martedì, febbraio 23, 2010

TOMYDEEPESTEGO



A due anni di distanza dall'uscita di Odyssea, ecco finalmente il secondo disco in casa ToMyDeepestEgo: Chronophage. Ne abbiamo approfittato per fare due chiacchiere insieme ad Edoardo, chitarrista della band:


Ciao ragazzi! Ben ritrovati sulle pagine di NeuroPrison. Sono passati circa due anni tra l’uscita di Odyssea e Chronophage, come è stato il periodo di gestazione del nuovo disco?

Edoardo (TMDE): Il processo di creazione/scrittura dei Tomydeepestego e' non-stop. Alcuni pezzi di Chronophage sono nati mentre stava uscendo il precedente disco, Odyssea. Questo perche' la creatura TMDE non e' proprio fatta per fermarsi ed adagiarsi su ipotetici allori. Siamo quello che siamo perche' amiamo fare musica. Produrre qualcosa in primis per noi stessi, e poi per esprimere qualcosa a chi ha voglia di ascoltare. Ogni disco e' per noi quindi un fermo-immagine del processo evolutivo che abbiamo intrapreso da quando ci siamo formati.


In sede di recensione è saltato fuori inevitabilmente un paragone con i Pelican, notando come il percorso evolutivo sia stato molto simile ma con risultati diversi: siete riusciti nell’intento di fare nettamente meglio, segno di un grande lavoro dietro il disco. Roma batte Chicago a questo giro?

E: Apprezzo molto quello che dici ma a dire il vero sono anche un po' stanco di sentir parlare dei Pelican. Non perche' non li abbia apprezzati (piu' in passato che ora ad essere sinceri), ma perche' vorrei che si andasse oltre il fatto che siamo strumentali come loro e facciamo un qualcosa che si avvicina piu' al metal che al cosiddetto “post-rock” piu' “delicato” se vogliamo. Con questo non intendo dire che i TMDE siano meglio o peggio dei Pelican. Semplicemente penso che obbiettivamente parlando, Chronophage, pur avendo al suo interno riferimenti/influenze disparate, sia comunque un qualcosa “simile a nulla”. Detto questo ribadisco che sono comunque lusingato dal fatto che qualcuno pensi che siamo riusciti a produrre qualcosa forse superiore a gruppi molto piu' famosi di noi!


Una prima cosa che salta all’orecchio è il minutaggio notevolmente ridotto rispetto agli standard del “genere”, una mossa coraggiosa ma soprattutto intelligente viste le derive sbadiglianti di molti altri act. Scelta voluta o percorso naturale?

E: Entrambe le cose. Abbiamo fatto molta autocritica, altro fattore fondamentale per la propria evoluzione a nostro avviso, e abbiamo voluto essere molto piu' diretti rispetto al precedente lavoro. Quando poi ci siamo trovati effettivamente a scrivere i pezzi ci siamo accorti che era una dimensione anche piu' consona a noi. Avevamo piu' piacere a suonare i pezzi, e quindi il tutto e' venuto fuori in maniera molto naturale, senza forzare nulla. Odyssea aveva comunque un suo senso, e un suo fine, per cui il minutaggio aveva anche un altro significato allora. Con Chronophage abbiamo deciso di fare in modo che l'ascoltatore, se possibile, non perdesse mai l'attenzione.


Artwork e titolo fanno pensare a un’idea dietro, in particolar modo riguardante il Tempo. Numeri intrappolati nella testa ma che progressivamente volano via. Cosa potete dirci al riguardo?

E: Quello che dici e' corretto. Tutto il concept dell'abum e' basato su questa idea del tempo che sempre e comunque si porta qualcosa via. Un po' un modo di vedere il tempo non come una cosa che “passa” ma come un qualcosa che via via si assottiglia, fino a “finire”, mangiandosi tutto.


Se ciò non bastasse ci sono tre riferimenti eccellenti alla Divina Commedia; come mai avete scomodato Dante questa volta?

E: I tre pezzi di cui parli sono legati a dei periodi molto particolari (a livello personale). Sono il risultato di un passaggio per tre “stadi” emotivi ben definiti. Non c'era niente di meglio del nostrano Dante per esprimere (se possibile) queste esperienze.


Odyssea, Divina Commedia..avete mai pensato di dedicare un disco alla vostra città, così ricca di storia e di poesia? Quanto cozza l’immagine passata di Roma con il vissuto presente?

E: Il pensiero di un concept sulla nostra amata citta' e' sempre presente, e forse un giorno potremmo anche farlo. Da quando e' nato il gruppo abbiamo sempre fatto in modo di mettere dei richiami a Roma o comunque alla nostra cultura, se vogliamo, nei nostri lavori. Questo perche', pur amando molto paesi/scene straniere, rimaniamo orgogliosi di essere nati nella citta' eterna.


Una delle canzoni si intitola El Hombre Loco (Desde Generaciones); hanno contribuito gli studi di registrazione di Valerio Fisik (Hombre Lobo) ?

