. A questo punto immagino di aver finito lo spazio anche per la seconda domanda ma provo comunque a rispondere…La situazione nella nostra Penisola, sebbene non a livello di realtà come Germania, Belgio, Olanda ma anche Spagna e Portogallo, è comunque di gran lunga migliore rispetto a quella della nostra Regione: esistono degli ottimi locali a Roma, a Milano, a Firenze, ad Ancona, etc. Posti dove gli organizzatori sono appassionati, il pubblico interessato, i cachet dignitosi (sebbene appena sufficienti per coprire le spese) e, soprattutto, i palchi e le situazioni tecniche sono appropriate. Da questo punto di vista, è tristissimo rendersi conto che a Cagliari non esista un luogo che sia uno dove sia possibile far suonare nelle migliori condizioni band musicali di qualità. È ancora più triste rendersi conto che in tutta la Sardegna ci sia probabilmente un unico posto (lo Sleepwalkers di Guspini, guarda a caso la location abituale dell’HIS festival) dove i concerti live sono una priorità e dove l’atmosfera e le condizioni tecniche non hanno assolutamente nulla da invidiare ai migliori locali europei. Questa condizione di carenza nell’offerta musicale cozza clamorosamente con una domanda che c’è eccome: è difficile che un concerto che in qualche modo fa capo alla nostra scena vada “deserto” e quand’anche la nostra percezione è che ci sia poca gente (di solito sotto le 50 persone), l’audience è sicuramente superiore a quella media in una qualsiasi altra città della Penisola dove con 20-30 persone (interessate!) una band può ritenersi soddisfatta.

Tutti voi siete coinvolti in side-projects: Holy Carpenters, di cui il sottoscritto ricorda un drogatissimo set di spalla a Mattia Coletti, the Flying Sebadas e Golfclvb. Potete dirci se ci sono novità su questi fronti?

Credo che per ciascuno di noi, i side-projects ci consentano di esprimere la nostra parte musicale che non trova sfogo nei Plasma Expander. Per quanto mi riguarda, negli Holy Carpenters trovano spazio l’improvvisazione radicale, il free-jazz da orgia spirituale tipico dei coniugi Coltrane, di Ayler e di Pharoah Sanders, il minimalismo di Riley e Reich e soprattutto quella corrente di weird-avant-anti-folk che dagli Holy Modal Rounders e Incredible String Band porta fino ai Six Organs Admittance. Gli Holy Carpenters sono ancora in vita ma la loro attività è un po’ rallentata a causa di un lieto evento vale a dire la nascita di Lucio, un piccolo muratore sacro che ora come ora richiede ancora parecchie attenzioni…Una cosa è certa, ci divertiamo parecchio quindi prima o poi si ricomincerà. Per quanto riguarda Flying Sebadas, attualmente stanno lavorando al secondo disco e torneranno sulla scena questa estate. I Golfclvb, invece, si son presi un anno o qualche anno sabbatico a causa della trasferta lavorativa del batterista.

E soprattutto, cosa bolle in pentola per i Plasma Expander? Qualcosa di nuovo?

Sì. Il prossimo disco sarà totalmente privo di strumenti, solo le nostre voci a cappella.

Bene ragazzi, con questo è tutto, un grande in bocca al lupo da parte di Neuroprison, a voi l’onere di chiudere.

E allora crepi il lupo e mille grazie a Neuroprison! Vi lasciamo con un appello: non rinunciate ad ascoltare musica che a prima vista vi disturba o vi mette inquietudine perché spesso dietro questa inquietudine ci celano le porte di nuovi mondi e della rivoluzione delle coscienze. Boom!


Neuros

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