lunedì, giugno 28, 2010
BARONESS CONTEST
Quando si parla di metal progressivo o sperimentale non si puo' non nominare i Baroness, un combo attivo solo dal 2003 ma che in pochi anni e' diventato uno dei pilastri di questo genere. Forse si ispirano ai panorami rocciosi delle loro Blue Ridge Mountains, forse il loro nome e' un’azzeccatissima premonizione, o forse semplicemente i quattro Baroness sapevano fin dall’inizio quello che avrebbero voluto creare… A noi basta sapere che i Baroness ci sono, e che a breve passeranno anche per l’Italia con il loro impressionante muro sonoro!
BARONESS
11 luglio @ Rock Planet, Pinarella di Cervia
12 luglio @ Circolo Magnolia, Segrate
Neuroprison in collaborazione con Hard-Staff mette in palio un biglietto per la data del 12 Luglio al Circolo Magnolia, per partecipare al contest basta rispondere correttamente alla seguente domanda mandando una mail al nostro indirizzo: neuroprison@hotmail.com
Quali due colori vengono in mente pensando alla loro discografia?
Il contest rimarrà aperto sino a Venerdì 9 Luglio....buona fortuna!
giovedì, giugno 17, 2010
UFOMAMMUT @ Hey Sun Fest (Padova)
Padova 11 giugno 2010
Hey Sun Fest, un nuovo spazio in città dove finalmente si riescono ad organizzare live senza chiedere esborsi enormi alla cittadinanza, dove finalmente non ci vuole una tessera per entrare, dove finalmente non vengono sempre gli stessi gruppi.
Ore 21, arriviamo e ci accorgiamo che il luogo prescelto non è altro che un parco giochi per bambini, con scivoli gonfiabili, giostrine e mini golf.
Sorridiamo un po’ all’idea che gli Ufomammut possano suonare in una location simile, immaginadoci le facce divertite di Poia, Vita e Urlo nel vedere il palco montato accanto ad un enorme scivolo gonfiabile rosa.
La gente sembra non arrivare mai, e conseguentemente il concerto non ha inizio, oltretutto fino alle 22 i ragazzi stanno ancora montando il palco, pare ci siano problemi con il proiettore dei visual, e infatti a fine concerto Urlo mi confermerà che hanno perso quasi 4 ore per cercare un modo per montare il videoproiettore.
Intorno alle 22.30 i nostri salgono sul palco, accendono gli amplificatori e come una sorta di richiamo tribale, le vibrazioni dei Green Amp richiamano le persone fino a quel momento placidamente sedute al bar.
Non saremo stati più di 50 a farla grande, ma la cosa non sembra scoraggiare ne demoralizzare il trio piemontese che comincia a suonare l’intro della prima parte di “Eve”, il nuovo album da poche settimane uscito sul mercato.
Il concerto si snoda lungo i 45 minuti di “Eve”, che viene proposto interamente dando al pubblico una gran carica.
Personalmente scettico davanti a questo nuovo lavoro del mammut spaziale, mi son dovuto ricredere in sede live.
Il disco funziona, le vibrazioni entrano ed escono solcando nel profondo. “Eve” scatena emozioni dal vivo che su disco pensavo fossero impossibili.
Il terzetto è decisamente ispirato e da proprio l’idea di divertirsi a suonare.
45 minuti dopo siamo tutti e cinquanta sotto il palco a chiedere in ginocchio che il concerto non finisca qui, ma purtroppo i gestori minacciano di staccare la corrente qualora si vada oltre l’orario concordato.
Gli ufo sono amareggiati quanto noi, avevano in mente di suonare ancora, avevano anche preparato una sorta di scaletta post “Eve” ma niente, vengono bloccati.
La serata non finisce, i tre si lanciano al banchetto del merch accogliendoci e dimostrandosi veramente gentilissimi e disponibili.