E: Il nome del pezzo richiama il nome dello studio del nostro quinto uomo, Valerio, ma non e' proprio riferito a quello. Sta di fatto che e' stato l'unico pezzo interamente scritto la' in studio in una notte (e quando dico “notte” intendo proprio “notte fonda”!).


A livello sonoro non c’è stato alcuno stravolgimento, ma si può notare un intenso lavoro di limatura e soprattutto di appesantimento delle chitarre in molti punti. Pensate di aver detto tutto con questa formula e punterete ad altro in futuro?

E: Non siamo affatto arrivati ad alcun traguardo. Abbiamo lavorato molto con Valerio Fisik per trovare diverse soluzioni di espressione del nostro suono. Siamo molto soddisfatti di come il tutto suoni ben amalgamato, ma non e' finita qua, questo e' certo. Proveremo altre soluzioni e limeremo ancora una volta il tutto. Di sicuro il suono di Chronophage e' molto meno “rock” (se cosi' si puo' dire) di Odyssea, e piu' tendente verso il metal come pesantezza. Ma non abbiamo ancora detto tutto con la nostra musica.


Di recente avete suonato a Roma insieme a Scott Kelly (Neurosis). Che esperienza è stata?

E: A livello personale, ed umano, e' stata un'esperienza unica. Condividere il palco con qualcuno che ha scritto i dischi con cui sei cresciuto e' qualcosa di indescrivibile. Lui poi e' stato gentilissimo e disponibilissimo.

Bene o male tutti voi hanno altri progetti musicali, come riuscite a conciliare tutte le esperienze? Potete dirci cosa bolla in pentola in “casa altrui” e a casa vostra?

E: Chi ama la musica non ha veramente bisogno di far conciliare le cose, viene tutto naturale, a nostro avviso. Non possiamo aiutarti riguardo “casa altrui”, ma per quanto riguarda i TMDE continuiamo a fare quello che abbiamo sempre fatto: scrivere e suonare in giro. Quando smetteremo di essere in continua evoluzione vorra' dire che saremo finiti.


Bene ragazzi, siamo giunti alla fine. Un grande in bocca al lupo da parte della prigione; come sempre a voi l’onere di chiudere, ma vorrei anche chiedervi un’altra cosa: con Luigi degli Juggernaut non riusciamo a venirne a capo riguardo alla ricetta dell pasta alla carbonara, potete darci una mano?

Simone: Non è una domanda semplice... partendo dal presupposto che la si sappia comuque cucinare, ci sono ben 3 punti cruciali/misteriosi:
1) mai pancetta. sempre guanciale.
2) uovo, formaggio, sale e pepe si mischiano prima o si aggiungono alla pasta separatamente? (io personalmente mischio prima)
3) ... il più difficile: cipolla o aglio?! Qui non rivelerò mai la mia inclinazione.

E: Detto questo ti ringraziamo molto per l'intervista e mandiamo un saluto a tutti i lettori/frequentatori di neuroprison. E' bello vedere che c'e' ancora qualcuno che aiuta a mantenere viva la scena underground, continuate cosi'. TMDE.


Neuros

lunedì, febbraio 22, 2010

ULVER @ Teatro Espace (Torino)




18-02-2010

Chi c'era c'era, e chi non c'era dovrà esserci la prossima volta. Come me, tutti gli ascoltatori di lunga data degli Ulver (mai vista una fanbase così eterogenea: ascoltatori sperimentali a tutti i costi, blacksters, metallari d'avanguardia della prima ora, distinti trentenni cresciuti a pane e massive attack, freakettoni schizoidi e chi più ne ha ne metta) sapevano a cosa andavano incontro con l'evento di giovedì all'espace di Torino: l'irripetibile live di una band che siamo stati abituati per oltre dieci anni a seguire nel chiuso (e spesso nel buio) delle nostre camere e negli angoli meno frequentati dei negozi di dischi, e che invece ora ritroviamo in una formazione allargata e predisposta all'esibizione live, supportata da un apparato visuale di altissimo livello e con una selezioni di brani che devastante è dire poco e va a pescare da tutto il repertorio degli Ulver dal 98 ad oggi.


Ad aprire è Void Ov Voices, ovvero Attila Csihar, storica voce dei Mayhem, già supporter e collaboratore dei Sunn O))). Abbondanti candele, tunica nera (facepainting 2.0? Chissà), un microfono e molti looper/riverberi per un'esibizione di sola voce, scurissima, ripetitiva e rituale. Agli amanti di certe seriose atmosfere sacrali (Sunn per l'appunto) sarà piaciuto da matti, anche se per me l'impressione è stata non tanto negativa quanto blanda. Mentre trovandosi nell'ottica giusta sicuramente il trasporto e il 'trip' mentale sono assicurati, da un punto di vista smaliziato ci si trova di fronte al compitino fin troppo facile di assemblare vocalmente due droni reiterati fino allo straniamento (gli stessi brani eseguiti allo stesso modo ma condensati in pochi minuti mi avrebbero fatto tutto un altro effetto), esprimendo oscuri sentimenti intimi gridando a più non posso. For fans only.




