lunedì, marzo 30, 2009

ZU - Carboniferous

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Tracklist:
01. Ostia
02. Chthonian
03. Carbon
04. Beata Viscera
05. Erineys
06. Soulympics
07. Axion
08. Mimosa Hostilis
09. Obsidian
10. Orc



Se c’è un disco italiano che meglio di tutti rappresenta le ansie e le trepidazioni di fine decennio, questo è Carboniferous dei romani Zu.
In attivita’ dal 1997, vari album, side projects e tante collaborazioni eccellenti (Eugene Chadbourne, Mats Gustafson e Nobukazu Takemura vi dicono niente?) Massimo Pupillo, Luca Mai e Jacopo Battaglia sfornano il disco della “svolta” rock, che smussa gli elementi free jazz del passato (quello di dischi “avanti” come Bromio e Radiale) per dare vita ad un jazz-mathrock di rara intensita' ed ispirazione.
Chi in passato li accusava di essere troppo “cervellotici” e li preferiva in veste live, ora dovra' ricredersi alla grande. Il micidiale trittico iniziale Ostia/Chthonian/Carbon non poteva essere migliore biglietto di presentazione; un sound tremendamente martellante, massiccio, visionario e ”metropolitano”, che calibra alla perfezione forma e sostanza, significato e significante.
Mimosa Hostilis è una danza ossessiva spaccacervelli che fara’ sobbalzare dalla sedia, mentre l’alternanza di groove e figure apocalittiche caratterizza la splendida Obsidian.
Beata Viscera è invece un pachiderma mathrock tutto basato su slapping di basso, continui cambi di tempo e fratture ritmiche; la tensione è al massimo e la band dimostra ormai di conoscere tutti i trucchi del mestiere tipici dei musicisti navigati.
Da segnalare l’ottimo lavoro in cabina di regia di Giulio “Ragno” Favero (anche alla chitarra, basso e programming) e la partecipazione di King Buzzo dei Melvins su Chthonian, che contribuiscono a dare al disco un carattere marcatamente rock.
C’è spazio anche per l’oscuro drone-ambient di Orc che chiude in bellezza un disco sublime; peccato solo per i vocalizzi un po’ sottotono di Mike Patton su Soulympics (che avrei visto meglio interamente strumentale), ma è davvero l’unico, trascurabile difetto di un disco estremamente riuscito.
Cio’ che piu’ colpisce in Carboniferous è l’equilibrio perfetto tra ricchezza espressiva e resa sonora d’insieme, amalgama ottenuto sviluppando un'idea gia’ in passato utilizzata dai fratelli Wright dei No means No, usare il live come forma di sperimentazione prima della stesura defintiviva su disco.
Se gia’ nel 2008 l’ “avant-rock” italico aveva brillato per un’uscita come "Morto" dei Morkobot, questo gia’ ricco 2009 ci consegna una band ed un lavoro immensi, che speriamo e crediamo possano ottenere il giusto riconoscimento (il contratto con la Ipecac di Patton in questo senso di certo aiuta, per altro segno di una reputazione ormai consolidata a livello internazionale).
Straconsigliato, se ancora non si fosse capito.


Marcello Semeraro

Zu@Myspace

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