mercoledì, aprile 14, 2010
ONE STARVING DAY - Atlas Coelestis
Tracklist:
1. Meridians
2. The Drift of Andromeda
3. Black:Black
4. Descending Orion
5. An Evil Light
6. Disclosure/Radiance
7. Aurora
8. Atlas Coelestis
È ora famelica, l'ora tua, matto. / Strappati il cuore. / Sa il suo sangue di sale / E sa d'agro, è dolciastro essendo sangue. / Lo fanno, tanti pianti, / Sempre più saporito, il tuo cuore. / Frutto di tanti pianti, quel tuo cuore, / Strappatelo, mangiatelo, saziati.
Da queste righe di Ungaretti è tratto il nome degli One Starving Day, dal primo verso in particolare, lasciando comunque agli altri l’immaginario di disperazione e redenzione nel quale si muove il gruppo napoletano.
Una storia travagliata la loro, attivi dalla seconda metà degli anni ’90, hanno pubblicato il loro primo album a cavallo tra il 2005/6, hanno partecipato ad alcune compilation (Emo Diaries, NeuroPrison) e di pochi mesi fa l’uscità del nuovo disco: Atlas Coelestis. Pronto da almeno un anno, l’album è uscito per Beta-Lactam Ring Records e in versione vinilica per Narshardaa Records, mai come in questo caso però l’attesa non è stata troppo dolorosa, ma ha contribuito a far crescere le aspettative di chi ha riservato loro un posto speciale dopo le già grandi cose udite in Brokeng Wings Lead Arms to the Sun.
Lungi dall’infotainment e dalle sui tentacoli sensazionalistici, si può tranquillamente affermare che Atlas Coelestis sia un lavoro di una qualità purissima, un gioiello grezzo capace di oscurare monili più lavorati e rifiniti; le parole di Pasquale (Foresti, chitarrista) e l’anteprima di An Evil Light hanno trovato conferma tra le note spaziali del nuovo album, che trova il suo filo conduttore nelle stelle e nell’argento del precedente disco per trovare nuova veste e raggiungere spazi siderali, si spinge di molti gradini più avanti di quanto è lecito aspettarsi, tracciando nuovi orizzonti e sfiorando quelle stelle che al momento della nostra visione sono già morte.
Senza dimenticare la componente doom da sempre caratteristica del combo, ammirando nuovamente una crisalide di arterie hardcore che sono reminiscenza del passato mai dimenticato, l’anima di Atlas Coelestis trae nuova linfa dal passato, questa volta in maniera definitiva, immergendosi nell’ambiente teutonico dei primi anni ’70, chiamato per convenzione kraut-rock, e fondendolo con le esperienze precedenti, estremizzandolo nel senso più puro del termine, rendendolo feroce, famelico.
Dall’intro Meridians si respira aria vintage e cosmica, con la mano di Froese su una spalla a guidare la via astrale nel solco dei Tangerine Dream, omaggiati in questo caso nel loro periodo di mezzo, post-Atem per intendersi, parentesi elettronica che si stacca dalla terra per approdare su The Drift of Andromeda, dove fanno capolino i tempi quadrati e oppressivi dei primi Swans e le aperture più ariose dei Godspeed You!Black Emperor, con i violini affidati ad Andy Nice incastonati tra suoni di organo e harmonium.
Black:Black gioca sulle atmosfere più sfumate dei primi Popol Vuh e arricchisce il tutto con un prezioso solo di sax, suonato in questa sede da Mario Gabola, un anfratto che sa di romanticismo e disperazione, di lacrime trasportate da venti più terrestri che spaziali.
Atmosfere zigane e ruggiti hardcore si tingono di nero in An Evil Light, sprofondando nell’universo senza speranza di Disclosure/Radiance, dove tra gli astri fanno capolino riff dal sapore black metal che si spengono nei clangori sinistri di Aurora, una rivisitazione in chiave moderna degli incubi metallici dei Cluster, il tutto incastonato tra le parentesi elettroniche e solari di Descending Orion e della conclusiva Atlas Coelestis, segno che la redenzione e la speranza sono la meta finale del viaggio compiuto dagli One Starving Day, dove il ruolo purificatrice dell’argento viene sostituito dalla polvere di stelle, sempre presenti nell’immaginario del gruppo e nei testi, in questa sede valorizzate più che mai insieme alla cornice galattica dell’artwork cartonato.
Avere punti di riferimento è sempre stato un passaggio obbligatorio per chiunque, ma una veste così liquida e rarefatta non la hanno mai avuta neanche i Neurosis, e da queste parti non si era mai sentita. Un lavoro spaziale, in tutti i sensi.
Neuros
One Starving Day @ MySpace
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