Mi fermo a chiaccherare con Poia che mi spiega qualche variazione minima nel set-up strumentale rispetto all’anno scorso, poi gironzolando incontro Urlo con cui mi soffermo a chiaccherare parecchio di musica , di “Eve” e gli confesso che su disco non mi ha dato le stesse emozioni dei dischi precedenti, e lui mi confida, con mia sorpresa, che questo nuovo album è probabilmente l’unico lavoro degli Ufo che lui riesce ad ascoltare dopo la registrazione.
Parliamo moltissimo e mi rilascia qualche informazione riguardo al futuro degli Ufomammut che potrebbe vedere un evoluzione nettissima anche se, a detta sua, il prossimo disco non sarà facile.
Rimango molto stupito dalle sue informazioni, mi stranizza come riesca a parlare di quello che dovrà venire dopo “Eve” nonostante questo lavoro sia appena uscito, già sono proiettati oltre.
Altre informazioni mi vengono date sul roster supernatural, ma è ancora presto per svelare il tutto.
La serata finisce con autografi e birre, risate e bella musica.
Unica nota dolente la scarsa affluenza di pubblico, rimango basito da come la gente non riesca a cogliere questi eventi, preferendo magari spendere centinaia di euro per concerti evitabili, quando con 8€ si poteva tranquillamente gustare un ottimo spettacolo a pochi passi dal centro cittadino; complice nella poca affluenza di pubblico a mio avviso è la scarsa pubblicità che questo Hey Sun Fest sta facendo in città.
A fine mese suoneranno su questo stesso palco i Current 93, ma credo che siano veramente in pochi a saperlo.
Concludendo ringrazio gli amici accorsi ieri sera, e gli Ufomammut per lo spettacolo e per la bellissima chiaccherata post concerto.
Magari a Padova si vedessero più spesso eventi di questo tipo.
PostNero.
sabato, giugno 12, 2010
CAST THY EYES
I Cast Thy Eyes sono il suono del Salento che sputa sangue. 4 ragazzi (Christian Montagna alla voce, Andrea Litti alla chitarra, Stefano Bovino al basso e Giuseppe Guido dietro le pelli), tanti ideali da condividere in una terra difficile e una storia di amicizia e di passione trasfigurate in musica. E’ da poco uscito il loro secondo disco, We Burn Into The Cold Eyes Of The Sun. Di questo e di altro ancora abbiamo parlato con Andrea, Chris e Stefano nell’intervista che segue.
Allora ragazzi, benvenuti su Neuroprison. Iniziamo con la più classica delle domande: come, quando e perché avete deciso di suonare insieme…
C: Tutto prese forma nel dicembre 2006. L’intenzione era quella di formare una nuova realtà musicale estrema che inevitabilmente ha coeso diverse entità della scena hardcore/metal salentina. All’inizio tutti ci videro come un progetto estemporaneo, solo dopo i primi devastanti live e il primo album registrato agli inizi del 2007 la gente si rese conto delle vere intenzioni dei Cast Thy Eyes e che inevitabilmente facevamo sul serio. Ora dopo appena due anni siamo ancora qui più determinati e perseveranti che mai, con un nuovo chitarrista Andrea Litti e con un nuovo album all’attivo fuori dal marzo 2010. Il titolo del disco prendere forma da una mia personale visione di quello che realmente siamo come individui e quello che ci ritroviamo scomodamente a masticare da anni in questa terra, priva di quel sole o meglio di quella luce di speranza che tutti vedono. Si parla del Salento come fosse la Jamaica del Sud e in realtà forse con quella terra abbiamo una serie di cose in comune: povertà, disagio, e un senso di vedere tutto positivo anche quando la merda l’assapori giorno per giorno. Beh se questa è la realtà mi tiro fuori! Sai perché? Perché la gente di questa terra ha dei profondi limiti statistici e di appartenenza. Io sarò sempre dalla parte dei disadattati, di chi rimane povero, subisce e va avanti a testa alta, di chi non si fa schiacciare dalla repressione, dalle false istituzioni, dallo sporco governo e dalla falsa ipocrisia! Nel Salento le false promesse hanno solo portato sconforto e disperazione, perciò si fottano tutti questi figli di puttana abituati a ricevere da gente ignorante (purtroppo) un voto politico e manipolarlo di conseguenza come un fosse un coltello da conficcare in ogni schiena. E questo è esattamente quello che descrivo nel testo di “dilemma”, e cioè: “dovunque vada, vedo visi che aspettano il momento opportuno per tentare di assassinarsi”. La realtà è più vera di quello che sembra! Io ho lottato duro per avere quello che mi sono costruito negli anni, anche nella musica e non lo butto nel cesso per nessuna ragione.. né tanto meno mi faccio illudere nella vita di tutti i giorni da una classe politica falsificata. Andrò avanti a pugni stretti ancora con più determinazione, consapevole di essere un vero e sporco figlio di puttana proveniente dal profondo Sud!
