lunedì, febbraio 25, 2008
PSYCHOCEAN - Embryonal Confinement
Anno: 2007
Line-up:
Marco Giarratana - Vocals
Michele Cigna - Guitars and effects
Stefano Di Francisca - Bass and synth
Antonio Calandra - Drums, piano and synth
Tracklist:
1.Overtones
2.Magmatism
3.Birds Fly Deep Underneath The Water Expanse
4.Embryonal Confinement
Spesso ci si trova davanti a un bivio : proseguire per una strada asfaltata, diritta, maestra per arrivare a una metà comune, standard, oppure scegliere la strada più infima, dove le gambe affondano nelle buche, il volto si bagna del fango e la salita mette a dura prova ogni muscolo, ogni nervo pronto ad esplodere, ma alla fine della quale vi è un traguardo speciale, voluto, desiderato.
L’ultima è infatti la via scelta dai catanesi Psychocean, giovane combo, che dopo mille vicissitudini è arrivato al suo primo lavoro in studio, l’ep Embryonal Confinement.
Un lavoro ambizioso, inusuale, di fatica. Con un concept dietro.
La medusa dell’artwork, i suoi velenosi tentacoli, la società che ci lega, che ci intossica, che ci manovra come burattini. Il titolo : “Prigionia Embrionale”.
Un messaggio forte e chiaro, diritto in faccia, come un pugno.
Si parte con Overtones, dalle tinte cupe, retta inizialmente da arpeggi acidi, che poi esplode in un rifframa che sa di noise, cita i Jesus Lizard e i Sonic Youth, ma poi insana come la mente umana che tenta di ribellarsi al sistema si fa quieta per poi deflagrare in ritmi dalle parvenze Tooliane/A Perfect Circle per andamenti circolari e melodie vocali. La frustrazione di chi si sente soggiogato, di chi urla muto, senza essere sentito, di chi decide di proseguire da solo per spezzare le proprie catene, frantumare la “spere” di cui parla il testo, la testa della medusa, e vedere gli altri in schiavitù, sperando che possano seguire le sue impronte : il platonico mito della caverna riletto in chiave moderna. Un finale in crescendo, liberatorio, preciso in ogni strumento, con i riff taglienti di Michele Cigna a suggellare il tutto.
Spezzare le catene per ritornare alla terra, madre di tutto. Tematica cara a tante band, ma la prima che viene alla mente è sicuramente la macchina Neurosis. Magmatsim è questo, un flusso potente, purificatore, che parte con spunti dei Mastodon, riff melodici e precisi, allo stesso tempo massicci, che pian piano si placano, lasciando spazio ad andamenti più quieti che ricordano i Dredg.
Ritornare alla terra quindi, ritornare alla purezza, liberarsi dei legami materiali che son falsi e temporanei, fittizi, cercare la verità nella propria mente, e gli arpeggi soffusi rappresentano questo. Un pensiero figlio delle opere di Chuck Palahniuk e del suo manifesto Fight Club.
Ripercorrere le proprie paure, le proprie angosce, le proprie sconfitte, fino a bruciare dentro, fino a sentire il magma scorrere nelle vene ed eruttare come un vulcano, sentirsi vivi:
“I can't arrest
this magmatism
it guides me to the centre of the Earth”
Questo canta Marco, con un pugno al petto, lottando, con un pathos devvero notevole, mettendo in mostra tutte le sue doti canore, supportato da brevi chorus e da un ritmo che nel finale torna a essere frenetico e d’impatto, ma che d’un tratto si fa sussurrato, effettato, con percussioni di sottofondo ripreso immediatamente da Birds Fly Deep Underneath The Water Expanse.
Bruciare quindi, ma il percorso per arrivare è una roulette russa, un solo colpo disponibile, un fuoco che può dare vita agli uccelli, ovvero gli uomini, come Araba Fenice, o disintegrarli, spazzarli via insieme alle loro speranze, ironia quindi, bruciati dal fuoco da loro stessi attizzato. Qui gli echi dei Dredg si fanno più marcati, rock moderno si fonde con andamenti progressivi, citando gli Incubus nelle melodie vocali, e infatti ecco il ritornello migliore del lotto di canzoni, evocativo, con un accento di sofferenza, mista a speranza, da non rendere vana, lasciarsi dietro gli ostacoli posti sul cammino, strumenti di cui la società si serve per inibire, come i media, abbatterli con la propria volontà, arrivando indipendenti alla verità. O così, o “burn” come urla Marco nel finale.
Il finale è affidato alla title-track che chiude il cerchio riprendendo le sonorità di Overtones e dilatandole, dando loro maggior respiro, difatti il componimento si dimena intorno ai dieci minuti di durata, senza annoiare, senza cali di tensione, con il basso di Stefano Di Francisca e il drumming di Antonio Calandra in evidenza; riprende i temi trattati nelle altre song e funge da monito generale, dipingendo un baratro sul quale l’uomo ormai cammina, e come sempre sta a lui decidere se cadere o no.
Un grande ep, ben prodotto (ricordo scaricabile gratuitamente), suonato senza pecche di rilievo; la band è affiatata e lo dimostra, lavora di squadra, fatto fondamentale, le influenze citate sono evidenti (soprattutto ad un orecchio allenato) ma fatte proprie, assimilate e non copiate, emulate come spunto dal quale partire, in procinto di essere manipolate in maniera davvero personale... preludio di un futuro davvero splendente e da perseguire con umiltà perché come citano i testi:
“Nudity is all we have”.
Neuros
Psychocean @Myspace
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