martedì, aprile 20, 2010

MOUSE ON THE KEYS - An Anxious Object



Tracklist
01. Completed Nihilism
02. Spectres De Mouse
03. Seiren
04. Dirty Realism
05. Forgotten Children
06. Unflexible Grids
07. Double Bind
08. Soil
09. Ouroboros

La Denovali non sbaglia un colpo.
Ci sono etichette discografiche che proprio non riescono a sbagliare un’uscita, e l’etichetta tedesca è una di queste, un catalogo vastissimo e vario al cui interno fortunatamente trova posto questo meraviglioso gruppo giapponese. I Mouse on the Keys, che dopo un primo Ep dal titolo “Sezession” tornano con un full veramente spettacolare.
“An anxious object” ovvero un misto di jazz e “post” che crea atmosfere a dir poco fenomenali, con una sezione ritmica (batteria uber alles!!) favolosa.
Un disco orgasmico, in cinque/sei ascolti diventa una droga, liquido e fluente come fosse acqua, ma pregno di significato come si trattasse del vino più pregiato.
Difficile inquadrare una recensione quando si parla di un album come questo perchè non vi è solo musica ma arte pura. Non basta essere bravi musicisti per concepire un'opera così, bisogna avere sensibilità e doti che vanno al di là della tecnica perchè l’espressionismo che ogni singola traccia esprime è unico.
Jazz si diceva, mischiato a generi che solitamente ritrovano posto in categorie molto meno “formali”, eppure i nostri nipponici sanno creare quello che non ti aspetti.
Rispetto al passato i Mouse on the Keys aggiungono parti di fiati che inducono a sperare in un definitivo inserimento di questi strumenti all’interno della line-up.
Poche volte mi è capitato di rimanere così affascinato da un batterista come nel caso del nostro Akira Kawasaki, a dir poco un genio, con la capacità di mantenere amalgamati tutti gli strumenti che si alternano creando un unica struttura sonora praticamente perfetta.
Potrebbe apparire un disco difficile per chi solitamente non frequenta il jazz o comunque sonorità “colte” invece sa farsi ascoltare da tutti, insegnandoci che quando la musica è bella niente diventa di difficile ascolto. Plausi enormi ai Mouse on the Keys dunque ma anche alla Denovali, che dal Giappone con furore porta alla luce un disco immenso.

PostNero.

UNAWARE - Escape from Gaia



Tracklist
01. The Law of Attraction
02. Leeches
03. The Opposite Side
04. Diorama
05. Escape from Gaia

A volte è proprio un peccato non poter essere blasfemi nelle recensioni pubbliche, perchè ascoltare questo primo Ep autoprodotto degli Unaware istiga proprio alla blasfemia.
Chitarroni belli pesanti e metallici, ritmiche forsennate che sprigionano spigolosità non da poco e un cantato violtentissimo, sono questi gli ingredienti per questo “Escape from Gaia”.
Da Pescara giunge questo post-core che ci fa ben sperare per il panorama underground, band così danno respiro a chi la musica la vive come una forma di espressione, come un catalizzatore di emozioni, a volte contrastanti.
Non inventano niente gli Unaware, ma non sono nemmeno mera copia di qualcosa di già sentito e questo Ep è la base su cui poter lavorare con calma verso lidi sicuramente più personali ed ancor meglio strutturati.
Quello che più spicca a mio avviso è la prestazione vocale, potentissima e maligna al punto giusto, un misto fra rabbia e dolore, oscurità e indefinito.
Scorre bene “Escape from Gaia”, si viaggia da una traccia all’altra senza aver modo di respirare, è un flusso che scivola via lasciandosi alle spalle una polvere nera che obnubila un po’ tutto. Uomo Vs Natura, tema che inequivocabilmente porta quest’ultima a disintegrare il suo avversario.
La band c’è, le idee anche, bisogna semplicemente riuscire a slegarsi un po’ da quei nomi grossi che vengono in mente dopo pochi ascolti ed il futuro della band potrebbe essere davvero roseo, è tutto nelle loro mani e nella capacità di saper giocare con i suoni e le idee, per il momento senza dubbio un promettente inizio!

PostNero.

