mercoledì, febbraio 27, 2008
THE SECRET - Disintoxication
Anno: 2008
Etichetta: Goodfellow Records
Tracklist:
01. Morte
02. Intoxication
03. Inferno
04. Poisoned Blood is Never Enough
05. In Limbo
06. Saul
07. Funeral Monolith
08. Umea
09. Death to Pigs
10. Kill the Dead
Lungamente atteso, ecco che il secondo e nuovo lavoro a firma The Secret vede finalmente la luce.
Se Luce fu proprio il titolo del loro debut per l’ottima GoodFellow Records, in questo caso di tutto si può parlare tranne che di un disco incline ad aperture solari, o comunque di maggior respiro; Disintoxication è un lavoro dalle atmosfere cupe e ferali, con suoni devastanti, abrasivi ed esaltati dalla produzione a cura di Magnus Lindberg (Cult of Luna) ai Tonteknik Recordings di Umea, Svezia.
La band triestina, nata nel 2003 dalle ceneri dei From The Dying Sky, aveva impressionato e raccolto decisi consensi già con il debut targato 2004, ma grazie a questo nuovo parto ora si può davvero parlare di un imminente sbarco sul panorama internazionale ai più alti livelli, tanto è aumentata la compattezza e la coesione di una band ora pienamente consapevole delle proprie capacità.
I Converge rimangono un’influenza ben presente, ma se prima ciò era da riferirsi più al lato metalcore della loro proposta, ora siamo dalle parti di un Jane Doe o di un No Heroes; si possono inoltre avvertire rimandi ai Knut ed ai mai troppo lodati Breach (quelli di Venom), in particolare negli stacchi più rallentati e sulfurei, nonché un approccio vocale vicino ad un certo black metal scandinavo. Va detto che tutto ciò non significa che i The Secret siano dei cloni di bands più famose ed affermate, in quanto queste influenze vengono ben miscelate all’interno di un sound ormai riconoscibile e dall’impatto debordante come pochi in circolazione.
La breve durata complessiva del platter (32 minuti) aiuta a rendere l’ascolto ancor più coinvolgente, e se a questo aggiungiamo una maggior sperimentazione sonora rispetto al passato, ed una particolare cura a livello di arrangiamenti, il piatto è servito.
I brani si susseguono sfociando uno nell’altro, dando la sensazione di essere di fronte ad uma sorta di concept riguardo le frustrazioni ed i momenti bui che sperimentiamo nella vita di tutti i giorni, invitando ad esorcizzarli e liberarcene; Inferno, Funeral Monolith (dal finale sludge/noise monumentale), Saul e Umea si rivelano come gli episodi migliori di un disco nel complesso pressochè inattacabile…. non ci sono scuse, fatelo vostro.
-Edvard-
The Secret @Myspace
INCOMING CEREBRAL OVERDRIVE - Cerebral Heart
Anno: 2008
Etichetta: Myphonic Records
Tracklist:
Food
Analysis
Wait
Seasons
Hope
Slave
Born
Awakening
Vibrated
Nati nel 2002, i toscani Incoming Cerebral Overdrive si mettono subito in luce grazie ad un promo di tre brani che l’anno successivo portò ad ampi consensi da parte di alcune delle più note ‘zines del settore; grazie anche al passaparola, la band si costruisce una solida reputazione nell’underground nazionale che porta ad una intensa attività live, culminante nella data romana di supporto ai gloriosi Unsane.
Tre anni più tardi, subito dopo l’entrata nella lineup del nuovo bassista Alessio, i ragazzi tornano ai Fear Studio di Ravenna per registrare il loro debut sulla luna distanza, ovvero il disco in questione intitolato Cerebral Heart.
Iniziamo subito col dire che il titolo scelto sintetizza alla perfezione non solo il contenuto lirico dei brani ma anche e soprattutto l’approccio stilistico delle composizioni; post-hardcore è un’etichetta al giorno d’oggi decisamente abusata e che può voler dire tutto o nulla, ma che in questo caso ben si presta ad una rapida descrizione del loro sound.