We Burn Into The Cold Eyes Of The Sun è un album monolitico e rabbioso, in cui convivono dinamicamente rifferama metal-core e accellerazioni tipicamente hardcore.
Vi sentite maturati come band rispetto al debutto omonimo di appena tre anni fa? Com’è cambiato da allora il processo compositivo nei Cast Thy Eyes?
C: I Cast Thy Eyes racchiudono esclusivamente 3 cose fondamentali: ATTITUDINE, PERSEVERANZA e un modo PERSONALE di comporre musica assolutamente non omologata o in linea con le pietose mode del momento. Abbiamo la capacità di usufruire di una dote speciale che è quella della sintesi, unita all’esperienza più che decennale di ognuno di noi. Delineare e materializzare riffs, ritmiche, metriche vocali non inclini a parametri pre-confezionati o scontati. Nulla è studiato a tavolino. La nostra è musica spontanea, istintiva, vera fino al midollo che nasce dal cuore e dalla passione di vivere questa band come unico propellente. Un sound vero che chiude il cerchio soprattutto in ogni nostro devastante live e chi ci ha visto sa cosa intendo. Non parlerei di maturità, ma solo di esperienze negative o positive che accumulate nella vita di tutti i giorni ti fanno anche crescere e comporre musica migliore e più rabbiosa. Sono molto felice di questo nuovo album e ovviamente dell’evoluzione musicale che ha toccato anche me sul lato vocale, incidendo dinamiche e metriche che mi rendono felice del lavoro fatto. La gente, gli addetti ai lavori e chi ci segue da sempre sta valorizzando quanto fatto ed espresso fin’ora. Ma, sono ancor più orgoglioso di quello che stiamo componendo con l’amico Andrea Litti alla chitarra! Con lui abbiamo già cinque nuovi brani finiti che racchiudono la nuova e furibonda essenza dei Cast Thy Eyes.
Ho riscontrato delle analogie tra il vostro sound e quello di alcune band del catalogo Relapse (Coalesce su tutte). E’ così? Quali sono le vostre principali influenze?
A: beh proprio i Coalesce forse no (mai sopportata la voce del cantante), anche se indubbiamente e per quanto mi riguarda, le band emerse come loro dalla costa est statunitense a fine anni '90 e che hanno contribuito a svecchiare e ridefinire l'hardcore, hanno indicato che esisteva una nuova via, concettuale più che stilistica in senso stretto, parallela a quella segnata dalle contaminazioni tra metal e hardcore tutte muscoli e niente cervello, e ancora oggi molte di quelle band suonano ancora “moderne” e fresche anche rispetto a produzioni più recenti. La Relapse in realtà a questo genere di cose è arrivata in ritardo rispetto al lavoro pionieristico di etichette come Revelation, Hydra Head o Equal Vision e ha sicuramente fatto fruttare il proprio peso specifico superiore alle etichette citate a livello promozionale, portando certi suoni all'attenzione di masse più numerose (giusta osservazione, ndr).
Riguardo alle band che hanno influenzato il mio modo di suonare, se ti dicessi che la più grande influenza musicale della mia vita sono stati i Metallica di “And Justice For All” non ti direi una fesseria, ma sfido chiunque a trovarne traccia evidente in tutte le band con cui ho suonato fino ad oggi, tranne le due cassette demo registrate con la mia prima band nel '95 e nel '96!