Unaware @ MySpace

lunedì, aprile 19, 2010

Thrones + Nadja + OvO @ Milk Club, Genova







13/04/2010

Appuntamento veramente interessante per tutti gli amanti di certe sonorità loud, sonorità forse fin troppo abusate ultimamente, ma qua non stiamo parlando di ragazzini ma di maestri, gente che milita nelle prime file da diversi anni, il tutto contornato da una location tipica del posto: club piccino situato su una stretta strada sul mare, praticamente in pieno centro abitato. Senza tener conto dell'orario pubblicizzato (che ormai è una legge in Italia), partono per primi gli OvO (freschi freschi di collaborazione con i prossimi Nadja) con un set ben diverso dall'ultimo show che vidi nel 2008, molto più coinciso ma altrettanto d'effetto. Il duo si presenta mascherato, Dorella terrificante in canotta e maschera da wrestling, tante onde ultra basse e tanti rituali (Sunn O)))?). Dopo neanche venti minuti dalla fine salgono i canadesi Nadja, di nuovo un duo uomo/donna (mooolto meno terrificanti), ma con un approccio ben diverso: il live è composto da un singolo brano in pieno stile Aidan, ovvero chitarre psichedeliche, basso in sottofondo, basi di batteria ultra doom (comandate da un iPod!) e una montagna di effetti che scuotono l'aria. Il suono, che pare estremamente compatto, prende l'ascoltatore per la mente facendolo ''viaggiare'', quasi costringendo ad immaginare quel fluido di suoni e forse banalmente sopperendo alla mancanza di video proiettati.
Senza farsi aspettare troppo sale sul palchetto l'ormai non più tanto giovane Joe Preston, storico bassista di band come Melvins, Earth e High On Fire (per dirne tre a caso), con il suo progetto solista Thrones. Il set è composto da una prima parte molto ''rock'' (con pezzi di Sperm Whale), una parte centrale molto più riflessiva alla Earth (come potrete sentire nel video pubblicato sotto), tornando a pezzi più suonati nella terza parte. Un live piacevole ma che, al contrario dei primi due, alla lunga ha annoiato, forse con qualche brano in meno sarebbe stato tutto più scorrevole.
Esco dal locale orgoglioso di aver visto due tra le band più importanti del genere (quale genere?) ma altrettanto triste nel venire a sapere che eravamo gli unici due ''forestieri'' (contando un pubblico di circa 80 persone).







James "Sawyer" Ford

mercoledì, aprile 14, 2010

ONE STARVING DAY - Atlas Coelestis



Tracklist:
1. Meridians
2. The Drift of Andromeda
3. Black:Black
4. Descending Orion
5. An Evil Light
6. Disclosure/Radiance
7. Aurora
8. Atlas Coelestis



È ora famelica, l'ora tua, matto. / Strappati il cuore. / Sa il suo sangue di sale / E sa d'agro, è dolciastro essendo sangue. / Lo fanno, tanti pianti, / Sempre più saporito, il tuo cuore. / Frutto di tanti pianti, quel tuo cuore, / Strappatelo, mangiatelo, saziati.
Da queste righe di Ungaretti è tratto il nome degli One Starving Day, dal primo verso in particolare, lasciando comunque agli altri l’immaginario di disperazione e redenzione nel quale si muove il gruppo napoletano.
Una storia travagliata la loro, attivi dalla seconda metà degli anni ’90, hanno pubblicato il loro primo album a cavallo tra il 2005/6, hanno partecipato ad alcune compilation (Emo Diaries, NeuroPrison) e di pochi mesi fa l’uscità del nuovo disco: Atlas Coelestis. Pronto da almeno un anno, l’album è uscito per Beta-Lactam Ring Records e in versione vinilica per Narshardaa Records, mai come in questo caso però l’attesa non è stata troppo dolorosa, ma ha contribuito a far crescere le aspettative di chi ha riservato loro un posto speciale dopo le già grandi cose udite in Brokeng Wings Lead Arms to the Sun.
Lungi dall’infotainment e dalle sui tentacoli sensazionalistici, si può tranquillamente affermare che Atlas Coelestis sia un lavoro di una qualità purissima, un gioiello grezzo capace di oscurare monili più lavorati e rifiniti; le parole di Pasquale (Foresti, chitarrista) e l’anteprima di An Evil Light hanno trovato conferma tra le note spaziali del nuovo album, che trova il suo filo conduttore nelle stelle e nell’argento del precedente disco per trovare nuova veste e raggiungere spazi siderali, si spinge di molti gradini più avanti di quanto è lecito aspettarsi, tracciando nuovi orizzonti e sfiorando quelle stelle che al momento della nostra visione sono già morte.
Senza dimenticare la componente doom da sempre caratteristica del combo, ammirando nuovamente una crisalide di arterie hardcore che sono reminiscenza del passato mai dimenticato, l’anima di Atlas Coelestis trae nuova linfa dal passato, questa volta in maniera definitiva, immergendosi nell’ambiente teutonico dei primi anni ’70, chiamato per convenzione kraut-rock, e fondendolo con le esperienze precedenti, estremizzandolo nel senso più puro del termine, rendendolo feroce, famelico.
Dall’intro Meridians si respira aria vintage e cosmica, con la mano di Froese su una spalla a guidare la via astrale nel solco dei Tangerine Dream, omaggiati in questo caso nel loro periodo di mezzo, post-Atem per intendersi, parentesi elettronica che si stacca dalla terra per approdare su The Drift of Andromeda, dove fanno capolino i tempi quadrati e oppressivi dei primi Swans e le aperture più ariose dei Godspeed You!Black Emperor, con i violini affidati ad Andy Nice incastonati tra suoni di organo e harmonium.
Black:Black gioca sulle atmosfere più sfumate dei primi Popol Vuh e arricchisce il tutto con un prezioso solo di sax, suonato in questa sede da Mario Gabola, un anfratto che sa di romanticismo e disperazione, di lacrime trasportate da venti più terrestri che spaziali.
Atmosfere zigane e ruggiti hardcore si tingono di nero in An Evil Light, sprofondando nell’universo senza speranza di Disclosure/Radiance, dove tra gli astri fanno capolino riff dal sapore black metal che si spengono nei clangori sinistri di Aurora, una rivisitazione in chiave moderna degli incubi metallici dei Cluster, il tutto incastonato tra le parentesi elettroniche e solari di Descending Orion e della conclusiva Atlas Coelestis, segno che la redenzione e la speranza sono la meta finale del viaggio compiuto dagli One Starving Day, dove il ruolo purificatrice dell’argento viene sostituito dalla polvere di stelle, sempre presenti nell’immaginario del gruppo e nei testi, in questa sede valorizzate più che mai insieme alla cornice galattica dell’artwork cartonato.
Avere punti di riferimento è sempre stato un passaggio obbligatorio per chiunque, ma una veste così liquida e rarefatta non la hanno mai avuta neanche i Neurosis, e da queste parti non si era mai sentita. Un lavoro spaziale, in tutti i sensi.