Brani violenti, ricchi d’urgenza espressiva, ed esaltati in fase di mixaggio e masterizzazione dal lavoro rispettivamente di Kurt Ballou (chitarrista dei Converge e non solo) e Alan Douches (già alle prese con Converge, Dillinger Escape Plan, Everytime I Die, Hatebreed, tra gli altri); accanto e trasversalmente al lato più passionale del loro sound si fa strada la componente cerebrale, fatta di strutture ritmiche al limite del math-core e figlie di nomi quali Botch (in primis) e Norma Jean.
Dal punto di vista chitarristico l’approccio è improntato sì al noise-core ma sempre rimanendo entro confini ben definiti; niente rumore o divagazioni fini a sé stesse quindi, bensì la dimostrazione di un totale e costante controllo delle linee melodiche di base dei pezzi (Seasons e Analysis ne sono gli esempi più chiari), a volte sottolineate dall’efficace presenza di un synth (Food), altre incorniciate da stacchi od improvvise aperture d’ampio respiro, ove fanno capolino suggestive clean vocals (Wait, Born, Awakening).
Slave, con un’apertura riconducibile ai Meshuggah e dalla coda finale jazz, è il brano maggiormente incentrato sul refrain e si pone senza dubbio tra gli highlights del disco; ma è Hope che si rivela probabilmente come l’episodio più sentito, con la dicotomia solitudine/speramza che esplode in tutta la sua carica nell’intenso finale.
Spetta invece a Vibrated chiudere l’album, un outro in pieno stile dub-step che ribadisce la natura implicitamente riflessiva ed introspettiva del sound del quartetto toscano.
Cuore e mente quindi, ed i temi trattati nei testi non potevano non andare in questa direzione, parlando sì di vita, sensazioni, ineguatezze e problematiche quotidiane, ma essenzialmente come spunto per una indagine interiore che permetta di mantenere o meglio ricercare l’equilibrio perduto.
Non resta che parlare dell’artwork e della confezione: un curato digipack (limited edition e con contenuti interattivi, tra cui l’animation video di Slave) che esce sotto etichetta Myphonic Records (grazie ad un contratto recentemente firmato), e che verrà distribuito su scala internazionale via PlasticHead Distribution dal mese di Aprile.
-Edvard-
Incoming Cerebral Overdrive @Myspace
martedì, febbraio 26, 2008
TOMYDEEPESTEGO - Odyssea
Anno: 2007 Etichetta: Subsound Records
Line-up:
Valerio De Lucia - guitars
Edoardo Lucà - guitars
Daniele Lunardi - bass
Simone Giannangeli - drums
Tracklist:
1. Euskadia
2. Mizar
3. Ius Primae Noctis
4. Renovatio
5. Liver
6. Tora
7. Mediterraneo
8. Crepuscolo
Due anni di silenzio, dal 2004 al 2006, altri due anni e finalmente Odyssea vede la luce.
Proprio in quei mesi di stand-by Edoardo Lucà ha deciso di non abbandonare alle correnti il progetto ToMyDeepestEgo, e i fatti gli hanno dato ragione.
Con una line-up rinnovata, composta da amici come lui stesso afferma, la band è maturata, è cambiata dinanzi ai propri occhi, è riuscita a plasmare a proprio piacimento il suono. Ma quale?
Difficile dirlo, difficile descriverlo. La scelta di correre senza un vocalist può essere arma a doppio taglio, può rivelare insidie, ma la band romana è riuscita ad evitarle con grande maestria.
Nessun particolare punto in cui focalizzare l’attenzione, o forse focalizzarla sull’insieme.
