mercoledì, giugno 10, 2009

TREEHORN - Amine


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Tracklist:
1. Monogamia
2. Mushrooms
3. 400 Mornings
4. Balls’ Breaker In Purgatory
5. Pisces, Not Fish
6. 06
7. Four Grey Walls
8. Amines



Nell’immaginario collettivo la montagna è sempre stata considerate luogo di tranquillità, dove ritrovare se stessi, immersi nella natura e vegliati da picchi solenni. La montagna e le langhe cuneesi fanno però eccezione, e se si è alla ricerca della propria pace interiore è sicuramente il caso di peregrinare verso altri cantucci eremitici. Nuova terra promessa per sonorità distorte e contorte, ci ha saputo deliziare con numerose uscite entusiasmanti come quelle di Fuh e Cani Sciorrì, e tanti altri giovani di belle speranze stanno muovendo i primi passi, sempre sotto l’occhio vigile della Canalese Noise Records.
L’imperativo dei Treehorn è l’aggressione sonora tout-court, eseguita però con attenzione certosina per i particolari degna del catalogo Touch&Go, un impatto capace di aprirsi a mille soluzioni, poliforme, che pare arrivare da ogni parte in cui l’orecchio si concentri. Merce rara se si considera il disco come l’esordio del gruppo.
Dal primo passo di Monogamia si può comprendere come la strada sarà costellata di tappe ostiche e sfibranti, i Jesus Lizard che si dimenano nello sludge, mantenendo comunque un riffing affilato a cui fa da contorno uno schizofrenico veleno vocale. Mushrooms e Balls’Breaker in Purgatory filano compatte e quadrate, con il basso in evidenza a sorreggere strutture pesanti, mentre le chitarre disegnano geometrie assassine di rimando ai Keelhaul.
I Treehorn sanno però plasmare l’arringa sonora, giocare con questa e deformarla, ecco allora l’intro dilatata di 400 Mornings che porta gli Amon Düül II tra le nebbie di Fossano e li spinge verso la più volenta depravazione noise-core, trainata da un drumming furibondo e serrato che difficilmente non esalterà gli amanti dello strumento. In venti minuti scarsi la band ha già dimostrato di avere le carte in regola per avere un ruolo di spicco nei menu degli ascoltatori più attenti a queste sonorità, e il sigillo arriva furente con Pisces, Not Fish, letteralmente a briglia sciolta, a dimostrare che si può sempre fare un passo oltre a quanto mostrato in precedenza, e uno dopo l’altro i passi divengono un percorso dove si sperimenta e ci si mette in gioco, come la parentesi ambientale dell’anonima sesta traccia o l’intro desertica di Four Grey Walls, che pone definitivamente la band vicino alle migliori produzioni degli Akimbo.
Il congedo arriva con la titletrack, esagerata in ogni suo particolare, una marcia sofferente chiusa da un finale rumoroso fino all’esasperazione che d’improvviso si fa pacato, come un dito davanti alla bocca ad intimare silenzio, come una promessa, come se il bello debba ancora venire.
Chi ama i Dead Elephant non si lasci scappare questo disco, forme simili e allo stesso tempo complementari di comunicare la medesima urgenza, aspettando che il dito si sposti ancora una volta sugli strumenti e si sfoghi in un nuovo, entusiasmante capitolo in casa Treehorn.

Neuros

Treehorn @Myspace

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