Neuros

One Starving Day @ MySpace

sabato, aprile 10, 2010

THREE STEPS TO THE OCEAN




Ciao ragazzi, partiamo parlando dei passi che vi hanno portato alla realizzazione di "until today becomes yesterday". Siete soddisfatti del risultato finale?

Sì, siamo molto soddisfatti. Ma la nostra soddisfazione è contestualizzata al periodo in cui l’abbiamo registrato, Marzo e Aprile del 2009. Oggi sicuramente lo rifaremmo diverso. Tra un anno ne avremmo una nuova ulteriore variante.

Come siete entrati in contatto con James Plotkin, autore del mastering del disco? Ci ha messo molto del suo oppure è stato semplicemente un lavoro di rifinitura data che i pezzi avevano già una resa e delle dinamiche ben definite?

La label americana che ci aveva prodotto il nostro primo EP in vinile ci ha consigliato di rivolgerci a lui per il mastering del disco. L’abbiamo contattato e si è subito reso disponibile, prestando la sua professionalità, rispettando scadenze e nostre volontà. Il nostro budget per il mastering era piuttosto limitato ed inoltre non volevamo stravolgere con compressioni eccessive e snaturanti le dinamiche che avevamo cercato di curare nei dettagli in fase di registrazione e mix. Il disco non suona fortissimo, ma che diavolo, ogni lettore ha un dispositivo per alzare il volume, mi pare.
James ha rispettato ognuno di questi aspetti, direi che c’è anche una sua impronta nell’album, seppur non così definita o profonda come ci si potrebbe aspettare.

Com'è avvenuto il contatto con la Frohike Records e a che punto stanno le cose per quanto riguarda la Forgotten Empire?

Con Forgotten Empire è morto ogni rapporto. Avessimo aspettato loro, l’album non sarebbe ancora uscito e saremmo ancora qui col master in mano. Tergiversare è uno sport che non ci piace ed avere a che fare con persone che tergiversano idem.
Riguardo Frohike, tutto il contrario. Poche parole chiare e schiette. Un giorno ci ha scritto un’email Marta chiedendoci di spedire loro delle copie dell’EP per la loro distro. Quando ho scoperto che abitavano a 5 km da casa mia gli ho detto che potevano venire a prendersele. Ci siamo conosciuti così. Speriamo di fare qualcosa con loro anche nel futuro.

Rispetto all'ep siete maturati moltissimo sotto ogni punto di vista, raggiungendo una perfetta alchimia sonora tra i vari elementi in gioco, immagino che il processo di songwriting dei pezzi sia stato molto lungo e minuzioso...

Più che altro, direi che è stato frammentato. Il disco nasce in due anni in cui abbiamo fatto un sacco di concerti, in cui ci siamo trovati due volte senza sala prove e in cui non siamo quasi mai riusciti ad avere una certa continuità nel provare. Noi quattro avvertiamo chiaramente questa frammentarietà nel disco, non sappiamo se lo stesso avvenga per l’ascoltatore.
L’alchimia sonora di cui parli deriva invece da un nostro approccio compositivo direi quasi “democratico” da un lato e ficcanaso dall’altro. Democratico perché ci dà reciprocamente fastidio che dei suoni primeggino a caso su degli altri, ci piace la compattezza timbrica (che non è necessariamente sinonimo di pesantezza). Ficcanaso perché ci ascoltiamo molto e siamo sempre pronti a romperci le palle vicendevolmente su quello che suoniamo. Non siamo un gruppo che impiega due prove a scrivere un pezzo, ecco.

Anche dal punto di vista dei suoni utilizzati i progressi sono molto evidenti, avete cambiato radicalmente strumentazione vero?

Sì, è cambiata quasi per intero. Sono cambiati ampli, casse, pedali, il basso. Un po’ di tutto insomma. Ci abbiamo speso parecchio tempo e parecchi soldi, ponendoci sempre l’obiettivo di un suono diretto, grosso, ma sempre chiaro e pieno sia sui puliti che sui distorti. La ricerca del suono giusto è comunque appena incominciata e continuerà a lungo. La G.A.S. è ancora solo in incubazione.

Particolare attenzione è stata rivolta alla componente elettronica, decisamente più presente e decisiva nell'economia del vostro sound rispetto al passato ma allo stesso tempo mai invadente o fuori posto....