Sì perché è un flusso sonoro quello di cui parliamo, un’onda che si infrange sugli scogli, in maniera perenne, che lascia vendere però il fondale nel momento di risacca. Un’anima che si sdoppia, che sa essere aggressiva, imponente, per poi addolcirsi poco dopo. Movenze adottate da maestri come Isis e Pelican, e soprattutto al combo di Chicago sembrano guardare con attenzione i nostri quattro giovani. La lezione di The Fire In Our Throats Will Beckon The Thaw è stata assimilate, fatta propria, e riadattata per le circostanze, con un gusto per la melodia che sì, potremmo definire tipicamente italiano. Riff massicci, ipnotici come nella tradizione del post-core più psichedelico, squarciati da arpeggi di chitarra che ricordano Mogwai e Red Sparowes, e non hanno niente da invidiare a questi in canzoni come Ius Primae Noctis, dal crescendo emotivo esaltante, o nella conclusiva Crepuscolo, che pacata, quasi in punta di piedi, chiude l’album in maniera straordinaria. Al contrario Euskadia, che potente ci da il benvenuto nel disco.
Composizioni che avvolgono e coinvolgono, calde, passionali si potrebbe dire, è un fatto che salta subito all’orecchio, il trasudare sentimento da ogni nota.
Ecco allora che ci si perde nelle lunghe Mizar e Tora, in Liver, contornata da archi delicatissimi, un trittico che supera abbondantemente la mezz’ora, un susseguirsi di chiaro/scuri che scavano nel profondo.
Renovatio colpisce per il suo piglio arcigno, interrotta bruscamente nel suo climax oscuro, che poi riprende sotto altre spoglie nel finale, e poi Mediterraneo, che riprende quel concetto di onda di cui si parlava in precedenza, un mare di note che si susseguono in maniera esaltante, in un finale da brividi.
Suoni evocativi quindi, con i titoli delle canzoni che sono da meno, riuscendo a trasmettere in una sola parola quello che spetterebbe a interi testi. E l’artwork, bellissimo, ad opera di Seldon Hunt, già all’opera con Five Star Prison Cell, Nadja e, soprattutto, Neurosis.
I margini di miglioramento per rendere ancora più personale la proposta sono ampi, ma se queste sono le premesse un futuro roseo attende i ToMyDeepestEgo.
Neuros
Tomydeepestego @Myspace
lunedì, febbraio 25, 2008
PSYCHOCEAN - Embryonal Confinement
Anno: 2007
Line-up:
Marco Giarratana - Vocals
Michele Cigna - Guitars and effects
Stefano Di Francisca - Bass and synth
Antonio Calandra - Drums, piano and synth
Tracklist:
1.Overtones
2.Magmatism
3.Birds Fly Deep Underneath The Water Expanse
4.Embryonal Confinement
Spesso ci si trova davanti a un bivio : proseguire per una strada asfaltata, diritta, maestra per arrivare a una metà comune, standard, oppure scegliere la strada più infima, dove le gambe affondano nelle buche, il volto si bagna del fango e la salita mette a dura prova ogni muscolo, ogni nervo pronto ad esplodere, ma alla fine della quale vi è un traguardo speciale, voluto, desiderato.
L’ultima è infatti la via scelta dai catanesi Psychocean, giovane combo, che dopo mille vicissitudini è arrivato al suo primo lavoro in studio, l’ep Embryonal Confinement.
Un lavoro ambizioso, inusuale, di fatica. Con un concept dietro.
La medusa dell’artwork, i suoi velenosi tentacoli, la società che ci lega, che ci intossica, che ci manovra come burattini. Il titolo : “Prigionia Embrionale”.
Un messaggio forte e chiaro, diritto in faccia, come un pugno.
