venerdì, luglio 30, 2010

BARONESS @ Circolo Magnolia (Milano)




12 Luglio 2010


Ci sono concerti che non ti interessano. Ci sono concerti che ci pensi e poi tutto sommato non te ne frega niente. Ci sono anche concerti che aspetti da mesi, ti organizzi con gli amici, poi all'ultimo tirano tutti pacco e rimani da solo come un ebete poche ore prima. Al che ti attacchi al telefono, pensi a mille soluzioni di emergenza (mi faccio prestare il monopattino e ci vado lo stesso!) e alla fine come per magia si risolve tutto. Il concerto dei Baroness è stato uno di questi. Detto, fatto: Torino/Milano sono un paio d'ore di macchina, trascorse chiaccherando del più e del meno, e infine arriviamo al Magnolia. Parcheggio tattico per evitare lo strozzinaggio, passaggio in cassa, e voilà siamo dentro. Mentre le zanzare ci azzannano i polpacci, ci rendiamo subito conto che il palco allestito è quello piccolino, il Messicano, la cosa lascia un attimo perplessi, ci aspettavamo quello grande.. superato l'attimo di sorpresa mi rendo conto che in fondo è meglio così, visti i limiti di decibel del palco grande magari in uno spazio più raccolto si sentirà meglio. Il tempo di bere una birra, fare quattro chiacchere, vedere che anche se sei in un'altra città le facce ai concerti son sempre le stesse, dare un'occhiata alle stampe di John Dyer Baizley e comincia a suonare il gruppo spalla, gli Shinin Shade. Rock settantiano, ma da barbiturici.. C'è da dire che non sono minimamente aiutati dai suoni ma non è che facciano molto per sopperire all'inconveniente e farsi benvolere.

Vabbè, passato il loro set con l'aiuto di un'altra birra, giunge finalmente il turno dei Baroness. Premesso che l'ultimo Blue Record non mi ha entusiasmato quanto il precedente Red Album, ero curioso di vederli ma anche dubbioso sulla loro resa live. E in effetti quando il concerto comincia come prevedibile con Bullhead's Psalm i dubbi rimangono, alimentati soprattutto dai suoni sbilanciatissimi: cassa e voce molto in avanti, chitarre sotto, basso inesistente; per mezzo secondo mi balena in testa l'idea di aver buttato via dei soldi, ma poi per fortuna il concerto comincia a ingranare (nonostante qualche cappella), il pubblico si scalda, il palchetto basso contribuisce a fare l'atmosfera da piccolo club anche all'aperto, e quando parte Isak il Magnolia esplode. La gente canta i pezzi, canta pure gli assoli (manco suonassero gli Iron Maiden!), i quattro si gasano e da quel momento non ce n'è più per nessuno. I suoni migliorano, e i pezzi di Blue Record vengono uno dopo l'altro, intramezzati con qualche pezzo tratto dal Red Album, e devo dire che rendono decisamente meglio dal vivo che su disco. It's only rocknroll, but I like it! I Baroness suonano splendidamente, gli intrecci di chitarre sono sorretti da una splendida sezione ritmica e le facce della gente virano tra l'entusiasmo e l'incredulità per quanto sta succedendo. Non è metal, non è southern rock, non è sludge, non è progressive. Sono semplicemente i Baroness. Dopo praticamente un'ora e mezza ininterrotta di musica e stage divings i quattro fanno una pausa e poi tornano sul palco ringraziando il pubblico.. Baizley dice addirittura che è la data migliore del tour, che il pubblico gli ha toccato il cuore e che (ovviamente) torneranno presto in Italia. La gente apprezza, il gruppo ricomincia a suonare. Ancora ringraziamenti, e dopo quasi due ore il concerto finisce con due pezzi vecchissimi, tratti dai primi EP della band. E sono ancora applausi, meritatissimi. Uno dei concerti più belli della mia vita, e dire che non me l'aspettavo.