Abbiamo sempre riservato all’elettronica uguale dignità e importanza rispetto a quella che diamo a chitarra e basso, complice l’equilibrio timbrico che cerchiamo sempre di avere. Aggiungiamoci anche quel nostro metodo compositivo “democratico” di cui parlavamo sopra. Il risultato è che l’elettronica si sente sempre forte e chiara. Talvolta diventa addirittura struttura portante di un pezzo (“Il Quinto Giorno” o “It’s a minute, maybe more, since I could see”). Le possibilità di utilizzo di un computer e un paio di synth sono davvero infinite. Stiamo cercando strade nuove con la strumentazione che al momento possiamo permetterci.

Veniamo all'interessante concept che si cela dietro le trame sonore del disco, fatecene pure un riassunto e quanto ciò ha influenzato la stesura dei brani?

Non ha influenzato in alcun modo la stesura dei brani, in realtà. E’ un percorso “letterario” (mi si passi il termine altisonante) che è stato portato avanti quasi parallelamente a quello musicale.
All’interno del digipack si parla di un personaggio dai tratti incerti che si muove, fisicamente e col pensiero, a cavallo della linea del cambio di data: le isole Diomede, per l’appunto, sono un piccolo arcipelago le cui isole maggiori (una americana, l’altra russa) sono separate da questa linea effettivamente immaginaria ma che scandisce il ritmo dei giorni di ciascuno di noi. Questo personaggio, ferito e isolato, dall’isola est vuole tornare all’isola ovest, cercando quindi paradossalmente di tornare a ieri, varcando il confine temporale ma anche spaziale e culturale.

Siete una band strumentale dal notevole potenziale espressivo, pensate che questa sia la vostra dimensione più consona o vi è anche solo una remota possibilità che in futuro possiate sentire la necessità di aggiungere delle parti vocali o magari dei campionamenti?

C’è sicuramente la possibilità di mettere in futuro delle parti vocali. Finora non ne abbiamo semplicemente sentito la necessità. Ma non c’è nessuna preclusione aprioristica sull’utilizzo di un cantante, potrebbe benissimo succedere. Tendiamo ad escludere invece campionamenti vari, per il momento.
Il piacere di essere strumentali rimane comunque forte e credo che se decidessimo mai di introdurre un cantante sarebbe una bella mazzata per quello che al momento è il nostro metodo compositivo.

Siete appena tornati dal vostro tour europeo, come è stata la risposta del pubblico e quali sono le vostre sensazioni al riguardo?

Per quella che è la nostra esperienza, suonare all’estero è mediamente più bello rispetto a suonare in Italia. E’ una litania che si sente spesso, ma è davvero così, almeno per noi. Più bello vuol dire che c’è più attenzione, più interesse, più voglia di starsene lì in piedi a sentire ciò che viene fatto sul palco. Il live non è un momento marginale di una serata il cui fulcro è un djset. E’ il momento centrale della serata di un locale/centro sociale/centro giovanile/etc, quello per cui si esce di casa.
La risposta è sempre stata ottima, anche ai concerti del lunedì sera con 20 persone. E come musicista, sei (quasi – ovviamente esistono eccezioni negative) sempre trattato con dignità e rispetto. Sembra che si debba andare oltreconfine per veder cambiare il mondo.

Cosa vi riserva il futuro, in particolare per quanto riguarda nuove composizioni?

E’ ancora presto per poterlo dire. Non perché vogliamo tenere segreti, ma più che altro perché abbiamo ancora troppo poco materiale nuovo per spiegare a parole quale potrebbe essere una qualsiasi direzione. Quel che è certo, è che qualsiasi cosa nuova non sarà il clone né dell’EP né di “Until today becomes yesterday”.
Riguardo tutto il resto, stiamo cercando di suonare live il più possibile. Abbiamo un po’ di date tra Aprile e Maggio, in Lombardia e non solo. Più avanti ci piacerebbe anche mettere l’album su vinile.

E' tutto, grazie mille per il tempo a noi dedicato ed un saluto da tutto lo staff di Neuroprison!

Grazie a voi, complimenti per la quantità abnorme di informazioni che il forum contiene.


-Edvard-

mercoledì, aprile 07, 2010

PLASMA EXPANDER


A pochi mesi dall'uscita di Kimidanzeigen, secondo disco dei Plasma Expander, abbiamo contattato Fabio, chitarrista della band, per vedere cosa bolle in pentola e approfondire la situazione musicale in Sardegna.


Ciao Fabio e benvenuto sulle pagine di Neuroprison! Sono passati più di due anni dal disco d’esordio e sappiamo che ci sono stati dei cambiamenti nella line-up della band, di conseguenza tante novità. Puoi raccontarci del periodo che ha portato a Kimidanzeigen?