Si parte con Overtones, dalle tinte cupe, retta inizialmente da arpeggi acidi, che poi esplode in un rifframa che sa di noise, cita i Jesus Lizard e i Sonic Youth, ma poi insana come la mente umana che tenta di ribellarsi al sistema si fa quieta per poi deflagrare in ritmi dalle parvenze Tooliane/A Perfect Circle per andamenti circolari e melodie vocali. La frustrazione di chi si sente soggiogato, di chi urla muto, senza essere sentito, di chi decide di proseguire da solo per spezzare le proprie catene, frantumare la “spere” di cui parla il testo, la testa della medusa, e vedere gli altri in schiavitù, sperando che possano seguire le sue impronte : il platonico mito della caverna riletto in chiave moderna. Un finale in crescendo, liberatorio, preciso in ogni strumento, con i riff taglienti di Michele Cigna a suggellare il tutto.
Spezzare le catene per ritornare alla terra, madre di tutto. Tematica cara a tante band, ma la prima che viene alla mente è sicuramente la macchina Neurosis. Magmatsim è questo, un flusso potente, purificatore, che parte con spunti dei Mastodon, riff melodici e precisi, allo stesso tempo massicci, che pian piano si placano, lasciando spazio ad andamenti più quieti che ricordano i Dredg.
Ritornare alla terra quindi, ritornare alla purezza, liberarsi dei legami materiali che son falsi e temporanei, fittizi, cercare la verità nella propria mente, e gli arpeggi soffusi rappresentano questo. Un pensiero figlio delle opere di Chuck Palahniuk e del suo manifesto Fight Club.
Ripercorrere le proprie paure, le proprie angosce, le proprie sconfitte, fino a bruciare dentro, fino a sentire il magma scorrere nelle vene ed eruttare come un vulcano, sentirsi vivi:
“I can't arrest
this magmatism
it guides me to the centre of the Earth”
Questo canta Marco, con un pugno al petto, lottando, con un pathos devvero notevole, mettendo in mostra tutte le sue doti canore, supportato da brevi chorus e da un ritmo che nel finale torna a essere frenetico e d’impatto, ma che d’un tratto si fa sussurrato, effettato, con percussioni di sottofondo ripreso immediatamente da Birds Fly Deep Underneath The Water Expanse.
Bruciare quindi, ma il percorso per arrivare è una roulette russa, un solo colpo disponibile, un fuoco che può dare vita agli uccelli, ovvero gli uomini, come Araba Fenice, o disintegrarli, spazzarli via insieme alle loro speranze, ironia quindi, bruciati dal fuoco da loro stessi attizzato. Qui gli echi dei Dredg si fanno più marcati, rock moderno si fonde con andamenti progressivi, citando gli Incubus nelle melodie vocali, e infatti ecco il ritornello migliore del lotto di canzoni, evocativo, con un accento di sofferenza, mista a speranza, da non rendere vana, lasciarsi dietro gli ostacoli posti sul cammino, strumenti di cui la società si serve per inibire, come i media, abbatterli con la propria volontà, arrivando indipendenti alla verità. O così, o “burn” come urla Marco nel finale.
Il finale è affidato alla title-track che chiude il cerchio riprendendo le sonorità di Overtones e dilatandole, dando loro maggior respiro, difatti il componimento si dimena intorno ai dieci minuti di durata, senza annoiare, senza cali di tensione, con il basso di Stefano Di Francisca e il drumming di Antonio Calandra in evidenza; riprende i temi trattati nelle altre song e funge da monito generale, dipingendo un baratro sul quale l’uomo ormai cammina, e come sempre sta a lui decidere se cadere o no.
Un grande ep, ben prodotto (ricordo scaricabile gratuitamente), suonato senza pecche di rilievo; la band è affiatata e lo dimostra, lavora di squadra, fatto fondamentale, le influenze citate sono evidenti (soprattutto ad un orecchio allenato) ma fatte proprie, assimilate e non copiate, emulate come spunto dal quale partire, in procinto di essere manipolate in maniera davvero personale... preludio di un futuro davvero splendente e da perseguire con umiltà perché come citano i testi:
“Nudity is all we have”.
