venerdì, febbraio 06, 2009
BACHI DA PIETRA
Dopo l'uscita del fantastico Tarlo Terzo, terza fatica dei Bachi da Pietra abbiamo contattato Giovanni Succi per farci il punto della situazione, e questo è quanto ci racconta...
Ciao Giovanni, evitando le domande generiche (e di routine) sulla formazione dei Bachi da Pietra, arriviamo subito al sodo della questione : perché Dorella e perché solo in due?
Perché Dorella ce n’è uno.
Per un suono come il vostro è difficile scindere il lato musicale da quello concettuale/lirico, ma per evitare di perderci proviamo un attimo a separare le due parti. Innanzitutto il suono, dovessi dirti : Jhonny Cash, Tom Waits, Nick Cave, Michael Gira; quali di questi tre artisti hanno più influito sui Bachi?
Tom Waits, gli altri li conosco quasi solo di nome. Autentico padre spirituale insieme ad altri, vera summa di qualcosa che parte dal blues arcaico passando per Beefheart e arriva dritto alla contemporaneità. Ultimamente forse pubblica troppo, ma gli perdonerei anche la maionese impazzita. Come autore, per l’amore e il rispetto che gli porto ( e per il rispetto che porto a me stesso), non mi permetterei mai di scimmiottarne gesti e costumi o di spacciare per mie immagini sue... Mi limito ad adorarlo nel privato e, con la sua lezione stropicciata in tasca, accartocciata insieme a quelle di alcuni altri, me ne vado per la mia strada. La mia strada è fatta anche di cose diversissime dalle sue, sono chiaramente figlio di un’altra generazione. Sulla mia strada, musicalmente parlando, ci sono grandi solchi di rock ad alto voltaggio, metal-punk ed elettronica dove inciampo volentieri.
Personalmente, ho notato come l’evoluzione più marcata rispetto ai precedenti album sia nei tappeti percussionistici di Dorella, più “ritmati” se mi passi il termine; si è letto di certe influenze trip-hop in quest approccio, io ci aggiungo soprattutto scorie post-industriali, tu come la vedi?
La vedo come una cosa che si sta evolvendo. Il gioco della ricerca delle definizioni non mi compete e francamente mi annoia. Post-questo, pre-quello: perché tanta ansia? Definire è terminare. Abbiamo cominciato nel 2005, oggi è il 2009 e non abbiamo ancora finito.
Molte delle parti percussive che probabilmente individui come campioni, sono in realtà prodotte in tempo reale dalle mie mani sulla cassa armonica dello strumento acustico a corde: suonano come elettronica (digitale) e invece sono pura fisica (analogica): parti di corpi che battono; il che ci diverte molto. Chi assiste ad un concerto dei BDP si rende immediatamente conto che quello che facciamo è puramente fisico, quindi - alla fine - è rock’n’roll. Diverso, eppure sempre quello: il fatto che ci si sprema le meningi per capire cosa sia ci dà la cifra del fatto che funziona. E infatti funziona ovunque lo portiamo, anche fuori confine, dove i testi perdono di importanza. Il resto sono parole per spiegare cose che se te le trovi davanti sono chiare come il sole. Dal punto di vista sonoro ci piace giocare a confondere le acque e, soprattutto, ci piace giocare ad arrangiarci con quello che abbiamo e cioè 8 arti (in due), due tamburi (uno fa TUM l’altro fa TA) e uno strumento a corda, più la voce. Ingredienti fissi. La necessità aguzza l’ingegno.
Nella recensione scrivo di “clangori metallici e porte che cigolano, legno che stride e vetri rotti, rami spezzati e arpeggi dissonanti : più che un blues, il suono di Tarlo Terzo è l’incubo post-nucleare in una cascina persa nella campagna piemontese.” Cosa cerchi dal suono della tua chitarra e quanto lavoro si cela dietro esso?
La tua descrizione è pirotecnica ma bella, poetica (ricca di immagini) e calzante, te ne sono grato. Non credo occorra arrivare al post-nucleare per cogliere quello che passa il convento, sono cose che noi traiamo dal normalissimo presente. Mi riallaccio a quello che stavo dicendo: quelle cose che senti le facciamo con quegli ingredienti dichiarati. Quanto lavoro? Tanto. Nel suono della chitarra cerco di tutto, per questo frugo a mani nude.
Essendo i lettori di NeuroPrison maniaci della strumentazione puoi un attimo delineare i tratti principali della tua?