Beh, mica facile rispondere in due righe ma ci proviamo. Intorno alla fine del 2005, appena dopo la registrazione del primo disco (uscito a fine 2006 con Here I Stay e Wallace) Stefano Podda, membro originario della band, ha lasciato la Sardegna per andare a vivere a Londra. Da allora la strada dei Plasma Expander è stata sempre un po’ in salita…Non era facile trovare un sostituto, sia dal punto di vista musicale (si era fatta molta fatica e molta strada per definire il suono e l’estetica del gruppo) sia a livello umano e l’affiatamento sotto questo aspetto è spesso una condizione necessaria alla creatività musicale. Abbiamo suonato un po’ di volte live con la stessa formazione ma nel frattempo io e Andrea Siddu (batteria) abbiamo provato diversi esperimenti (tra cui anche un’ipotesi di duo) che però non hanno mai sortito gli effetti sperati. Finalmente a metà 2007, spinti dalla necessità di una scadenza a breve (il concerto al secondo Here I Stay Festival) abbiamo deciso di proporre ad un baldanzoso giovine che per preservare l’anonimato chiameremo “Luca Muntoni” (tra l’altro ottimo batterista) di entrare a far parte della nostra band. Lui ha accettato di buon grado e il risultato è stato un buon periodo di creatività e circa metà dei pezzi di Kimidanzeigen sono nati dalla collaborazione con Luca. Per diversi motivi, tuttavia, anche questa collaborazione si è conclusa, e ancora una volta alla vigilia del nuovo Here I Stay Festival! È stato quello in momento in cui, con appena 2 settimane di prove, la chitarra baritono è stata imbracciata da Marcello Pisanu (Golfclvb, the Oops) che oramai da più di 1 anno e mezzo è membro stabile della band.
Con lui abbiamo suonato parecchio dal vivo (circa 40 concerti), abbiamo ridefinito il nostro suono (ora molto più granitico) e abbiamo portato a termine il lavoro intrapreso con Luca per le composizioni che sono entrate a far parte di Kimidanzeigen.
Sempre a proposito della nostra line-up, come non spendere due parole a proposito del nostro quarto uomo nonché giovane rampollo proprietario illuminato della nostra saletta? Enrico Rocca era originariamente stato assunto come autista di Doblò, ma dopo ci siamo accorti che ci sapeva fare anche dietro il banco mixer cosicchè è diventato il nostro imprescindibile fonico nei live nonché il curatore del suono di Kimidanzeigen.

Com’è stata la gestazione di Kimidanzeigen? Alcune canzoni le presentavate da un po’ dal vivo, quindi sembra che il processo di songwriting non sia stato troppo continuo...

Appunto…La gestazione di Kimidanzeigen è ovviamente un riflesso della storia della band. Come già detto alcuni pezzi dell’album sono stati composti con un’altra formazione. Tuttavia, suonare questi pezzi dal vivo per tante volte ci ha portato a migliorarli lavorando sulle sfumature. Inoltre, l’ingresso di Marcello ha fatto sì che anche i pezzi composti con la precedente formazione suonassero ovviamente diversi perché personalizzati dal suo stile esecutivo.

Kimidanzeigen si propone sulla scia del primo omonimo album, contando però su alcune novità subito udibili: un suono se vogliamo più duro e corposo e allo stesso tempo le parti più sregolate, tipiche dei vostri live, emergono in tutta la loro ebbrezza, quasi a voler riproporre su disco l’attitudine che avete dal vivo. E’ così o c’è dell’altro?

Sin dalla nascita, i Plasma Expander si sono sempre caratterizzati come un gruppo live: suonare dal vivo è quel che ci piace fare di più. Da questo punto di vista, il primo disco (seppur caratterizzato da composizioni che ancor oggi ci piacciono molto), aveva un suono un po’ troppo sterile, pulitino e poco aggressivo. La nostra intenzione iniziale era quella di riprodurre, per quanto possibile, l’energia e l’atmosfera di “estasi cinetica” tipica dei live. Se questo è quello che passa allora siamo contenti.

Vi siete serviti di strumenti a fiato, come ad esempio in “Four Legs, e i risultati sono sicuramente buoni. Come è nata l’idea?

Mah, le motivazioni sono diverse. Per prima cosa, gli inserti del sax soprano di Valter Mascia su “Four Legs”, così come degli archi di Maria Teresa Sabato e di Gianluca Piachedda in “Horny M” e “Nose on Belly”, sono stati funzionali ai pezzi. Semplicemente, in alcuni frangenti le composizioni avevano bisogno, a nostro avviso, di un intervento esterno – una “voce”, più o meno melodica (come nel caso del sax) o una frase di accompagnamento (come nel caso degli archi) – per risultare più interessanti ed intriganti. In secondo luogo, ci piace pensare che musicisti esterni possano intervenire sui nostri pezzi interpretandoli a loro modo. Ancora, la presenza di interventi esterni contribuisce a differenziare il disco dal live. Infine, la formazione a tre ha molti pregi (soprattutto in termini di più immediata comunicazione tra musicisti) ma ha sicuramente il difetto che spesso non si riesce a fare tutto quello che si vuole o che viene in mente. Intendo non solo un problema di copertura di frequenze ma anche di “ruoli” degli strumenti: se, come capita spesso, decidiamo di lavorare insieme ed intensivamente sull’aspetto più ritmico del pezzo, talvolta si sente la mancanza di una “voce” (non necessariamente cantata) che in qualche modo suoni “sopra” il nostro tessuto ritmico. Ecco quindi che gli strumenti esterni diventano fondamentali.

Sananas è la montagna che si alza al centro del disco, sicuramente una delle canzoni più estreme del vostro repertorio, molto vicina al suono degli ultimi Morkobot addirittura. Sicuramente l’apertura sinistra e rumorosa ha contribuito a quell’alone insalubre che si respira. Vi ritrovate di più in questa dimensione o quando le forme si fanno più libere e meno oppressive?