A seguire, dopo l'immancabile "WE COME AS THIEVES" proiettato sul fondo palco ed un'attesa stranamente breve, salgono gli Ulver sul palco. La formazione prevede Krystoffer Rygg (voce, laptop e percussioni), Tore Ylwizaker (laptop), Jørn Sværen (chitarra, basso, tastiere), Daniel O'Sullivan (tastiere), insieme a due session - un batterista e un fonico-operatore di laptop - reclutati ad hoc.

Fin dalle prime note di Eos il silenzio cala sovrano mentre il pubblico è rapito tanto dall'atmosfera sonora quanto da quella visiva: l'incredibile lavoro di sincronia A/V realizzato dalla band (non stupisce che non ci sia stato un bis: è molto probabile che nessun altro pezzo sia stato preparato con tanta meticolosa cura) restituisce un effetto di immersione e partecipazione incredibile, con il pubblico letteralmente estasiato e muto durante i brani, che si scatena successivamente (lunghissimo l'applauso per i due brani da Perdition City). Parlare di Colonna Visiva non sembra fuorviante (d'altronde molte sequenze sono state appositamente filmate).



La scaletta non privilegia alcun disco, riservando anche brani da lavori 'minori', tra cui stupisce una devastante Rock Massif, presa di peso dall'ottima OST di Svidd Neger e riplasmata per il piacere delle nostre orecchie. I brani da Blood Inside vedono la band impegnatissima a destreggiarsi tra sampling e strumenti vari, stupisce la colonna visiva di Operator, in contrasto con la successiva calma che è solo il prologo alla strepitosa chiusura del concerto, affidata a due selezioni da Perdition City (accolte dal giubilo popolare) e alle note cullanti di Like Music e Not Saved, che vedono la band quasi spegnersi lentamente, come lentamente i suoni si interrompono e il palco si svuota, mentre il pubblico si devasta mani ed ugole richiamando a gran voce la band per un bis che però non ci sarà: ok, spocchia come piovesse, ma bisogna ammettere che il lavoro necessario a portare live i loro brani, unito al sistema visivo allegato, non dev'essere un gioco da ragazzi; ed in ogni caso la scaletta è stata corposa e 'democratica', quindi in fondo non li abbiamo troppo odiati.

In sintesi: live imprescindibile. L'abbastanza inattesa conferma di una creatura sonora che ha sempre saputo mutar forma e che ce lo dimostra per l'ennesima volta, ma in una veste totalmente inedita. Da ripetere quando possibile per chi c'era, e da non mancare per chi non è potuto esserci.

Scaletta:
Eos
Let the Children Go
Little Blue Bird
Rock Massif
For the Love of God
In The Red
Operator
Funebre
Plates 16-17
Hallways of Always
Porn Piece or the Scars of Cold Kisses
Like Music
Not Saved


Andrea de Franco

mercoledì, febbraio 17, 2010

FALL OF EFRAFA - Inlè



Tracklist:
1. Simulacrum
2. Fu Inle
3. Republic Of Heaven
4. The Burial
5. Woundwort
6. The Sky Suspended
7. Warren Of Snares

Recensire questo capolavoro non è assolutamente facile visto che Inlè non è semplicemente un disco di cui parlare, ma anche capitolo conclusivo di una trilogia che fa scendere il sipario sul mondo creato dai Fall Of Efrafa, un mondo fatto di animalismo, pacifismo e pura ricerca individuale.
Non esistono molti altri esempi di band come i Fall Of Efrafa, nati a scadenza, ovvero con l’idea di sviluppare in tre capitoli il loro messaggio, per poi chiudersi senza se e senza ma; post-hardcore unito al più sano crust che si possa immaginare, una visione del mondo dettata da uno stile di vita scelto e sposato senza possibilità di tornare indietro, abbandonando le scene nonostante il crescente successo di pubblico e di critica.
Un disco che parla dell’uomo, della natura e dello scontro più profondo che queste due entità possano mai affrontare; il tutto prende spunto dall’opera di Richard Adams, “Wathership Down” (in italiano “La collina dei conigli”), sviluppata poi in tre passi separati che sanciscono la maturazione della band album dopo album.
Con Inlè si arriva appunto alla conclusione mettendo in luce la definitiva maturità raggiunta e fa molta tristezza pensare che questa band abbia deciso di chiudere i battenti proprio ora, detto questo tale scelta va rispettata ed ammirata, ce ne fossero di progetti così veri e puri nell’ambito musicale odierno.
Ma veniamo all’album in questione, l'apertura è affidata ad una suite strumentale Simulacrum, quasi sei minuti dolorosissimi ma allo stesso tempo morbidi e profondi, perfetto modo per addentrarsi nel loro mondo descritto con minuziosa attenzione e dovizia di particolari.
Il concept è un vero e proprio studio ed è difficile comprenderlo fino in fondo se non si hanno testi e artwork sotto mano durante l’ascolto, e non perché sia un messaggio mal proposto, ma perché ogni aspetto del lavoro della band è parte integrante di esso, quello che non dice la musica lo esprime l’artwork, e quello che non viene espresso con le grafiche viene detto con i testi.
Rimanendo strettamente legati al lato musicale con questo disco la band costruisce architetture complesse ma melodiche, disperate ed aggressive ma anche dolci. Republic of Heaven è un grido di dolore immenso scagliato verso il vuoto profondo di una società malata e priva di veri valori.
Ateismo e animalismo si fondono nei loro testi per scaraventare sull’ascoltatore veri e prorpi anatemi contro una società corrotta, con la speranza che il messaggio passi e riesca a divenire fondamento per una società migliore.
Drammatica la chiusura di Warren of Snares, avere la certezza che queste sono e saranno le ultime parole di un gigante morente lascia basiti.
Un lavoro magnifico questo Inlè, degno epilogo di un gruppo che ha saputo e voluto donare qualcosa a noi tutti.
Ascoltateli dunque, a maggior ragione che è stato reso gratuito il download dell’intera discografia. Semplicemente perfetti.