Neuros
Psychocean @Myspace
LENTO - Earthen
Anno: 2007 Etichetta: SupernaturalCat
Line-up:
Giuseppe Caputo: guitars
Lorenzo Stecconi: guitars and production
Donato Loia: guitars
Emanuele Massa: bass
Federico Colella: drums and live samples
Tracklist:
1. Hadrons
2. Need
3. Subterrestrial
4. Currents
5. Emersion of the islands
6. Earth
7. Leave
Che in Italia le acque si stiano muovendo è cosa nota. Un’orda di band validissime che dall’underground spingono per arrivare in superficie. Non si può rimanere indifferenti dopo le prove di band come Ufomammut, Vanessa Van Basten, Morkobot. C’è una scena, un movimento che può dare grosse soddisfazioni agli ascoltatori più attenti. Un movimento, o forse meglio parlare di attitudine, poiché spesso le sonorità differiscono, ma l’animo di fondo che spinge il tutto è lo stesso.
Un nuovo modo di intendere la musica pesante da parte di molte band, plasmarla, renderla liquida, sofisticata, per questo molti si sono azzardati a definirla musica pe(n)sante. I Lento fanno parte di queste.
Dopo essere passati sotto l’ala protettiva della Supernatural Cat e aver sfornato un monolite sonoro [Supernaturals Record One] insieme ai compagni di label Ufomammut, ecco che i cinque ragazzi romani posso finalmente camminare soli e la prova di ciò risponde al nome di Earthen.
Un titolo che richiama al pianeta, che afferma in maniera convinte le proprie radici.
Tre chitarre allora, per imbastire un muro sonoro impenetrabile come il suolo, dove gli spiragli di luce risultano paradossalmente accecanti, ma fuggevoli.
Ed ecco allora che la corposità di Hadrons e Need sono il lasciapassare verso l’intero album, una sorta di prova per testare l’udito; potente, una forza che risiede negli strati sonori che si percepiscono, chitarre pachidermiche ma in sottofondo una melodia onnipresente, con una sezione ritmica pulsante, viva.
Pare di trovarsi di fronte a una colata lavica, che lenta e solenne scorre a valle, come il finale della seconda canzone, che dilatato all’inverosimile porta all’altra faccia della medaglia: Subterrestrial.
I precedenti sentori di trame ambient trovano conferma in questa traccia, etera, profondissima, quasi a voler penetrare quella stessa terra sulla quale poggia. Un viaggio, un’esperienza che forse non vede focalizzati i suoi sforzi verso un’entità fisica, quanto spirituale, dentro noi stessi ad esempio.
E finalmente i duoi aspetti della band convergono evidenti in Currents. Potente, oppressiva, un vortice sonoro che non lascia incolumi, poggiante sopra eco lontane, che compaiono e spariscono in perfetta simbiosi con il moto della canzone, come se i Pelican di Australasia incontrassero i Pan American, dando vita a un mosaico sonoro ipnotico, di rara bellezza.
Come band strumentale il peso emotivo è evidente, l’importanza data ai titoli delle canzoni è fondamentale per ricalcare le movenze dei suoni, ed ecco che Emersion Of The Islands incarna alla perfezione questo legame, liquida, abissale in lontananza, ma con una silenziosa voglia di emergere, lentamente, senza fretta alcuna, un affascinante sabba marino da contemplare a capo chino e in religioso silenzio, per non interrompere il corso degli eventi.
E se Earth riprende le sonorità possenti delle prime due canzoni, il finale in crescendo è affidato alla traccia più lunga dellìalbum: Leave.
Quasi dieci minuti dove tutte le precedenti influenze si uniscono e indossano una veste ancora più solenne,le sfumature vengono dilatate, si fanno impercettibili, minuti di post-rock atmosferico al quale seguono fino alla fine trame ambient dronate che si perdono nei meandri della mente.
Earthen si chiude in maniera opposta rispetto all’inizio, e nel mezzo una gamma e qualità di suoni davvero stupende, merito anche della produzione ad opera dello stesso Lorenzo.