Davvero trovi che Sananas sia estrema e oppressiva? Sì in effetti la prima parte può risultare un po’ claustrofobica ma tutto il finale ci suona sempre molto poco serioso e quasi ironico…Di sicuro è uno dei pezzi più divertenti da suonare. Per quanto riguarda il ritrovarci o meno in una certa dimensione, se la contrapposizione è “struttura” o “improvvisazione”, allora è verissimo che con questa nuova formazione, sia per le caratteristiche di Marcello sia per un nostro percorso, l’ago della bilancia punta decisamente sulla prima: di improvvisazione nel disco ce n’è veramente poca…Non sentiamo invece particolarmente rilevante la contrapposizione con riferimento ad altre caratteristiche espressive ed emozionali della musica (sinistra vs. gioiosa, malinconica vs. allegra): personalmente, prediligo situazioni musicali che siano o neutre o per le quali è difficile descrivere a parole l’emozione ad esse associate.

A leggere un po’ di recensioni per il web che vi riguardano, i termini più utilizzati sono sicuramente kraut-rock, math-rock, blues, post-rock, segno che le influenze siano tante e gli appigli dati all’ascoltatore pochi. In quale di queste vi ritrovate di più? Sempre che ve ne sia una sola ovviamente.

Credo che le recensioni non sbaglino quando chiamano in causa questi termini…Per quanto mi riguarda, il kraut-tedesco dei Neu e dei Can (con il famoso motorik beat), il math-rock dei Don Caballero e dei Colossamite, il no-blues di Captain Beefheart e il post-rock degli Slint sono senza dubbio punti di riferimento importanti della mia storia musicale e i loro dischi sono stati consumati dal mio lettore cd. Non saprei sinceramente dirti in cosa ci si ritrova di più: quando si suona gli ascolti vengono fuori naturalmente e non c’è mai stata un’occasione in cui ci siamo detti: “questo pezzo lo facciamo kraut” oppure in qualche altro modo. Il processo di composizione parte sempre da elementi che hanno molto poco a che fare con la sfera intenzionale.

A leggere alcuni titoli come Horny M., No Mustache o Sananas traspare una certa ironia, confermata anche nella parte finale di Nose on Belly. Senza trascurare il vostro abbigliamento live. E’ un fattore su cui puntate molto essendo una band strumentale?

Separiamo il discorso titoli dal discorso abbigliamento. Con riferimento ai primi, non vedo una particolare relazione tra la loro presunta ironia e la nostra carenza di un cantante. Non so se i titoli siano o meno ironici….se lo sono non ne siamo troppo consapevoli o comunque non ci badiamo troppo. Se i titoli sembrano ironici è probabilmente perché dietro ogni titolo di solito c’è una storia extra-musicale e spesso queste storie fanno ridere! Altro è il discorso del nostro abbigliamento live: in questo caso mi sento di poter dire che l’ironia non c’entra niente. Anche in questo caso la decisione è stata del tutto casuale e quando ci siamo accorti che funzionava (facendoci entrare più facilmente nel concerto e catturando più agevolmente l’attenzione dell’audience) abbiamo continuato. Ora come ora, suonare senza “maschera” non sarebbe per noi la stessa cosa. Da questo punto di vista probabilmente c’è una relazione con l’assenza di un front-man capace di mantenere viva l’attenzione del pubblico: la divisa, se è di un certo tipo, obbliga l’audience già da subito ad una certa attenzione suscitando una curiosità addizionale. Se poi l’effetto ulteriore è quello di renderci poco seriosi, anche questo ci va bene: tendenzialmente diffidiamo di chi si prende troppo sul serio.

Ancora una volta è salda la collaborazione con la Wallace Records e l’Here I Stay Records, ma per il nuovo disco c’è stato un contributo da parte di altre sei etichette tra le quali BarLaMuerte di Bruno Dorella (OvO, Ronin), Transponsonic, BrigaDisco, Burp, Bloody Sound e Valvolare. Come è si è sviluppata questa grande ammucchiata?

I motivi sono diversi. Innanzitutto si tratta di amici e di persone con le quali ci piace avere a che fare. Il disco dei Plasma Expander è stato appunto un modo per sancire questa collaborazione e questa stima reciproca. In secondo luogo, dato che i soldi non sono tanti, la syndacation è spesso l’unico modo per tirare fuori i soldi necessari per una produzione di un certo livello (i.e., proprio il contributo di tante etichette ha consentito la doppia uscita vinile/cd). In terzo luogo, dal punto di vista della promozione, è più facile che giri il nome se il disco è presente in 8 cataloghi anziché in 2.

Di recente siete stati in tour nel Centro-Nord Italia e nella penisola iberica. Che esperienza è stata?

Estremamente positiva, difficile da raccontare in poche righe. Tutto è andato per il verso giusto, l’accoglienza è stata ovunque fantastica e abbiamo conosciuto sempre persone meravigliose. Tieni conto che il tutto è stato fatto in assoluta autoproduzione, senza agenzie, senza finanziamenti, senza furgone (solo il nostro eroico Doblò che ci ha scarrozzato in 4 più il backline per quasi 10000 kilometri in 16 date), senza aiuti esterni se non quelli relativi alla rete di contatti ed amicizie di cui si diceva prima.