PostNero


Fall Of Efrafa

sabato, febbraio 13, 2010

DILLINGER ESCAPE PLAN @ Magnolia, Segrate (MI)



03/02/2010

Erano attesi nel milanese i Dillinger Escape plan, dopo Cesena e Rimini difatti il terzo ritorno dei nostri eroi in tre anni capita proprio da quelle parti, grazie sopratutto al Magnolia di Segrate che regala dopo otto anni un ritorno annunciato ma mai veramente concretizzatosi. La fiamma è accesa dai due gruppi chiamati a fare da apripista nel palco più piccolo, quello all'interno del locale: i primi sono gli Hierophant, giovane formazione fluttuante nell'hardcore tout court più e meno recente. Ci si sentono i Sick of it all nelle accelerazioni quanto gli Unearth nei breack down più feroci. I suoni però non sono proprio il massimo e i ragazzi sono rimandati: i volumi che penalizzavano le chitarre non hanno permesso di far emergere le canzoni e il tutto si è risolto in un pastone che alla lunga è diventato anche fastidioso.

La resa sonora non migliora con il secondo gruppo, i Cubre. La band di Cinisello Balsamo si fa notare per la sua esperienza (nel corso di questi anni il gruppo è migliorato esponenzialmente) e al Magnolia nonostante i volumi poco equilibrati e quel quid che mancava (la band a dispetto di altre occasione è sembrata leggermente contratta sul palco) i ragazzi si sono fatti valere e hanno dimostrato che il loro hardcore tecnico e brutale merita più che rispetto.

Non passa molto tempo, giusto l'attesa di far cambiare ai molti spettatori (circa 500 i presenti) la location (uscire dal locale per un tendone appena fuori) e i Dillinger Escape Plan ci sono letteralmente addosso: l'apertura è affidata alla nuova canzone Good Neighbor ma il bello deve ancora arrivare perché a dispetto delle precedenti occasioni in cui ho avuto il piacere di vedere la band del New Jersey, il gruppo ci regala i giusti fronzoli e decide di suonare ininterrottamente 15 canzoni tratte un po' da tutti i lavori di studio. Da ricordare una Destro's Secret al fulmicotone e i classici anthem Panasonic Youth e Sunshine the Werewolf . Nessuna tregua, nessuno spiraglio per respirare, il gruppo è concentrato e perfino Puciato rimane saldamente sullo stage per tutto il concerto se non sul finale, quando si arrampica alla struttura del palco mandando in visibilio i presenti. Bene anche i “lenti” Black Bubblegum e Milk Lizard, ulteriormente divertenti in versione live. La band non ha sbavature, e anche al rientro dopo la “ritirata” ci stupiscono con la cover dei Tears for Fears (Head Over Heels ). I difetti riscontrabili alla serata sono da imputare semmai al tendone, poco capiente e scomodo che non ha permesso a tutti i presenti di godersi appieno il concerto. La band risulta in forma smagliante e ora si aspetta loro al varco per bissare questo buon concerto magari dopo l'uscita di un -Option Paralisys- che rischia di capitalizzare gli ascolti 2010 di molti.


Sephiroth


mercoledì, febbraio 10, 2010

JUGGERNAUT




A poche settimane di distanza dall'uscita di ...Where Mountains Walk, abbiamo contattato Luigi, chitarrista dei Juggernaut, per fare il punto della situazione:


Ci eravamo lasciati con gli amletici dubbi riguardanti il condimento per la carbonara: dopo mesi possiamo finalmente sancire il vincitore tra cipolla e aglio, al di fuori di qualsivoglia ortodossia culinaria?