A livello grafico, il bellissimo artwork ad opera della Malleus chiude il cerchio; impazienti già di sentire il successore godiamoci questo primo passo.
Neuros
Lento @Myspace
giovedì, febbraio 21, 2008
LENTO
Eccovi qui una densa intervista con Giuseppe e Lorenzo dei Lento, band che con il debut per SupernaturalCat "Earthen" si è affacciata autorevolmente sul panorama internazionale attento alle sonorità del post-core, in particolare quelle più legate all'ambient ed alla psichedelia. Buona lettura...
Ciao ragazzi, innanzitutto complimenti per il vostro debut album "Earthen", tra le cose migliori mai uscite in Italia per quanto riguarda certe sonorità…Il disco è in circolazione da un mese circa, quali sono stati i primi riscontri dalla stampa specializzata?
G: Ci sembra che qualcuno abbia compreso fino in fondo quali fossero le nostre intenzioni, e la direzione del messaggio, di questo siamo molto contenti.
Pensate possa essere meglio recepito in Italia oppure all'estero, in generale?
G: Le date che qui in Italia hanno seguito l' uscita di "Earthen" hanno suscitato un discreto interesse, ci piace pensare che non ci sia troppa differenza con quello che potrebbe essere per noi far base in Nord America o nel Nord dell' Europa.
Come vi trovate sotto Supernatural Cat, e come sono avvenuti i primi contatti tra di voi?
G: La SupernaturalCat ci ha contattato prima del' uscita di "Mostro" dei nostri compagni Morkobot, avevano sentito "Hadrons" su Myspace e ne erano rimasti entusiasti.
Quando abbiamo ultimato la prima stesura del disco abbiamo spedito il materiale a Tortona e abbiamo cominciato a parlare dell' uscita. In effetti la vera forza di SCAT è la coesione ed il rispetto che si sono instaurati tra le band che partecipano al progetto.
Del resto pare proprio ci sia una certa sintonia tra voi e Ufomammut; prima la collaborazione a livello compositivo per l'ottimo project Supernaturals (lavoro ricco di spunti davvero interessanti), poi la notizia che Lorenzo sarà ingegnere del suono nelle prime sessioni di registrazione del nuovo parto proprio a firma Ufomammut…
L: Come ti diceva prima Giuseppe, tra noi e loro si è subito instaurata una forte amicizia già prima delle registrazioni di Record one. Ci siamo trovati subito in sintonia, sia su questioni compositive e legate al puro approccio, che su quelle più "tecniche", in studio, e dopo gli ottimi risultati sonori di Supernaturals mi hanno chiesto subito di registrare il nuovo disco Ufomammut. In questi giorni sto preparando il master definitivo, direi che siamo in dirittura d'arrivo... sono molto contento di lavorare con Ufomammut, non capita spesso di registrare e missare una band che stimi profondamente.
Tornando ad "Earthen", ciò che colpisce è l'impatto per lo più essenziale e senza troppi fronzoli dei pezzi, sebbene ad un ascolto più attento si noti il notevole lavoro svolto dalle 3 chitarre nella stratificazione del tessuto sonoro…
G: "Earthen" è il risultato di un duro lavoro. l' organizzazione delle tre chitarre ha richiesto uno notevole sforzo in termini di definizione degli spazi e dei suoni.
Da un punto di vista esclusivamente compositivo abbiamo optato per la linearità nelle parti più "corpose"; il contrasto e la sovrapposizione dei temi sono stati confinati alle tracce più aperte all'' interpretazione personale, dove quello che è stato costruito tende ad essere messo in discussione e, come a rappresentare un ciclo ascensionale, la forma che si assume è il frutto del decadimento di quello che si è perso.