Oltre al lavoro di Stefano Manca in cabina di regia, bisogna ricordare anche l’ottimo contributo di Mr. Alan Douches (già al lavoro con Converge, The Dillinger Escape Plan e Mastodon) che ha masterizzato i brani di We Burn… presso il West West Side Music Studio di New Windsor (NY). Immagino siate soddisfatti del risultato finale. Come siete entrati in contatto con lui?
A: Ovviamente conoscevamo già Alan Douches per i suoi lavori, e proprio Stefano Manca aveva già inviato ai West West Side un paio di mixaggi usciti dal suo Sudestudio, quindi la scelta è stata doppiamente naturale.
Recentemente la line-up originaria è stata leggermente modificata con l’uscita del chitarrista Antonio Gaballo - che comunque ha partecipato alla stesura dei brani e alle sessioni di registrazione - e l’ingresso in pianta stabile di Andrea Litti (ex Shank, nonché già compagno di merende di Christian nel progetto grind Traitor ). Dobbiamo aspettarci dei cambiamenti significativi nel songwriting dei Cast Thy Eyes d’ora in avanti?
A: In qualche modo sì. Anzi, questo sta già avvenendo nei cinque pezzi che la band ha scritto con me alla chitarra in questi quattro mesi dal mio ingresso in formazione. Chiaramente non si tratta di stravolgere totalmente l'approccio musicale del gruppo, intanto perché io e gli altri della band abbiamo un background musicale abbastanza comune a livello di ascolti, poi ovviamente sono conscio del fatto che la band ha una sua identità e cerco comunque di assimilarla, nello spirito più che nella lettera. Infine, è cambiato solo un membro su quattro, e devo dire che finora il processo compositivo si è dimostrato molto democratico. Questa cosa in particolare mi ha positivamente colpito: che quando si scrivono i pezzi nuovi ognuno di noi ha qualcosa di buono e sostanziale da suggerire e proporre, anche al di là del proprio ruolo nella band. Ora come ora non saprei dirti con precisione come o in che direzione sta mutando il sound dei Cast Thy Eyes... per ora posso solo sperare che ne daremo dimostrazione effettiva molto presto!
S: Nessun brusco cambiamento se si considera il fatto che i brani sia passati (con Antonio) sia presenti (con Andrea) sono sempre stati figli di una composizione corale, dove ogni uno di noi è fondamentale e l’idea di ogni singolo anche se minima è sempre determinante! Andrea è un animale, è entrato con determinazione, e soprattutto serietà in un periodo delicato della nostra storia! Ha esperienza da vendere oltre che una passione che fa invidia a tutti! Dal primo giorno ci ha trasmesso un nuova carica e forza, e tutto questo lo si sente già nei nuovi brani.
Parlateci dei testi di We Burn… Mi pare che essi siano incentrati soprattutto su due aspetti: il travaglio interiore e l’amara e disincantata osservazione della realtà.
“Il seme dell’angoscia” di cui parlate nel brano d’apertura è difficile da cancellare?
C: I miei testi racchiudono la realtà, quello che vedono i miei occhi, quello che vivo in ogni istante della mia vita anche quando trascorro lunghi momenti di solitudine, dipingendo! i miei sono pensieri che scaturiscono da un marcato disagio mentale e che si esteriorizza anche attraverso una personalità instabile, vogliosa di rigenerarsi giorno per giorno con nuovi stimoli e bestie da accudire. Aver attraversato la nebbia anche nella mia vita vissuta, aver assaporato su pelle cos’è la sofferenza, mi ha portato a scrivere cosa si nascondeva dietro questa foschia…
Dal video di "Die One Day" (uno dei momenti migliori del disco per il sottoscritto) è evidente il desiderio di sottolineare il legame con le vostre radici. Eppure la musica proposta dai Cast Thy Eyes è lontanissima da tutto cio' comunemente evoca l'immaginario salentino. Mi domandavo cosa c'è di "salentino" nella vostra musica...
