mercoledì, febbraio 16, 2011

DEATH MANTRA FOR LAZARUS – Mu





2010, Grammofono al Nitro

Tracklist:

01. Atlantide
02. Carousell
03. Mu
04. Oppinion is not math
05. Maria callas
06. Boreale

Che significato ha fare post-rock nel 2010? Non certo quello di inventare, cambiare, sovvertire...probabilmente semplicemente esprimersi. Se poi si considera che i componenti della band in questione vengono da altri progetti ben più avviati non ci sono dubbi: urgenza espressiva, emozionalità viscerale adagiata su di un canovaccio stilistico preesistente.
I Death Mantra For Lazarus vengono da Zippo, Negative Trip, Keep Out, non hanno pretese, amano suonare e vogliono suonare, punto. Le coordinate sono chiare e semplici: post-rock (a tratti heavy, a tratti intimista e da camera), un velo di math ed una bella attitudine live che spesso rasenta il noise.
I quarantacinque minuti secchi di MU si perdono fra delicatissime suite chitarristiche echeggianti gli Explosions In The Sky, intrecci dinamici dove i tempi odorano di June Of 44 ( Four Great Points docet), assalti post-metal dalle sempre care movenze di un pellicano, ricordi di Massimo Volume, paesaggi catartici e minimali: un telaio di sensazioni e sapori, impressioni, pensieri, più che un disco un moleskine.

L'album si apre con quello che potrebbe definirsi il primo singolo del quartetto pescarese: Atlantide, di sicuro fra i pezzi più riusciti ed efficaci del lotto, cuore e sicurezza. Carousel mischia poi le carte, tanta sinfonia quanta frammentazione, crescendi e rarefazioni si muovono negli oscuri antri della mente umana: la tagliano, l'accarezzano, la mordono.
La titletrack prosegue il discorso della song precedente e di tanto in tanto, fra le aritmie, ci fischietta all'orecchio qualche volo pindarico su “australasiatiche città degli echi”. Lazzaro a questo punto è in piedi, si muove con noncuranza e tenera maldestria, a tratti incantato da qualche arco, cammina barcollando come fosse in estasi mistica. Opinion Is Not Math è il momento più alto, un reticolato (vedasi Paul Klee) dove basso e batteria solcano il tracciato e le due chitarre seminano germogli; il doppio binario si evolve, si attorciglia su se stesso, si compone e scompone arrivando ad esplosioni liberatorie, poi si riarrotola, si confonde e s'impenna, fino a ruggire ed impazzire come avesse scoperto di non aver alcuna via di fuga dal proprio ego. Quando il tormento passa arriva la rassegnata voce di Umberto Palazzo (storico cantante dei Santo Niente), il suo esperto raccontare ci parla di sconforto, dimenticanza, tristezza, decadenza, di Maria Callas, riscoprendo le lezioni di Emidio Clementi e demolendo gli ultimi strumentali minuti del pezzo, che, a questo punto, possono anche passare inosservati. Boreale è la pietra tombale di MU, nulla di nuovo, appendice “postqualcosannidoppiozero” che chiuede il lavoro senza allontanarsi dal suo contenuto, recuperando le iniziali note di violino e spegnendosi sul suolo come una lucciola che cade esanime.
Trequarti d'ora di buoni suoni, nessun miracolo, nessun esperimento alchemico, nessuna prospettiva, nessuna speranza: musica come se non esistesse alcun futuro.
I Death Mantra For Lazarus non son altro che un petalo di quell'italico fiore spontaneo dove giacciono anche Neil On Impression e Fog In The Shell. Forse ancora acerbi, ma dalle indiscutibili capacità compositive e tecniche.

www.myspace.com/deathmantraforlazarus


Mario Bava

QUARANTADUE - L'Estinzione E' Un Gioco Di Squadra


Tracklist:
1. Babel
2. Il Grido
3. Vi siete persi nella neve
4. Nel Buio
5. Vogon

Arriva il primo ep per i Quarantadue, band di Milano. Cinque pezzi in digisleeve di cartone ruvido, semplice ma efficace. Cinque pezzi che si posizionano in quel vasto territorio tra Deftones e Tool, anche se qua e là fanno capolino altri numi tutelari, come Nine Inch Nails e Isis ultima maniera. Nulla di particolarmente nuovo nè ricercato quindi, ma tutto sommato fatto benino, i pezzi funzionano e la voce alterna scream e melodico in scioltezza. A pelle mi piace un sacco il timbro dello scream e mi piace meno quello del cantato melodico, ma sticazzi. Mi piace molto anche la scelta dell'italiano: è sincero, troppo spesso l'inglese diventa un cliche dietro il quale nascondersi quando si ha niente da dire.

Detto questo, è inevitabile che qualche ingenuità ci sia, i ragazzi con gli strumenti ci sanno fare (anche se la voce melodica qua e là stona) ma le infuenze si sentono un pelo troppo, manca un po' di carattere. Dopodichè è il primo ep, ci sta tutto, se è vero che ho sentito esordi migliori è altrettanto vero che ne ho sentiti di nettamente peggiori.

Last but not least: i pezzi sono rilasciati sotto licenza Creative Commons. E' bello vedere che sempre più gente si stia rendendo conto che il futuro è adesso.