Luigi: Ebbene no.Qualsiasi prova effettuata atta ad una presa di posizione empirica del glorioso vincitore e’ fallita.I palati,i gusti e le preferenze sono troppo variegati per stabilire il soffritto principe.Pensa che,addirittura,il conservatorismo piu’ estremo dice di non necessitare di alcuna delle due…e qui il mistero si infittisce…io nel frattempo ho deciso che la disponibilita’ della dispensa sara’ l’unico metro di scelta.Intanto tiro in ballo un nuovo quesito per il prossimo full lenght…va usata la pancetta dolce o affumicata?!


Andiamo con ordine: Subsound Records. Come è nata la collaborazione? Entrare “ufficialmente” in un circuito di band amiche (Inferno, ToMyDeepestEgo, Deflore ecc..) pensate possa contribuire a grandi soddisfazioni o esalta qualcosa di più intimo?

Immagino che Davide della Subsound records ci tenesse d’occhio da un po’ finche’ non ci arrivo’ la fatidica proposta di collaborazione, alla quale accettammo con entusiasmo ma consapevoli che avremmo dovuto comporre un gran disco. La conferma arrivo’ dalla commossa e soddisfatta espressione del suo viso durante la prima sessione d’ascolto.
Entrare a far parte di un roster di amici, alcuni molto stretti, e allo stesso tempo di band che stimiamo e supportiamo in maniera totale esalta la consapevolezza di far parte di qualcosa di davvero speciale sia a livello intimo che di soddisfazioni che la label ci sta donando giorno per giorno.


All’uscita di Ballads by the Fireplace le aspettative per il futuro del Juggernaut erano positive, penso però che nessuno si aspettasse quanto udibile in …Where Mountains Walk; all’ascolto emerge chiaramente il lavoro sfiancante dietro ogni componimento. Come è stata la gestazione dell’album?

Non mi stanchero’ mai di ripensare alle infinite discussioni sorte ogni qualvolta si era in procinto di scegliere un arrangiamento o una partitura. Proprio perche’ ognuno di noi identificava il disco come un proprio pargolo non lesinava dal combattere con gli altri per difendere una propria scelta o una propria intuizione. Il calumet della pace si rivelo’ essere l’ascolto emotivo di ogni dettaglio che, aldila’ di qualunque elucubrazione musicale, si ergeva a bilancia chiarificatrice…senza dimenticare pero’ le varie bibite e ammenicoli distensori che riequilibravano spesso l’atmosfera dello studio.


Ancora una volta la mano degli HombreLobo Studios ha dato il suo contributo, e non solo a voi ma a tante altre band. Che aria si respira in quelle segrete stanze? Al di fuori del contributo tecnico, quanto incide quello umano sulla realizzazione di un disco?

Le carte vincenti, nel nostro caso, sono state l’estrema amicizia e la stima che ci lega a Valerio Fisik dell’HombreLobo. Il suo contribuito poteva essere espresso senza mezzi termini, i momenti di panico sferzati senza indugi o complimenti. L’umanita’ e la sapienza che vige in questi studi e’ qualcosa di raro e confortante. Vivono il disco accanto al musicista ma mantenendo il sano occhio esterno che livella ogni aspetto,da quello umano a quello piu’ tecnico.


...Where Mountains Walk. Il paragone con il vostro suono salta subito all’occhio. Siete voi quella montagna o cosa rappresenta?

Quella montagna rappresenta decisamente la nostra musica. Una montagna che prosegue il suo cammino distruggendo ed assorbendo cio’ che distrugge. Laghi, citta’, foreste e distese innevate che sintetizzandosi vanno ad accrescere la massa dell’agglomerato informe che cessa di essere solo montagna ma si tramuta in qualcosa di meno definito e piu’ affascinante.


Tante volte per presentare un album vengono affiancati paragoni senza senso, diciture senza alcun fondamento atte a spacciare una proposta per un’altra solo per qualche surplus. “Neurosis meets Opeth” riesce invece a inquadrare molte delle sfumature del Juggernaut, senza comunque limitarsi a queste. Hardcore, metal, progressive, doom: sensibilità diverse che si fondono. Quanto vi piace camminare al confine?


Camminare al confine e’ stato inevitabile vista la nostra non-scelta di suonare un preciso genere perche’ semplicemente non ci saremmo mai riusciti. L’idea di inglobare le nostre inclinazioni musicali e caratteriali tentando di creare uno stile omogeneo e’ stata una sfida troppo esaltante. Speriamo di essere riusciti a far convivere tutte queste sfumature piegandole al servizio di cio’ che volevamo proiettare durante l’ascolto,servendoci di volta in volta di ognuna di esse per enfatizzare un “inquadratura” o un “personaggio”.

A leggere i titoli si percepisce un quadro che racchiude le persone, il mondo, il Mediterraneo; l’ascolto del disco conferma la sensazione cinematografica del tutto o di leggere un Diario. E’ questa l’influenza maggiore del Juggernaut?