C: C’è una cosa che molti non hanno capito o percepito. Noi non abbiamo girato il video di “Die One Day” per far vedere quanto ci sentissimo legati alla nostra terra o alle radici e quindi farci vedere grezzi, sporchi e sudati in quel contesto. Il video trae in inganno, ed è proprio quello che volevo ottenere avendo curato la regia e lo storyboard dello stesso. I ragazzi della band erano d’accordo con la mia visione e perciò hanno dato un contributo vero con idee e soluzioni possibili. La rabbia non ha un’identificazione precisa, non può essere contestualizzata! Questo penso! Perché oggi lo stereotipo di fare un video hardcore o metal viene visto ancora con determinate soluzioni che possono essere riconducibili a posti o spazio temporali ricercati appositamente o peggio ancora costruiti da un set. “Die One Day” non è studiato a tavolino, non è stato gonfiato con americanate spastiche, abbiamo solo suonato quel pezzo in modo aggressivo e violento come lo abbiamo proposto in qualsiasi situazione live. Quella campagna è solo riconducibile alla nostra essenza ma la realtà e che abbiamo solo suonato in modo vero e in your face. Io ci tengo a ringraziare ancora Stefano Tramacere e Marianna Russo di 18GRADIaEST Videoproduzioni, per il lavoro svolto nel video. La cosa che più mi rende felice è che solo loro potevano entrare nella mia testa e capire ciò che volevamo raggiungere per l’essenza della band. Oltre che amici, sono dei professionisti seri e motivati, in questo ci siamo ritrovati perfettamente.
Il nuovo album è stato co-prodotto dai Cast Thy Eyes e da un “consorzio” di piccole realtà indipendenti riunite sotto il nome di D.I.Y. Conspiracy. La domanda nasce spontanea: quale credete sia il futuro del D.I.Y., in un momento storico in cui la supremazia del web ha portato alla digitalizzazione/disumanizzazione della musica e alla frammentazione delle “scene”?
S: Certo il momento non è dei migliori, ormai è diventato tutto un puttanaio. Il D.I.Y. però è passione forte, è un legame carnale verso ciò che si fa, dalla registrazione di un disco, all’indebitarsi per stamparlo, al distribuirlo e/o a supportare un altro gruppo a fare tutto ciò. D.I.Y è l’essenza dell’ hardcore, è orgoglio! Guarda secondo me certe passioni sono dure a morire e limitarsi alla condivisione di un file non credo possa diventare mai l’unico e solo obbiettivo di una band.
Tempo fa ho assistito ad un vostro live set particolarmente infuocato e coinvolgente e ho maturato la convinzione che è quella la sede in cui la vostra musica trova la sua dimensione migliore. Come descrivereste un vostro concerto a chi non ha ancora avuto la possibilità di vedervi all’opera?
A: Mi trovi abbastanza d'accordo, e qui ci posso mettere il doppio punto di vista di chi questa band l'ha vista suonare da entrambi i lati del palco! Sicuramente siamo un gruppo molto “fisico” e che dal vivo non si risparmia, anzi... sudore, sangue e corde rotte sono gli ingredienti principali delle nostre esibizioni, ma non si tratta di fare i pagliacci, magari per nascondere altre carenze musicali o strumentali. Ci riesce facile farci coinvolgere per primi dalla musica che suoniamo, in maniera molto naturale e istintiva. Sicuramente l'esperienza maturata suonando dal vivo per dieci o più anni, con Cast Thy Eyes e con le nostre precedenti band, ci è servita, anche dal punto di vista tecnico e dei suoni.
Come vi state muovendo per la promozione di We Burn…?
S: Alla grande. Di questo se ne occupa soprattutto Christian. Ogni giorno a fare la fila negli uffici postali non è da tutti, anzi sfido io qualunque label a fare quello che fa lui con così tanta costanza e professionalità! Nel giro di pochi mesi Il disco è stato già recensito dai tutti magazine più importanti, Il video è stato per due mesi in rotazione su due programmi di Rock tv, e le apparizioni su webzine sono una costante.
Ritornando al discorso D.I.Y., certe cose ce l’hai dentro.
Progetti futuri?