Ampli Fender valvolare anni 70 gracchiante e sfusciante il giusto; un paio di Stratocaster dello stesso periodo (una mi è stata recentemente rubata). Telecaster modello base; Heritage elettroacustica; Seagull acustica (quella con la cassa spaccata); basso acustico Takamine GS. Pedali: un overdrive della Boss. Nei BDP tassativamente sempre senza plettro; riverbero tassativamente sempre sullo zero (AC/DC docet). Solo in TNT c’è una loop-machine in Prostituisciti.
La coda finale di Seme Nero è notevolmente dilatata, omaggio ai Madrigali Magri?
Direi di no... Che io sappia.
Dal Nulla nel Nulla è tra i brani più pacati e “dolci” presenti nel vostro repertorio, come è nata?
Dal nulla.
Perché Tarlo Terzo?
Suona bene come titolo per il terzo album dei bachi da pietra. Non sembra il nome di un qualche patetico desposta in rovina?
Come nascono i testi dei Bachi da Pietra? Flusso di coscienza o c’è dell’altro?
Questa cosa del flusso di coscienza è un mito giovanilistico che va sfatato. In parole povere una grossa cazzata. I risultati si ottengono con la determinazione, l’impegno, la lima, il confronto, la curiosità, l’ascolto, la ricerca della precisione, la ricerca dell’autenticità, gli errori, l’autocensura, il riascolto, l’approfondimento, la padronanza dei mezzi che usi, la coscienza del tempo in cui vivi, l’umiltà, l’umanità. Se manca la scintilla tutto questo che ho detto non produce niente. Ma se c’è solo la scintilla, hai voglia a dare flusso alla coscienza: ...ti manca l’esplosivo. Se hai scintilla ed esplosivo, trovati un obiettivo.
Sappiamo che sei laureato in lettere a indirizzo italianistico, quanto ha influito ciò a livello lirico, e soprattutto, continui a studiare?
Ha influito molto, dal momento che le mie passioni e i miei studi sono riusciti a coincidere. Ero un uomo felice tra questioni di filologia romanza e problemi di metrica trecentesca, o almeno così mi pare che fosse, non è detto che sarebbe stato; il fatto che poi abbia scelto altre strade per il sostentamento dei miei bisogni non ha ovviamente cancellato i miei interessi. Certo che continuo a “studiare”, non mi è mai costato fatica e per studiare intendo incuriosirmi, avere sete, frequentare altri mondi, altri tempi, persone morte che hanno lasciato parole vive, ritornare su vecchie pagine con occhi nuovi, su pagine nuove con occhi più vecchi. Dovendo fare altro per vivere mi rimangono i ritagli di tempo...Ma anche se così non fosse, tutta la vita non basterebbe lo stesso. E non basterà, devo cominciare a farmene una ragione. Lascerò inesplorate un sacco di cose.
Sono curioso di sapere quale sia lo scrittore italiano in cui più ti rispecchi, ma ancora di più, quale sia quello più ostico per te...
Lo scrittore di che cosa. La domanda è un po’ generica. Quanto ai versi Giorgio Caproni è sicuramente l’autore contemporaneo in cui da anni si rispecchiano di più i miei gusti. Il più ostico: ...in che senso? Nel senso impegnativo ma piacevole (quindi il più difficile ma godurioso: direi il Giovanni Giudici di Salutz); oppure intendi quello che non reggo. C’è una bella differenza e comunque in questo non farei testo: mi risultano spesso pesantissime e insostenibili le cose fatte apposta per essere leggere. Come le canzoni del festival o la musica di sottofondo nei centri commerciali o alle feste di compleanno. E’ chiaramente un limite mio.
In genere non reggo gli scrittori italiani giovanilisti, o quelli che scrivono come voci fuori campo usando sempre solo il passato prossimo o il passato remoto: e sono la maggior parte. Spesso coincidono.
Dal generale allo specifico: Tarlo Terzo pare porsi in maniera meno velata verso certe tematiche sociali..
Messa giù così farebbe pensare al solito cantautore italiano che per darsi arie da impegnato ti spiega chiaramente che lui è nel giusto e tutti gli altri sono in errore. Non è così nei BDP. Nessuno ti mette in mano una bandierina da sventolare o un accendino da far brillare. E’ pur vero che volendo analizzare la cosa con occhi vergini, tutta la vita è una tematica sociale, e a me interessa la vita del singolo individuo, come si rapporta col mondo. Un mondo fatto di singoli individui, determinato da ogni singola scelta.
F.b.d. (Fosforo Bianco Democratico) è un titolo molto forte, presenta l’ossimoro putroppo riscontrabile nella realtà, quale è stato l’input per stenderla?