Provenienti dalla Sardegna, quante difficoltà ci sono per suonare fuori dall’isola? E soprattutto: com’è la situazione sul suolo natio, in particolar modo per suonare dal vivo?

Come si suol dire: grazie per darmi la possibilità di rispondere a queste domande. Le difficoltà per noi sono enormi e riguardano, ovviamente, i costi fissi in termini di denaro e di tempo. Ogni volta che ci si muove dobbiamo mettere in conto 3-400 euro di nave e 2 giorni di viaggio (e quindi 2 giorni di ferie in più dato che non siamo professionisti). Questi costi non devono essere sostenuti da una band che vive a Roma, a Bologna o a Milano. E’ ovvio che, di fronte a certi costi fissi, non possiamo permetterci di suonare fuori dalla Sardegna per meno di 3 o anche 4 date se vogliamo anche solo sperare di non perderci. E, ancora più ovviamente, non possiamo permetterci di organizzare delle date in giro per l’Italia ogni weekend (cosa che invece possono fare le band della Penisola). E’ ovvio che, in una situazione del genere, l’intervento opportuno da parte di amministrazioni locali lungimiranti dovrebbe essere quello di contribuire in qualche modo a coprire questi costi dato che la musica di qualità è cultura e la cultura fa bene a tutti. Peccato che, a me sembra così, i soldi pubblici vadano sempre e comunque sempre nella stessa direzione e in progetti musicali che con la qualità musicale hanno veramente ben poco a che fare. Non voglio parlare di chi questi soldi li intercetta (buon per loro), ma soprattutto di chi, nonostante gli indiscutibili meriti, non li ha mai intercettati. Esempio: il festival estivo dell’Here I Stay, nostra etichetta, si svolge da 4 anni in un ambiente stupendo, conosciuto ed apprezzato da molti sia nella Penisola che all’estero, più di 25 concerti in 3 giorni con campeggio e servizi gratuiti, atmosfera fantastica e musica di qualità, bed and breakfast sold out nel circondario, fantastica immagine della Sardegna per chi viene da fuori. Ebbene, mai un soldo pubblico. A quanto pare, la musica rock è ancora la musica del Diavolo in Sardegna e in Italia. Peccato che in altre realtà (Svizzera e Germania), i nostri colleghi si finanziano il tour con i soldi messi a disposizione dai governi. A questo punto immagino di aver finito lo spazio anche per la seconda domanda ma provo comunque a rispondere…La situazione nella nostra Penisola, sebbene non a livello di realtà come Germania, Belgio, Olanda ma anche Spagna e Portogallo, è comunque di gran lunga migliore rispetto a quella della nostra Regione: esistono degli ottimi locali a Roma, a Milano, a Firenze, ad Ancona, etc. Posti dove gli organizzatori sono appassionati, il pubblico interessato, i cachet dignitosi (sebbene appena sufficienti per coprire le spese) e, soprattutto, i palchi e le situazioni tecniche sono appropriate. Da questo punto di vista, è tristissimo rendersi conto che a Cagliari non esista un luogo che sia uno dove sia possibile far suonare nelle migliori condizioni band musicali di qualità. È ancora più triste rendersi conto che in tutta la Sardegna ci sia probabilmente un unico posto (lo Sleepwalkers di Guspini, guarda a caso la location abituale dell’HIS festival) dove i concerti live sono una priorità e dove l’atmosfera e le condizioni tecniche non hanno assolutamente nulla da invidiare ai migliori locali europei. Questa condizione di carenza nell’offerta musicale cozza clamorosamente con una domanda che c’è eccome: è difficile che un concerto che in qualche modo fa capo alla nostra scena vada “deserto” e quand’anche la nostra percezione è che ci sia poca gente (di solito sotto le 50 persone), l’audience è sicuramente superiore a quella media in una qualsiasi altra città della Penisola dove con 20-30 persone (interessate!) una band può ritenersi soddisfatta.

Tutti voi siete coinvolti in side-projects: Holy Carpenters, di cui il sottoscritto ricorda un drogatissimo set di spalla a Mattia Coletti, the Flying Sebadas e Golfclvb. Potete dirci se ci sono novità su questi fronti?

Credo che per ciascuno di noi, i side-projects ci consentano di esprimere la nostra parte musicale che non trova sfogo nei Plasma Expander. Per quanto mi riguarda, negli Holy Carpenters trovano spazio l’improvvisazione radicale, il free-jazz da orgia spirituale tipico dei coniugi Coltrane, di Ayler e di Pharoah Sanders, il minimalismo di Riley e Reich e soprattutto quella corrente di weird-avant-anti-folk che dagli Holy Modal Rounders e Incredible String Band porta fino ai Six Organs Admittance. Gli Holy Carpenters sono ancora in vita ma la loro attività è un po’ rallentata a causa di un lieto evento vale a dire la nascita di Lucio, un piccolo muratore sacro che ora come ora richiede ancora parecchie attenzioni…Una cosa è certa, ci divertiamo parecchio quindi prima o poi si ricomincerà. Per quanto riguarda Flying Sebadas, attualmente stanno lavorando al secondo disco e torneranno sulla scena questa estate. I Golfclvb, invece, si son presi un anno o qualche anno sabbatico a causa della trasferta lavorativa del batterista.