A: come dicevo prima, siamo sempre al lavoro per scrivere i pezzi che faranno parte di un futuro nuovo full lenght, ma il progetto discografico più immediato è la ristampa di “We Burn...” su vinile 12” che sarà curata dalla francese The Flying Elephant records. Questa etichetta ha già prodotto tra le altre cose un ottimo album degli spagnoli Antigua Y Barbuda, i quali ci affiancheranno in un tour europeo organizzato dalla stessa label francese, che se tutto va bene ci vedrà impegnati tra fine Ottobre e inizio Novembre per una dozzina di date tra Italia, Francia, Belgio, Germania e Spagna.
Entro la fine del 2010 contiamo anche di riuscire a recuperare le date del tour italiano con gli amici Hobophobic, previsto per lo scorso fine Maggio e saltato all'ultimo momento per cause di forza maggiore, e abbiamo in programma altri giretti lungo la Penisola. Riguardo a future date nel Salento, quest'estate saremo al Lecce Hardcore Fest che si terrà dal 30 Luglio all'1 Agosto presso la Rimesa Autogestita di Sanarica (LE) e il 13 Agosto al Mundialito Antirazzista, un torneo di calcio a 5, con vari eventi serali a fare da cornice, che si svolgerà a metà Agosto a Gagliano del Capo (LE) e che vedrà impegnate squadre provenienti da tutto il mondo.
La fame di live è sempre tanta, quindi fatevi avanti e proponete!
Siamo arrivati alla fine, grazie mille ragazzi e… concludete pure come vi pare.
A: Grazie a te e a Neuroprison caro Marcello, inutile che vi dica quanto è utile e importante che continuiate a fare luce su questa fetta dell'underground, italiano e non. Spero che chi legge avrà la voglia e la possibilità di contattarci e conoscerci meglio ascoltando “We Burn...” o venendo a vederci suonare dal vivo o curiosando sui nostri siti web:
www.myspace.com/castthyeyes
www.facebook.com/cast.thy.eyes
www.youtube.com/user/castthyeyes
Marcello Semeraro
lunedì, giugno 07, 2010
HARVESTMAN - Trinity
Harvestman.
Già solo scrivendo questo nome ad inizio recensione potremmo considerarla conclusa sottintendendo che si sta parlando di un gran lavoro.
Questa volta ci troviamo dinnanzi alla terza uscita per Steve Von Till, chitarrista e voce dei Neurosis, che porta avanti il suo progetto “one man band” regalandoci finalmente in versione Cd ultra limitata, la meravigliosa colonna sonora del film di Alex Infascelli H2odio.
“Trinity” è il titolo di questa piccola perla, un disco pieno, intenso ed impegnativo, dove il misticismo della chitarra di Von Till si erge a protagonista assoluta di un Drone-Ambient di alta scuola.
Riverberi impetuosi e arpeggi sognanti ci accompagnano in 16 tracce a dir poco meravigliose. Qualunque parola spesa riguardo a questo disco sarebbe di troppo, bisogna solamente lasciarsi trasportare dalle emozioni e dalle immagini che ogni singola nota è in grado di creare. Non è necessario vedere il film di cui è colonna sonora per capire ed apprezzare questo lavoro, anzi forse chiudendo gli occhi e provando a dimenticare le associazioni visive causate dal film si riesce a farsi catapultare in un mondo liquido dove l’ascoltatore può navigare a piacimento facendosi trasportare dalla corrente.
Inutile una recensione “track by track”, in quanto non avrebbe senso provare a descrivere le singole tracce visto che il lavoro di Von Till si snoda fra ondate sonore che scagliano immagini fluorescenti senza soluzione di continuità, suoni elettrici e quasi magnetici si fondono con arpeggi melodici e dolci, lasciando sempre un po’ di ansia e mistero nascosti nei meandri più oscuri.
Un lavoro immenso, che regge un mondo amniotico ove immergersi senza bisogno di trovare una riva a cui approdare anzi, naufragare fra i droni di Harvestman è una delle esperienze più mistiche che si possano provare nel panorama musicale contemporaneo.
