sabato, giugno 20, 2009
BLUE DEERS - A Little Low Dry Garret
Tracklist:
1. Etyope
2. ...and red and black mud
3. Sha naqba Imuru
4. Diane
5. Genista
6. Les rats d'Oran (l'été)
7. H
L’esterofilia dei Blue Deers è un fattore già riscontrabile alla nascita del gruppo, nato infatti in una sessione di registrazione dei componenti dei Cervix (Andrea Nencini ed Enrico Marrucci) nella città di Praga, un inizio già di per sé intrigante.
Se il demo d’esordio “Special Rough Version” lasciava trapelare il rapporto del duo con la città boema, questo nuovo capitolo (coproduzione Cuckold Pruduction e Trazeroeuno) allarga notevolmente gli orizzonti geografici nei quali collocare la loro musica, e la partecipazione di Matteo Mariottini e Alessio Balsini non fa che confermare questa tendenza all’estensione.
Forte del mixaggio da parte di Sanford Parker (Minsk, Buried at Sea), A Little Low Dry Garret è un disco che ammalia nonostante la sua imponente presenza, mostrando come l’assonanza tra il nome del quartetto e i Blue Cheers sia più che una semplice coincidenza, perché musicalmente le origini si possono riscontrare nel trio di San Francisco, nonostante il suono primigenio sia nascosto da riff dal peso specifico maggiore e sottoposto all’incessante erosione da parte di sibilline trame ambient.
I gioco tra pieni e vuoti di Etyope si fa sfumato proprio per i synth che si accavallano e sgomitano per emergere in superficie, prima seppelliti da possenti chitarre sludge/doom, un attacco che differisce nella forma da ...and red and black mud, rabbiosa e austera, con rimandi al suoni dei 5ive nella capacità di fondere polverose sfumature stoner a un’indole notevolmente più estrema e sperimentale.
Con la prima traccia del disco si poteva già fiutare l’abbattimento di ogni confine naturale precedentemente citato, e Sha naqba Imuru ne è la conferma, prendendo spunto dal primo verso dell’Epopea di Gilgamesh, portando i componimenti a sorvolare la sponda sud del Mediterraneo e forgiarsi nel suo entroterra infuocato, in questo caso con un mantra che si tinge di drone, come se Dylan Carlson rivolgesse le sue attenzioni non più all’America profonda ma a luoghi ben più lontani. La tensione è palpabile ed evocatrice, riportando alla mente paesaggi che ben si intonano con i toni solari dell’artwork (semplice ma davvero ottimo nel packaging), chitarra solenne e invocazioni lontane, arpeggi come miraggi e il fantasma dei dervisci sempre dietro l’angolo.
Diane e Genista rappresentano la scissione delle due anime che convivono nel gruppo, la prima punta sulla forza d’urto mentre la seconda si abbandona ad atmosfere liquide ed esotiche, dove ogni nota pare stare in piedi per inerzia.
L’amalgama sonoro è coinvolgente, all’unisono con l’aspetto visuale e concettuale del disco, riuscendo laddove spesso falliscono molti album strumentali, ovvero non cadere nella monotonia, stuzzicando costantemente la mente dell’ascoltatore, un paragone che li accomuna sicuramente a una band come gli Omega Massif.
In Le Rats D’Oran (L’été) sono i suoni di basso a fare collante, spesso vicini a suonare come una chitarra, tessendo trame di spessore e affascinanti, che fanno il paio alla conclusiva H, impreziosita da una digressione elettronica destabilizzante, di quelle che si possono udire nei Minsk, anche se i paesaggi evocati son di tutt’altra natura, non c’è polvere cosmica o spazi siderali, ma è tutto legato alla terra, la vastità del deserto e il turbinìo di miriadi di granelli di sabbia che danzano in armonia, non disturbati dal selvaggio finale.
Se si cerca un disco in cui perdersi, A Little Low Dry Garret giunge all’occorrenza, sicuramente tra le migliori uscite dell’anno e destinato a sedurre nel tempo.
Neuros
Blue Deers @Myspace
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