Personalmente sono rimasto sorpreso dal peso che la parti più atmosferiche e psichedeliche, davvero pregevoli tra l'altro, hanno nel disco; in particolare il fatto che vanno a rappresentare quasi il fulcro del lavoro, la parte più sentita e profonda, sebbene non siano certo un punto di arrivo ma tutt'altro…
G: Tecnicamente parlando rappresentano la parte più "sperimentale" del disco, il momento di maggiore libertà e forse la parte più sentita e profonda di "Earthen".
L: C'è da dire che il 90% delle parti più sperimentali sono nate direttamente in studio, quando abbiamo cominciato a registrare le prime session avevamo un'idea di fondo del disco molto meno unitaria rispetto a quello che poi è stato. La possibilità di avere uno studio a disposizione ci ha permesso di rendere il tutto più omogeneo, ma ha anche comportato terribili ritardi nei tempi di uscita...
Il titolo scelto per l'album rispecchia perfettamente il contenuto strumentale: la vostra è musica estremamente umorale e descrittiva; il fatto di essere una band totalmente strumentale è una scelta ben precisa oppure avete seguito semplicemente il mood che i pezzi richiedevano?
G: Niente di più naturale per quello che siamo stati finora. Non siamo riusciti a conciliare quella ricerca di intimismo e di origine e quel livello di apertura che volevamo dare ai brani con l' idea di un intervento così diretto come quello di una voce; non che fosse un obiettivo.
Siete soddisfatti di come suona il disco? Credo rappresenti una perfetta sintesi tra impatto e suggestioni paesaggistiche…
L: Decisamente, avendo curato io in prima persona gran parte delle registrazioni e dei missaggi definitivi devo dire che è un ottimo risultato. In studio siamo sempre stati perseguitati dalla ricerca di un suono il più personale e unitario possibile. I missaggi dei brani ambient ad esempio sono in realtà quasi tutti dei "rough mix", perché durante la stesura di quei brani eravamo così concentrati sull' unitarietà che la fase di missaggio e di arrangiamento si sono sovrapposte, quindi una volta terminate le parti i missaggi erano pressochè perfetti...
Parlateci un po' dell'artwork, visto che in casa Supernatural Cat esso riveste particolare importanza….
G: Bisognerebbe girare la domanda a Malleus… abbiamo comunque seguito lo sviluppo del concept dalle prime bozze e siamo rimasti particolarmente colpiti dall' idea degli elementi. Credo che il lavoro riesca a comunicare perfettamente l' idea di atemporalità che si cela dietro la nostra musica.
L'aspetto live è certamente ciò che consacra e definisce una band: a tal proposito voi siete universalmente riconociuti come un gruppo che dal vivo dà il meglio di sé, raggiungendo vortici sonori che un cd in studio non è in grado di trasmettere…. Sempre parlando dell'aspetto live, come state programmando di promuovere il disco?
G: La dimensione live è forse quella che meglio può rappresentare la nostra attitudine musicale e il nostro modo di concepire una band. Suonare dal vivo è il nostro modo di esorcizzare le tensioni che si vengono a creare in sala, mentre componiamo oppure mentre registriamo. Tentiamo di studiare il set evitando soluzioni di continuità, nei minimi dettagli, cercando di riproporre lo stesso concept del disco.
L: Stiamo cercando di spingerci al di fuori dell'italia per la promozione del disco, ma purtroppo richiede un grande apporto organizzativo visto che quasi tutti noi lavoriamo a tempo pieno.
Di solito siete una band che privilegia il suonare più possibile, sempre e cmq, oppure la vostra filosofia è quella di poche date ma ben programmate, senza il pericolo di trovarsi in situazioni poco piacevoli?
G: Poche date, ben programmate. Come diceva Lorenzo prima purtroppo dobbiamo fare i conti anche con i nostri impegni lavorativi.
Sapete che gli utenti di NeuroPrison sono molto curiosi riguardo la strumentazione usata dalle bands…potete in sintesi parlarci della vostra, di cosa cercate e come ottenete il vostro sound?