Nitraus

lunedì, febbraio 07, 2011

SCOTT KELLY Live in Italia - CONTEST online!



Siamo orgogliosi di annunciare che SCOTT KELLY sarà di ritorno in Italia il prossimo Febbraio! Meglio noto come essere niente di meno che il cantante e chitarrista dei Neurosis, SCOTT KELLY ha intrapeso oramai da anni anche una carriera solista, con un progetto acustico che lo vede impegnato in una sorta di Folk-Country dalle tinte molto cupe, che hanno da sempre caratterizzato la carriera artistica del musicista statunitense. Un'occasione imperdibile per tutti i fans dei Neurosis e non solo, di vedere all'opera un grande artista, che già lo scorso Gennaio ha dato prova delle sue grandissime doti artistiche.


Giovedì Feb 24, 2011 - Conegliano - Appartamento Hoffmann
Venerdì Feb 25, 2011 - Torino- Spazio 211
Sabato Feb 26, 2011 - Bologna - Lazzaretto


HellFire Booking in collaborazione con NeuroPrison mette in palio 3 ingressi, uno per ciascuna data, basta rispondere correttamente alla seguente domanda mandando una mail all'indirizzo neuroprison@hotmail.com specificando la data alla quale si intende presenziare......buona fortuna!

Come si intitola l'ultimo disco da solista di Scott Kelly?

martedì, febbraio 01, 2011

EARTH - Angels of Darkness, Demons of Light I





Siediti nella penombra di una stanza di notte, accenditi una sigaretta e schiaccia play.
Se hai inserito nello stereo “Angels of Darkness, Demons of Light I” degli Earth ti stai per fare il più bel viaggio extrasensoriale della tua vita.
Questo è in breve il resoconto di cosa può essere l’ultimo capolavoro della band di Dylan Carlson, uno che era partito dall’eroina degli anni 90 e che arriva in questo 2011 a raccontarci con linee melodiche morbide, sussurrate ed estasianti cosa si può fare con una chitarra e ben poco altro.
Batteria, basso, chitarra e violoncello, chi l’avrebbe mai detto che il confuso caos magmatico di “Earth2 : Special Low Frequency Version” si sarebbe evoluto in questo paesaggio notturno, dolce e malinconico come non mai.
Gli Earth arrivano in questo freddo inverno del 2011 con una perla a dir poco meravigliosa.
La dilatazione totale e angusta del passato, viene ora riorganizzata in un cammino oramai iniziato nel 2005 con “Hex Or Printing In The Infernal Method” e proseguito fino al 2008 dove “The Bees Made Honey in the Lion’s Skul” dievenne la rappresentazione dello sboccio finale della musica degli Earth.
Invece quello che non ti aspetti è che a distanza di tre anni i padri del Drone escano dal loro mondo con una nuova sbocciatura, forse anche più completa e matura di quella passata.
“Angels of Darkness, Demons of Light I” è oltretutto solamente l’inizio, come si evince dal titolo esiste una seconda parte già pronta e registrata che prima o poi vedrà la luce e solo allora forse la maturazione di questo gruppo sarà portata a termine.
Difficile dirlo, già dopo “The Bees...” nessuno avrebbe pensato che gli Earth sarebbero stati capaci di superarsi, ma ormai non poniamo limiti a quello che Carlson & soci possono e sanno fare.
“Old Black” apre questa “piece” riagganciandosi li dove, la titletrack dell’album precedente chiudeva quel capolavoro di cui abbiamo già accennato. Chitarre eteree, evaporazione di suono dove una batteria e un basso ritmicissimi creano quelle cadenze atte a rallentare la vita intorno durante l’ascolto, con l’aggiunta di un violoncello magico e sognante, triste per definizione, che sa dare al suono degli Earth quella profondità che a volte solo l’uso di sostanze proibite riesce a creare.
Con questo album nuovo, gli Earth stessi diventano una sostanza proibita, meravigliosi, sognanti, creano psichedelia nera in un modo che nessuno riesce a fare oggigiorno.
“Father Midnight” è la colonna sonora di un film muto dove il lento cadenzare della batteria ci fa camminare con il protagonista lungo queste strade deserte e notturne alla ricerca di un qualcosa, forse se stessi che però in realtà non troveremo mai.
Hanno questa capacità gli Earth, non lanciano messaggi definiti, loro creano l’idea poi sta a te farti strada fra i fumi e le nebbie che le note spandono lungo il loro cammino.
Pregevolissimo esempio di questo cammino è “Descent to the Zenith” che con il suo incedere ci accompagna dove vogliamo essere accompagnati e via scivolare lungo sentieri misteriosi.
Approdando alla titletrack, ormai consuetudine per loro quella di chiudere i loro dischi con la titletrack, dove per 20 minuti veniamo risucchiati in vortici spazio temporali memorabili e solo alla fine ci accorgiamo che ormai la sigaretta è finita e che il disco con lei. Apri gli occhi e ti ritrovi li dove eri partito nella tua poltrona nella penombra.
Che fare ora? accenditi un’altra sigaretta e schiaccia nuovamente play, ci saranno altri nuovi mondi dove il nuovo album degli Earth ti potrà portare.

Signori questo è un capolavoro.


PostNero.