PostNero
venerdì, giugno 04, 2010
CAST THY EYES - We Burn Into the Cold Eyes of the Sun
A tre anni di distanza dal’album omonimo, tornano i Cast Thy Eyes, formazione che nei suoi membri racchiude e ha racchiuso il meglio de “lu Salentu violentu” , nelle forme passate dei NonToccateMiranda e grazie al recente apporto di Andrea degli Shank.
L’utilizzo dell’aggettivo “violentu” non è gettato lì per caso, nelle undici canzoni di We Burn Into the Cold Eyes Of the Sun, il combo rifugge dagli stereotipi che hanno caratterizzato le contaminazioni moderne legate all’hardcore, andando a riscoprire le radici di un suono metallico che all’inizio degli anni novanta non cercava stacchi dilatati od onanistiche fughe chitarristiche: aggressione, nella sua forma più grezza e ferale.
Ci mettono l’anima i Cast Thy Eyes, e dall’attacco di The Seed of Anguish non tirano il freno in alcuna occasione, ad eccezione della titletrack che comunque, nonostante freni i tempi forsennati del disco, si cala incosciente in malsani pattern di batteria, dove la melodia è sotterrata sotto le distorsioni delle chitarre e annaspa per cercare la luce.
Impossibile non rimanere annichiliti dalla furia di Die One Day, tirata quasi a spezzarsi, ossessiva nella cascata di riff che tagliano l’aria come rasoi, valorizzata da un video tanto semplice ed efficace, raffigurante la band dedita a ciò che meglio sa fare: ammutolire con una prova dai tratti animaleschi che ha fatto breccia nei live salentini e oltre.
Il suono è quello della costa est statunitense, vengono in mente gli Overcast e nei tempi più scavezzacollo, con il basso furente sempre in evidenza a sostenere andamenti capaci di portare la fronte al livello del terreno, Trying to Erase insegna; i tempi serrati che sanno di Turmoil e il veleno che emerge in più momenti non può che tirare in ballo l’eredità dei Deadguy, come Icebox o il finale tesissimo di Dilemma. Non mancano alcune chitarre di reminiscenza svedese in Till the End, ma siamo lontani dalle melodie sciupafemmine dei Killswitch Engage, se si è in cerca di quelle, beh questo non è il posto adatto, perché è tutto comunque letto nella snellezza compositiva che fu degli Unbroken, la tappa doverosa dell’altra sponda USA, accorgimenti che rendono il disco assolutamente scorrevole.
L’album è stato co-prodotto dalla band con alcune etichette italiane sotto la sigla della DIY Conspiracy, uscito in formato A5 deluxe con un booklet in cartoncino di 20 pagine a colori, motivo in più per farlo proprio: chi ama questi suoni, chi ama la passione e il sudore che emergono da queste note (no, non è una cavolata tanto per dire), troverà sicuramente di che divertirsi.
Neuros
Cast Thy Eyes @ MySpace
giovedì, giugno 03, 2010
LEVIATANI E ZANZARE 4 @ Locomotiv Club
E' fine maggio, e nella bassa bolognese l'aria è già afosa, crogiuolo ideale per zanzare e leviatani: i giorni 22-23 sono a loro dedicati, la cornice è il Locomotiv Club, che segue le giornate di giovedì e venerdì presso lo Scalo San Donato.
L'accoppiata aereo+treno non mi permette di assistere alle prove di Storm{o} (già apprezzati comunque alla seconda edizione del Barone del Male Fest), Icon of Hyemes e Jagannah.
Salgono sul palco gli Stoner Kebab e trainati dal loro goliardico nome sfoderano una grande prestazione, ironica e massiccia, con quel modo infetto di fondere vintage e moderno, sludge/doom e atmosfere dark, e questo grazie al'ingresso stabile delle keyboards che riescono a dare una marcia più svirgolata e oscura a un suono già di per sè ingombrante come l' Eyjafjallajökull.
E già tempo di ospiti internazionali, forti della nuovissima uscita di Ausserwelt arrivano gli Year of No Light, un vortice che inghiotte e sputa fuori polvere, il tutto praticamente in un unica canzone/movimento che ha visto alternarsi un pò tutti dietro le keys e gran bel lavoro della doppia batteria, tutt'altro che un escamotage per alzare semplicemente i volumi: soundcheck certosino ma ne è valsa la pena, hanno bisogno di un suono bello pulito per far emergere ogni sfumatura e, nonostante in questi contesti dilatati la voce sia spesso ininfluente, qualche intervento non avrebbe guastato.