Direi di si. Spesso tra noi facciamo riferimento a sequenze cinematografiche o documentaristiche per spiegare l’intenzione di un riff o di una figura ritmica. A me capita di immaginare un canovaccio visivo nel momento in cui devo strutturare una canzone, trovo piu’ facile raffigurare cambi di tonalita’ e intensita’ come se fossero movimenti di camera o cambi di inquadratura. E’ una inclinazione personale che mi facilita’ di non poco il lavoro compositivo e che e’ stato divertente apportare all’interno di tutta la band. Poi il mediterraneo…che abbraccia tutto il resto, gli uomini, il sole, gli alberi, le distese acquatiche delle quali miscela sapori, odori e suoni…un richiamo troppo grande ed ipnotico per un italiano che ne respira l’essenza durante tutta la sua vita.


Il disco presenta numerose collaborazioni che hanno esaltato alcune sfumature dei brani. Come sono ricadute le scelte?

La necessita’ che trovavamo di volta in volta nel dare un colore particolare all’interno di un brano ci faceva immediatamente pensare a chi avrebbe potuto apportarlo. Avendo l’immensa fortuna di conoscere eccellenti musicisti di diversa estrazione e’ stato bello coinvolgerne molti e confrontarci con loro:da alcuni protagonisti dell’eccezionale collettivo orchestrale Zeitlet X-emble(di cui fa parte anche il nostro bassista) a Marco dei Klimt 1918 sino ai compari di avventura Valerio e Jimmy degli Inferno.


Nella biografia è citato anche Morricone, e questo si ricollega all’atmosfera da film di qui sopra ma non solo: alcune tracce come A Fish Called Atlantis, Flamingoes, the Bridge and the Sheperd hanno un’ossatura orchestrale che esalta l’irruenza del risultato complessivo. Pensate possano rappresentare un punto di partenza per proposte future?

Il nostro sogno piu’ grande e definitivo sarebbe quello di poter scrivere e girare con un intero collettivo di musicisti ma per ovvi motivi il tutto risulta praticamente impossibile anche se, durante il nostro release party a Roma, ci siamo quasi riusciti. Siamo e saremo una metal band dall’ossatura classica ma nulla ci vieta, in sede di registrazione, di infarcirla con strati di carne fatta dei piu’ disparati strumenti. Sicuramente l’esperienza di “…Where Mountains Walk” ci ha avidamente aperto un infinito mondo da esplorare.


Diario mette la parola fine all’album, omaggiata dall’italiano; come mai questa scelta? Vi ha soddisfatto il risultato finale?

“Diario” e’ stata tanto un esperimento quanto una necessita’ espressiva di omaggiare la nostra lingua madre e la sua complessita’. Il brano stesso ha chiamato l’italiano volendo tentare di spiegare un processo cosi’ complicato come quello del divenire qualcosa o qualcuno. La forza dirompente di quando comprendi significati e suoni nell’esatto istante in cui li percepisci e’ qualcosa che, per quanto scontato, ci ha terribilmente stupito e coinvolto nel brano piu’ di quanto ci aspettassimo.


Quale sarà l’iter per promuovere l’album? Avete già qualche progetto?

Tutto il carrozzone promozionale e’ partito poco dopo l’uscita ufficiale del disco con articoli,interviste e recensioni praticamente in tutta Europa e non solo. Un po’ di sana sovraesposizione momentanea spero che riesca ad incuriosire l’audience nei confronti degli JUGGERNAUT e anche nei confronti di tutte le ottime bands italiane che suonano con passione, anima e originalita’. Speriamo di dare il nostro piccolo e meritocratico contributo.
Il resto e’ dato dal suonare il piu’ possibile che poi e’ la cosa ci da piu’ gioia in assoluto.
Il progetto principale e’ quello di portare le fiabe di “…Where Mountains Walk” in giro per l’Italia e l’Europa e, anche se con fatica, stiamo lavorando per renderlo realta’.


Siamo giunti al termine ragazzi, grazie di tutto e in bocca al lupo da parte di tutta la prigione. Come sempre, a voi l’onere di chiudere.

Le fauci del lupo avranno vita breve tentando di sgranocchiare tutti i sassi che tenteremo di dargli in pasto!
Sono io a dover ringraziare te e tutta la prigione (di cui faccio orogogliosamente parte!) per la pazienza che, sono sicuro, metterete nel leggere questi deliri sintattici…ma la prigione e’ casa…e a casa ti si perdona sempre tutto…vero?!


Neuros

martedì, febbraio 09, 2010

ALTAR OF PLAGUES - White Tomb



Tracklist:

-Earth:
1. Earth: As a Womb
2. Earth: As a Furnace
-Through the Collapse:
3. Through the Collapse: Watchers Restrained
4. Through the Collapse: Gentian Truth