nitraus

martedì, luglio 27, 2010

UFOMAMMUT - Eve




Gli Ufomammut tornano dopo un disco enorme come “Idolum”, creando aspettative altissime e facendo sperare i fan nel nuovo disco italiano dell’anno ed invece? Invece ci si ritrova dinnanzi ad un lavoro poco chiaro.
“Eve” è un monotraccia di 45 minuti, diviso in cinque movimenti, che dovrebbe sviluppare un concept sulla donna, ma che alla fine non riesce a sfondare.
Soliti suoni granitici, curati in modo maniacale dai nostri piemontesi che, coadiuvati da Lorenzo Stecconi, registrano presso il Locomotore di Roma un disco che non ha idee.
Dispiace essere così critico nei confronti di una band che fino a quest’uscita è stata una delle preferite di chi sta scrivendo, però nel recensire un disco è doveroso andare oltre i gusti e le simpatie personali.
“Eve” è un'opera che non cammina, cinque movimenti che non si muovono, c’è della psichedelia, c’è del doom, del “post” ma tutto è già stato sentito e suonato, e purtroppo questa volta la band non è riuscita ad arrivare a soddisfare un palato esigente che chiede sempre una certa dose d’innovazione.
Sicuramente per chi non conosce la discografia del combo piemontese, “Eve” potrebbe rappresentare un gran bel disco, ma paragonandolo alle precedenti uscite ci si trova a dover riascoltare per 45 minuti sempre la solita idea di fondo, distorsioni devastanti, aperture schiacciasassi, suoni granitici, ma le idee dove sono finite?
C’è poco da fare, questa volta Urlo, Poia e Vita non riescono ad aggiungere qualcosa di nuovo alla loro opera, non c’è niente che suoni fresco in questo disco, è tutto già stato fatto; i più critici addirittura potrebbero arrivare a considerare “Eve” come una scusa per l'enorme e bellissimo lavoro di grafica che accompagna le varie edizioni, limitate e non, del disco.
Artwork ovviamente a firma Malleus, su cui obbiettivamente non possiamo dire nulla di male, e se la musica avesse solamente la metà del fascino che ha l’artwork forse questa recensione non sarebbe stata così critica ma purtroppo in questi 45 minuti di musica non c’è praticamente nulla di particolarmente accattivante.
Resta poi un mistero in quale modo questi cinque movimenti possano esprimere il concept che dietro l’album si cela, la donna.
Davvero un peccato, in quanto una delle uscite italiane più attese del 2010 si è invece rivelata come una delle più grosse delusioni dell'anno.


PostNero.

PS: recensione da integrare con Live-report

lunedì, luglio 19, 2010

VOID - S/t




Tracklist:
1. Outward Calm, Hidden Truth
2. Black Skies
3. Just Another Illusion Before The Deep


Un elefante si dondolava sopra il filo di una ragnatela e considerando la cosa interessante andarono a chiamare un altro elefante.
Nessuno ha mai dubitato che nelle filastrocche per bambini risieda un humus di verità, differente è se il messaggio comunicato lo si applichi a una cornice di feedback e urla belluine, sicuramente una scelta da insani di mente ma ci piace così.
L’elefante che risponde al nome di VØID dondola per tre canzoni, componimenti paragonabili a placche terrestri per quanto riguarda la mole, ingombranti e lavici, capaci comunque di mantenere un equilibrio strutturale che li mantiene in bilico e non li fa sprofondare in acque di perdizione sempre più affollate.
Un minutaggio medio che supera i sedici minuti e non farlo pesare, questa è la grande vittoria del trio, in un periodo dove molti sembrano rifuggire dal cliché della cavalcata strumentale che non porta da alcuna parte, loro si smarcano e riescono comunque ad avere ragione. Questo detto, la strada è spianata dall’assenza di momenti postrock ormai rivisitati in tutte le maniere possibili, puntando invece sulla distorsione, sul feedback, e quando questi paiono abbastanza, i ragazzi continuano a calcare la mano imperterriti.
Le tre tracce si muovono nel solco originario tracciato in passato dagli Sleep con il monolite di Jerusalem (poi Dopesmoker), arricchito da spunti che sono figli degli eredi contemporanei di Cisneros&Co., quei Buried at Sea che hanno dato nuova linfa a territori loud comunque in perenne movimento.
E se le note trasudano generalmente pesantezza, non mancano escamotage che abbelliscono il risultato, capacità di donare melodia a componimenti bui e saturi, dai riflessi noise -Skullflower- addirittura come nel finale di Just Another Illusion Before The Deep, questo grazie alla prova vocale di Rubens, ricca di sfumature e pathos come in Black Skies, probabilmente quanto di meglio udibile di questi tempi in territori a cavallo tra il doom, lo sludge e le catarsi più fisiche del drone; i rintocchi di piano giungono inaspettati, singhiozzi acustici spianano la strada verso lidi più tranquilli ma senza illuminare il buio di sottofondo.
Un disco che riesce a inserirsi con personalità tra elite che negli ultimi tempi arrancano, doveroso per tutti coloro che fanno della monoliticità una caratteristica imprescindibile in musica -e la foto sopra dovrebbe essere un aggravante che invogli all'acquisto-, una sorpresa anche per chi solitamente si spaventa al solo nominare certi suoni memori delle vuvuzelas: no, qua c’è ben di più, il flusso si muove, non arranca, non ama stare feremo, muta e travolge.