E soprattutto, cosa bolle in pentola per i Plasma Expander? Qualcosa di nuovo?

Sì. Il prossimo disco sarà totalmente privo di strumenti, solo le nostre voci a cappella.

Bene ragazzi, con questo è tutto, un grande in bocca al lupo da parte di Neuroprison, a voi l’onere di chiudere.

E allora crepi il lupo e mille grazie a Neuroprison! Vi lasciamo con un appello: non rinunciate ad ascoltare musica che a prima vista vi disturba o vi mette inquietudine perché spesso dietro questa inquietudine ci celano le porte di nuovi mondi e della rivoluzione delle coscienze. Boom!


Neuros

sabato, aprile 03, 2010

FIORELLA MANNAIA 2.1



20 Aprile - Circolo Magnolia
  • Apertura cancelli: 21:30
  • Inizio spettacoli: 22:00
  • Ingresso: 10,00 euro + Tessera ARCI

Forse non ve lo ricordate più, ma tra i propositi per l'anno nuovo che avete strillato subito dopo la mezzanotte del 31 c'era anche il fatidico "devo ascoltare più metal". Il Magnolia vi aiuta a mantenere le sane promesse fatte con una due giorni in cui poter esser certi che nessuno dei presenti abbia televotato Valerio Scanu. Si parte con i brutali Eyehategod e i melviniani Totimoshi.

line up:
EYEHATEGOD [USA] (live)
TOTIMOSHI [USA] (live)
GHOST EMPIRE (live)
SOLOMACELLO (dj set)

venerdì, aprile 02, 2010

BARONE DEL MALE FEST 2 @ CSOA Ex-Mattatoio

06.03.2010 - Perugia

Sì il secondo appuntamento per festival del Barone del Male è stato una bomba. La location del CSOA Ex-Mattatoio ha per la seconda volta ospitato il festival patrocinato dalla webzine, e come al solito è stata una festa, una rimpatriata tra amici, tra band, tra utenti sparsi per l'etere e accomunati dalle stesse passioni.
Ad aprire la serata ci hanno pensato Il Capro, trio folignate dalla gran botta, pezzi semplici ma efficaci, un incrocio tra lo sludge/doom più moderno e atmosfere dark '70, grazie soprattutto al lavoro di synth, con un finale possente ed estremo grazie alla rilettura di una canzone da messa, ottima per creare l'alone di ombra e mistero. I tre non hanno ancora all'attivo alcun disco, ma sulla pagina myspace (www.myspace.com/elcapro) si possono sentire alcuni estratti dell'imminente lavoro in studio.

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Bravi i Mondrian Oak (www.myspace.com/mondrianoak) che con il passare dei minuti si scaldavano sempre più, fino ad arrivare a un finale granitico come pochi, un quadro dove le canzoni contenute sul disco Through Early Seed rendono in misura ancora maggiore; belle anche le aperture più melodiche, i Celeste hanno apprezzato molto e il sottoscritto pure.

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Per gli Storm{o} che dire? Spudoratamente di parte e non l'ho mai nascosto, non riuscirei a tracciare un giudizio obbiettivo, ma che bravi, che bravi!Nevrotici, spastici, ansimanti, con l'acqua alla gola, passionali e coinvolgenti. Quando tutti gli altri gruppi inquadrabili nell'hardcore più cervellotico fanno a gara a farsi le seghe con gli strumenti, loro ci mettono il cuore e si sente, menzione particolare per Luca: tarantolato e al vetriolo al microfono. Le canzoni nuove presentate sono una chicca esplosiva, il consiglio è di rimanere aggiornati (www.myspace.com/stormhc).

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Gli Orange Man Theory (www.myspace.com/theorangemantheory) : avrebbero fatto muovere il culo alla più vecchia delle nonne, quello che si sente sul disco non è niente rispetto all'impatto che hanno dal vivo, anche se le facce di Cinghio varebbero da sole il prezzo del biglietto; presentata anche una nuova canzone dall'imminente split 7" con i Lucky Funeral, mannaia grind'n'roll.

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E per finire i Celeste. Trai presenti eravamo tutti d'accordo che, in quanto serata devota al Male, loro ne hanno incarnato la quint'essenza, nonostante l'imbriachera dei membri si facesse sentire, soprattutto all'inizio. Nebbione, buio, lucine rosse: apoteosi. I nuovi pezzi presentati paiono promettere assolutamente bene, dove l'influenza black metal viene dannatamente fuori, e se prima era solo un sentore, ora lo è definitivamente. Il collo dei presenti ha ringraziato.

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Serata conclusasi in balera con gli Storm{o} e i Celeste: assistere alle movenze di certi stacchetti non aveva prezzo, soprattutto se accompagnate dagli 883, e sì, i fumi alcolici si facevano sentire.
Ancora una volta ringraziamenti dovuti allo staff del Barone per l'organizzazione all'accoglienza, ai ragazzi dell'EX-Mattatoio per il contributo fondamentale, e naturalmente ai presenti: grazie a questi fattori il festival baronale si candida tra gli highlights delle stagioni a venire.


Neuros.

Foto di Michele Giorgi (www.myspace.com/xyphias)