White Tomb è il primo full lenght degli irlandesi Altar Of Plagues. Targato 2009, è album di pregevole fattura la cui catalogazione risulta alquanto difficile per la presenza di elementi attinenti al black, al doom ed al death sapientemente miscelati.
Il disco è composto da solo due tracce, a loro volta divise in due sottotracce: Earth e Through the Collapse.
Dai titoli è già possibile intuire il concept dell'album: la terra e i suoi cambiamenti dovuti alla globalizzazione e all'impatto umano.
Earth: As a Womb e Earth: As a Furnace son due brani che ben rappresentano l' ibrido "post blackmetal" in questione: screaming su un tappeto di arpeggi che lasciano spazio a momenti ambient, quasi come concederci attimi di riflessione.
La chiusura in lead di chitarra di Earth: as a Furnace non lascia per nulla immaginare cosa ci aspetta; si rimane sconvolti e spiazzati dai riff aggressivi di Through the Collapse: Watchers Restrained, ed improvvisamente il tempo rallenta e diventa un doom oscuro alla Khanate grazie alla voce graffiante di Nathan Misterek (Graves At Sea).
Droni ci anticipano a quella che sarà l'ultima traccia: Gentian Truth. Si cambia nuovamente atmosfera, siamo verso sonorità postmetal con un growl più morbido che lascia spazio ad un coro di voci (apparentemente collegate alla seconda traccia) su corde che sembran quasi pizzicate fino a creare un incredibile climax di chitarre, quasi a rappresentare che in fondo la speranza esiste ed è la genziana, una pianta che cresce nei 3 principali continenti, gli stessi che stanno provocando il vuoto nella terra.
Sono inevitabili i paragoni con altre bands del genere, Wolves In The Throne Room e Fen in primis, tuttavia gli Altar of Plagues ci offrono un lavoro alquanto personale e curato nei minimi particolari, ove ogni brano rappresenta una piccola e preziosa gemma perfettamente incastonata nel complesso dell'opera.
Niente male per una band al debutto!


Malinconica

lunedì, febbraio 08, 2010

SAINT VITUS CONTEST



Saint Vitus, una delle band che ha fatto la storia del doom metal, forse la piu' importante dopo i seminali Black Sabbath, un gruppo indimenticabile soprattutto grazie al carismatico Wino, cantante che dopo anni e' finalmente ritornato nella formazione originale. Insieme a band come Trouble, Pentagram e Obsessed, i Vitus sono stati i primi a dare al doom quella sua atmosfera cupa e oscura, quella aggressivita' ai limiti della schizofrenia, che ancora oggi caratterizza questo genere e che in tanti cercano di imitare, con scarso successo.


SAINT VITUS +
CENTURIONS GHOST
14/02/2010 BLOOM, MEZZAGO
PORTE: 21.00
INIZIO CONCERTI: 21.30



Hard-Staff in collaborazione con Neuroprison mette in palio un biglietto per assistere all'evento, basta rispondere correttamente ed il più velocemente possibile alle seguenti domande, inviandoci il tutto via mail: neuroprison@hotmail.com


1) In quale città ed in che anno si è formata la band?
2) Come si intitola l'album in cui debutta in formazione Wino?

sabato, febbraio 06, 2010

MONDRIAN OAK



Ragazzi raccontatetci tutte le vicissitudini dietro Trough Early Seed, la sua gestazione, retroscena durante la lavorazione del disco e altro ancora.

T.E.S. è nato a cavallo tra fine 2007 e i primi mesi del 2008. E' l'espressione di quello che eravamo in quel periodo, e di quello che in parte siamo a tutt'oggi. Per quanto riguarda la produzione dei brani è stato tutto molto naturale, eravamo in tre e i pezzi uscivano anche molto velocemente dalle nostre mani, poi non so come spiegarti però nel comporli ci siamo fatti guidare, molto, dalla volontà di esprimere in musica sensazioni visive. Non perché suonavamo sotto LSD, eheh, ma perché ogni brano è influenzato da concetti visivi, immagini astratte e non.

Sulla base di queste concepivamo certe parti e sceglievamo certe strutture. Come avrai sicuramente notato, in nessun brano c'è un riff che si ripete più volte al suo interno, si succedono senza ripetersi come un fluire di immagini in un album fotografico. I problemi sono sorti più nella fase finale di registrazione e uscita del disco. Durante le riprese infatti abbiamo avuto qualche sfortuna tecnica, che ci ha fatto perdere giorni di lavoro anche se poi fortunatamente abbiamo recuperato. Però insomma, non possiamo lamentarci, lavorare con Mattia Coletti è stato sicuramente molto interessante.



Nella recensione vi ho definiti un "bigino" perchè nel vostro sound ho identificato molto di quello che oggi viene definito Post -core e -rock. vi disturba essere identificati così?


Non ci disturba tanto il termine "bigino", perché in un certo modo è appropriato, ci disturba di più quando ci definiscono più nettamente post-core/rock, soprattutto ora che ci stiamo un po' allontanando da quelle sonorità. In ogni caso è indubbio che il disco sia stato influenzato in parte anche da quegli stili però è altrettanto vero che nessuno di noi si può dire esperto conoscitore di molti dei nomi a cui spesso ci associano. Nel 2007 quando abbiamo intrapreso il progetto, venivamo tutti da esperienze pregresse differenti: chi dall'indie, chi dal death metal o altra musica sperimentale. C'erano diversi gruppi della scena post che ascoltavamo, ma non erano i soliti Pelican o Isis. Ammiriamo molto di più altri gruppi come Opeth, Tool, Cult of Luna, Katatonia, Yob, Ephel duath.