E’ un titolo molto forte ma purtroppo non è opera di fantasia. Si tratta di uno dei mezzi con i quali noi abbiamo testimoniato nel mondo quello che siamo in grado di fare se lo riteniamo necessario a fini economici e di potere (perché di questo si tratta, il resto sono fiabe per ingenui). Fatto sta che alla fine le armi di distruzione di massa le avevamo noi e per far prima le abbiamo usate. Mi sono imbattuto un paio d’anni fa nei documentari di Rai News 24 che mostrano immagini dell’attacco notturno su Falluja, Iraq. Sappiamo essere molto pragmatici, dis-umani come gli altri, quando si tratta di affari e denaro; come un qualsiasi “Stato canaglia” che noi additiamo sdegnosamente, noi stessi in cinque minuti possiamo sotterrare nello sterco il Cristo Santo, anneghiamo nel pozzo il Gesù bambino e le renne della Coca Cola, pisciamo sui diritti dell’uomo, della donna, dell’infanzia, sul manuale del trapper, su Pippo Pluto e Paperino, sull’orso Yoghi e Bubu, sulla salvaguardia della foca monaca, sulla tutela delle belene, sull’ampolla di san Gennaro, sulla tomba di quella santa di nostra madre. Poi passa: torniamo candidi aspiranti alla costruzione di un mondo fondato sul rispetto, sui principi del dialogo, del confronto, della soluzione diplomatica delle questioni internazionali. Se riteniamo di aver sbagliato, a posteriori possiamo addirittura arrivare, molto civilmente, ad ammetterlo. “E’ vero, ci siamo sbagliati”. Potenza dello spettacolo.
Qual è secondo te il potenziale della musica odierna nell’esprimere queste tematiche, tenendo conto della società che viviamo?
E’ pari al potenziale di espressione della qualsiasi cosa che ti prema espellere, se ti preme farlo. L’utilità è ovviamente pari a zero.
Molti artisti sognano di scrivere colonne sonore, a te chiedo: hai mai pensato di cimentarti in un audio-libro?
Caspita, si. Ho un progetto da qualche anno, piuttosto ambiziosa, ci sto lavorando: l’esecuzione per sola voce de Il conte di Kevenhuller di Giogo Caproni.
I vostri dischi sono pubblicati per la Wallace Records, alchimia perfetta?
No, ...è che ci pagano talmente tanto che alla fine ci sentiamo quasi un po’ obbligati.
Dovessi citare tre compagni d’etichetta che più apprezzi?
Difficilissimo perchè una sfilza di gruppi e di persone interessanti passano e sono passati da queste parti in dieci lunghi anni… Impossibile. Andate sul sito della Wallace e scorrete l’elenco dei gruppi. Se riuscite a dirne solo tre vi pago da bere.
Siamo in chiusura…che sviluppi vedi nel suono dei Bachi da Pietra?
Non li vedo. Li sento. Spero li sentirete anche voi.
L’ultimo libro che hai letto?
Sulla spalliera del letto tengo un numero di libri a rotazione, cominciati o ripescati più o meno simultaneamente. Nelle letture di svago non sono metodico. Non sempre li finisco, soprattutto se non mi svagano, ma loro non si offendono. Sanno che magari poi torno in un altro momento. Oppure semplicemente se ne fanno una ragione. Ad esempio mi sta annoiando Gang Bang di Chuck Palahniuk, che per altri titoli era stato tra i miei preferiti. Molto meglio Opus Pistorum di Henry Miller... Altri presenti al momento: Le città invisibili e Palomar di Calvino (li rileggo sempre volentieri aprendoli a caso), la scuraglia di Tiziano Scarpa, un manuale di filosofia presocratica in quattro volumi, V per Vendetta, Cage, Rat-Man (fumetti), un libro fotografico sulle creature delle fosse oceaniche (Abissi, di Claire Nouvain), un saggio sulla prima guerra mondiale e uno sulla pratica della rapina nel Medioevo, una monografia sulla storia della scherma, alcune opere in versi (Giovanni Giudici, Erri De Luca, Ludovico Ariosto...). La spalliera del letto consiste praticamente in un vecchio mobile-giradischi degli anni Cinquanta che stava nel salotto buono dei miei… Altezza giusta, larghezza abbondante… La radio funziona ancora.
Grazie per la disponibilità Giovanni, a te il compito di chiudere l’intervista.
Notte.
Neuros
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
1 commento:
giovanni succi dovrebbe insegnare nelle scuole. in tutte le scuole d'italia. giovanni succi è il verbo.
Posta un commento