L'atmosfera si fa cada e opprimente, l'aria emana riverberi fetidi, è tempo dei Ramesses: una betoniera di letame in slow-motion, come altro descriverli? Iper-doom, suoni deflagranti, voce sguaiatissima; una prova che spazza via i dubbi derivati dai loro dischi, si rimane impantanate e ci si compiace dello schifo. Come si fa a non amarli? Il marchio di 2 ex Electric Wizard si fa sentire, i muri tremano e le orecchie sanguinano.
Per gli Orthodox, cari amici, le parole sono davvero una gabbia per descriverne la prestazione, tra i gruppi contemporanei sono sicuramente tra i preferiti del sottoscritto, ma sono riusciti a spiazzare me e tutti: abbandonata la catarsi mistica folk-doom per far emergere tutto il loro lato più sregolato, jazz, ferale, incanalato in jam sbrodolisissime e di rara bellezza, come gli OM suonati dai Dazzling Killmen, roba fuori da ogni immaginazione. Noise-jazz-doom, e qua ci si spiegamo gli omaggi in tessuto a Black Flag, Coroner e Hawkwind. A questo punto non si può far altro che aspettare il nuovo ep.
La curiosità per Ben Frost era molta, perchè sul disco mi ha convinto nel tempo, peccato che le condizioni psico-fisiche abbiano avuto la meglio, comunque quello che ho sentito mal si amalgamava con le atmosfere doom dalle quali tutti eravamo appena risorti, sicuramente in un altro contesto la sua elettronica cristallina e glaciale avrebbe reso sicuramente meglio.
La doomenica è tutta italiana, bravi i Layser Geyser e il rock anfetaminico, peccato aver suonato davanti a cinque persone e grandissima la prova dei Lady Tornado, un vortice dove l'hardcore si getta in un'orgia di rock'n'roll e grind, capace di scatenare immediatamente il pogo tra i presenti, una voce di carta vetrata e una batteria che non da tregua, mentre il basso sfiora il pavimento per opprimere i suoni, è il delirio.
La nota che non ti aspetti della serata sono i Vanessa Van Basten, molti momenti di stanca, bella comunque la nuova traccia, anche se avrebbe giovato un pezzo come Tutto avanti all'indietro, canzone tratta dall'ultimo ep Psygnosis soprattutto movimentata e capace di staccarsi dalla loro monolitica leggiadria, forse è solamente la ruggine dopo tanto tempo di inattività, speriamo di poterne rigodere al più presto.
Capitolo Dead Elephant. Per il sottoscritto sono un feticcio e ogni qual volta ne parli si sfiora il radicolo, ma maledizione: fantastici!. Hanno crepato ogni cosa. Inizio con una Clopixol cubica, spanata, granitica, ossessiva, si prosegue con Post-Crucifixion ed è il delirio, si rallenta nuovamente con the Worst and the Best e si finisce con con una Black Coffee Breakfast che sfiora il quarto d'ora, dove la parentesi tempeliana prende il sopravvento e stordisce, droga in musica. Qualcosa di assolutamente irripetibile: l'elefante morto è tornato, e già tra poco tempo entrerà in studio per il suo nuovo barrito venefico - con Luca Mai degli Zu in pianta stabile-, da queste parti non si aspetta altro.
Peccato per le presenze, un evento, un'organizzazione, una location e un'atmosfera del genere avrebbero meritato affluenza ben maggiore; le variabili da considerare sono molte e il discorso spesso sfiora l'arcano, ce ne teniamo in questa sede fuori per non macchiare quanto di bello fatto dagli organizzatori e dalle band.
Speriamo che l'anno prossimo le zanzare e i laviatani continuino a molestarci di questa maniera, mai puntura è stata meglio accolta.
Un ringraziamento per le foto a Michele Giorgi e Francesco Comellini.
Neuros
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