L: Il nostro sound proviene fondamentalmente dalle nostre testate. La nostra ricerca di suono è stata quella di cercare di evidenziare le tre chitarre con dei suoni ben distinti.
Quindi abbiamo cercato degli ampli che suonassero puliti ad alto volume: personalmente non ho mai trovato un ampli che potesse competere in distorsione con un semplice pedale, almeno secondo i miei gusti. La nostra scelta è di ottenere un suono il più pulito possibile in partenza dall'ampli e poi distorcere successivamente, ovviamente nei limiti possibili, è chiaro che non potrei mai suonare con un jazz chorus o un twin reverb!
Alla fine la scelta è stata due testate Fender (una Bassman 100 e una Bandmaster reverb, entrambe silverface) e una Marshall Jtm45. Per il basso abbiamo una vecchia testata a transistor fuori produzione, mentre Federico usa una Tamburo con fusti leggermente "oversized" rispetto al solito, più dei campionatori per mandare dei sample dal vivo.
Restando su temi a noi cari, insieme ai vostri compagni d'etichetta Morkobot avete partecipato alla compilation "NeuroSounds Vol.1: Stones from the Sky"; come avete trovato il livello medio delle bands in essa incluse e cosa pensate dell'underground italiano in campo post-core e dintorni?
L: Se devo essere sincero non ho ancora ascoltato attentamente la compilation. Da un primo ascolto (e dai gruppi che conoscevo già) mi sembra che ci siano molte proposte valide. Personalmente amo il lavoro di Larva, sicuramente una delle promesse italiane in campo più sperimentale.
Pensate che un vostro "successo" a livello internazionale possa dare una mano alla scena nostrana, a mio avviso ricca di talento ma davvero poco considerata?
G: Il successo di una band può comportare un miglioramento generale del livello di esposizione di una scena, ma la diminuzione del livello di esterofilia di un paese può infondere maggiore fiducia e autonomia creativa al substrato culturale e conseguentemente facilitare la produzione delle idee.
Come sono stati i vostri esordi, quali i passi e gli avvenimenti che hanno portato alla fondazione dei Lento?
L: Fondamentalmente siamo buoni amici da lungo tempo, e suoniamo insieme da svariati anni, con le formazioni più disparate. Le due svolte principali sono state la scelta di diventare strumentali e l'entrata nella band di Donato; di lento in effetti si può parlare solamente a partire dal suo ingresso nella band.
Le vostre influenze come si sono evolute nel corso degli anni? Quali sono principalmente i vostri ascolti attuali?
L: Ci siamo evoluti molto negli ultimi anni. Fino a qualche anno fa, durante la prima formazione dei lento, eravamo molto più legati alla scena postrock di Louisville, a nomi come Slint, Shipping news, June of 44. Tutti quanti noi fagocitiamo parecchia musica comunque, attualmente per quanto mi riguarda Residents, Guapo, Tim Hecker.
G: Ultimamente Kayo Dot, Buried Inside, Ocean.
Ora siete in tour per la promozione di "Earthen", ci sono cmq dei progetti futuri in cantiere, tipo delle date all'estero?
L: Stiamo cercando di organizzare delle date in Europa nel prossimo futuro, e se possibile vorremmo arrivare agli States entro la fine dell'anno.
Avete già un'idea di come potrà suonare il vostro prossimo lavoro in studio?
L: Se ne parlava appunto in questi giorni in furgone. Per il momento non so anticiparti nulla, posso assicurarti comunque che avrà poco a che vedere con Earthen.
Ok ragazzi abbiamo concluso, grazie mille per la vostra disponibilità ed in bocca al lupo per tutto….ci si vede on stage!
L: Grazie a voi, un caloroso saluto a tutti, siete riusciti a creare un'ottima comunità di scambio, non se ne vedevano così da parecchio.
In bocca al lupo per tutto,
Lorenzo e Giuseppe.
-Edvard-
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