Neuros


www.myspace.com/voiddrone

martedì, luglio 13, 2010

CLUTCH CONTEST




Clutch nascono nel 1990 a Maryland, nello stesso anno esce il loro EP mentre per il primo full lenght Pitchfork bisogna aspettare fino al 1993. In breve tempo conquistano una discreta fama nei locali rock piu' alternative grazie ad un mix di stili incredibilmente originale: i Clutch si definiscono semplicemente hard rockers ma in realta' sfoderano chitarre metal e liriche blues, accenni hardcore e funk che si alternano a riff profondamente stoner. Un miscuglio di generi fluido, instabile… in continua evoluzione. Tutto cio' trova una delle sue migliori rappresentazioni con Strage Cousins From The West, il nono attesissimo inedito dei Clutch uscito lo scorso anno per la Weathermaker Music.
Erano anni che speravamo di vedere i Clutch in Italia: finalmente il tanto atteso momento e' arrivato, a luglio 2010 la band di Maryland sara' nel Belpaese per due imperdibili date!


22/07/2010 @ CIRCOLO MAGNOLIA, SEGRATE
23/07/2010 @ ROCK PLANET, PINARELLA DI CERVIA


Neuroprison in collaborazione con Hard-Staff mette in palio un ingresso, a scelta, per una delle due date....basta rispondere correttamente alla seguente domanda ed inviarci la risposta al nostro indirizzo mail: neuroprison@hotmail.com

Qual'è il titolo del loro ultimo album in studio?


Buona fortuna....il contest rimarrà aperto sino a Martedì 20 Luglio.




venerdì, luglio 09, 2010

RUGGINE - Estrazione Matematica Di Cellule



Label: Escape From Today/Canalese*Noise Records


Tracklist:

01. Estrazione Matematica Di Cellule
02. Cadillac
03. Mangio Il Sole Con Gli Occhi
04. Nautilus
05. Cosmospasmo Spasmodico, Cosmospasmo Ultrabionico
06. Fujiko
07. Gulasch
08. Thallium III




La zona di Cuneo sembra avere una particolare predisposizione per il rock più rumoroso e non allineato. Gruppi come Dead Elephant, Cani Sciorrì e Treehorn sono solo la punta dell’iceberg di una scena sotterranea vitale e validissima, documentata mirabilmente da piccole ma intraprendenti etichette quali la Escape From Today, la Canalese Noise e la RobotRadio. Da questa fabbrica di noisers a pieno regime provengono anche i Ruggine, già segnalati su queste pagine in occasione dell’uscita di un Ep omonimo (Ruggine Ep) che li vedeva alle prese con una miscela esplosiva a base di ruvido noise-rock, intricate partiture strumentali e urgenza hardcore. Forti di una registrazione decisamente più professionale rispetto al passato e, soprattutto, di un songwriting più maturo e variegato, i 4 ragazzi di Narzole (Cuneo) esordiscono ora sulla lunga distanza con un disco che è, a parere di chi scrive, uno dei migliori esempi di noise/math-rock partoriti nel nostro Paese (e non solo) negli ultimi anni.
Costantemente in bilico tra rumore e melodia, tensione e raffinatezza, urgenza comunicativa e cerebralità, Estrazione Matematica Di Cellule riesce a far convivere in 8 brani - di cui 3 già comparsi nel suddetto Ep, ma riregistrati per l’occasione - le isteriche geometrie dei Dazzling Killmen e dei Colossamite, le rasoiate dei Rapeman e la rabbia dei Sottopressione, ma va sottolineato che abbiamo a che fare con una formazione talmente ispirata e sicura dei propri mezzi da non temere paragoni impegnativi. Difficile scegliere un brano migliore: la forsennata Cadillac alterna le nevrosi ritmiche degli Uzeda di 4 a riff di chiara matrice hard-rock; Mangio Il Sole Con Gli Occhi viaggia spedita tra scariche epilettiche, cambi di tempo e dichiarazioni rabbiose (“non importa quello che vuoi, basta quello che sei); la strepitosa Fujiko è una confessione a cuore aperto che si sviluppa su un andamento zoppicante ed ipnotico, prima di esplodere in un finale tiratissimo. C’è spazio anche per episodi più pacati e Louisvilliani (Nautilus, in odore Rodan) dove fa capolino una calma apparente, ma poi basta poco perché venga nuovamente spazzata via dalla tempesta (Cosmospasmo Spasmodico, Cosmospasmo Ultrabionico, bizzarra sin da titolo, oppure la convulsa e funambolica doppietta finale Gulasch/Thallium III).

La musica dei Ruggine riflette la tipica condizione di chi, superata la fase propriamente hardcore, cerca di articolare la propria rabbia per renderla, possibilmente, ancora più intensa, ancora più distruttiva. Estrazione Matematica Di Cellule è un disco che trasuda passione e sudore da tutti i pori, lasciarselo sfuggire sarebbe un vero peccato.


Marcello Semeraro.