Come nasce il sodalizio con Consouling Sounds? siete soddisfatti di quello che è nato con il loro aiuto?

Siamo venuti in contatto con loro tramite internet, abbiamo spedito loro una pre-produzione del disco e da lì è nato tutto. Non è stato semplice, come dicevo prima, perché comunque abbiamo dovuto aspettare quasi un anno prima di vedere il disco fuori, però penso che ne sia valsa la pena. Siamo soddisfatti del loro operato e anche della scelta di evitare le altre co-produzioni che ci erano state proposte. La Consouling è una realtà davvero interessante, hanno degli ottimi gruppi, un'ottima distribuzione (T.E.S. grazie a loro è distribuito in Europa e negli Usa da Conspiracy Records, Clearspot, Shellshock, Record Heaven e Stickfigure Distribution.) e da poco si sono aperti anche spazi nell'ambito della distribuzione digitale.
Quello di cui al momento avremmo maggiore bisogno è un supporto per la parte del booking, ma sapevamo fin dall'inizio che Mike&Co non si occupavano di questo e quindi non è certo una loro lacuna.



Per quanto riguarda l'Italia invece? quali sono i riscontri rilevati lungo la penisola?

Avere un'etichetta estera, ha i suoi pro e i suoi contro ovvero da una parte hai un maggiore raggio d'azione, però per inverso, in Italia non siamo "coperti" come se avessimo un'etichetta/distribuzione italiana. Noi cerchiamo al meglio di farne fronte e pian piano i risultati ci sono. A livello live, per quello che abbiamo potuto apprezzare, i riscontri sono buoni, le persone presenti ai concerti crescono di volta in volta, anche se questo non dovrei essere io a dirlo. Attualmente abbiamo ancora poche recensioni di stampa italiana, ma la Consouling ha ritardato un po' nel realizzare il materiale promozionale che per questo è stato spedito solo poco tempo fa. Insomma dovrebbero arrivare presto nuovi riscontri anche da zine e riviste del nostro paese.



Capitolo concerti, croce e delizia di ogni band che si rispetti. Parlateci secondo il vostro punto di vista della situazione del Belpaese con i live (parlo sopratutto dei gruppi affini alle vostre sonorità) spesso snobbati o deserti. quali sono i fattori che incidono a proposito secondo voi? a cosa è imputabile tutto ciò?

Parlare del degrado della situazione italiana è diventato oramai quasi banale, purtroppo. Il fatto che molte ottime band (nostrane ma anche estere) non abbiano il giusto seguito a mio avviso dipende da due fattori - uno più generale - ovvero il fatto che non ci sia una vera e propria cultura musicale a causa dei media e dei stessi locali che portano avanti sempre più la politica delle cover-band; e in secondo luogo - uno più specifico e difficilmente valutabile seppure molto presente - ovvero il fatto che spesso questi eventi non hanno la giusta promozione. Se i locali si impegnassero a promuovere seriamente i loro eventi e si impegnassero a preferire i gruppi validi ed originali rispetto a quelli che portano loro solo le birre, probabilmente pian piano crescerebbe il livello culturale e di apprezzamento del pubblico anche per generi alternativi. Per fortuna ci sono poi realtà (come voi di neuroprison) che tengono ancora in vita la musica cosiddetta underground, speriamo che continuino a farlo.



Cosa dobbiamo aspettarci dai Mondrian Oak nel 2010? avete in cantiere qualcosa?

Stiamo da diverso tempo componendo nuovi brani per il prossimo disco, alcuni li stiamo già testando in sede live, e sembrano ricevere apprezzamenti. Speriamo di riuscire a registrare una pre-produzione prima dell'estate e poi chi sa, magari entrare in studio entro questo stesso anno. Però senza alcuna fretta, ci stiamo rinnovando molto anche in termini di suono e l'ingresso di Diego come ulteriore chitarra ci ha permesso di curare ancora di più gli arrangiamenti: vogliamo fare le cose nel migliore dei modi! Nel mentre proseguiremo per qualche altro mese sicuramente l'attività live.



Cosa state ascoltando di recente?

Ultimamente i nostri ascolti si sono spostati nelle direzioni più disparate, dall'avantgarde, al doom/drone, al noise, al folk. Poi c'è Matteo che è tornato in fissa da alcuni mesi coi Tool e non si sa bene quando uscirà da questo magico tunnel.

Nell'ambito italiano personalmente mi hanno colpito le ultime uscite dei Vulturum, dei Three steps to the ocean e dei nostrani LegLeg e Gerda (con questi ultimi condivideremo la prossima data il 13 marzo al Circolo Valverde di Forlì). Speriamo che il 2010 sia ancora più ricco di ottime uscite.





Siamo alla chiusura ragazzi, ve l'affido, carta bianca per finire in bellezza questa intervista, io vi saluto e mi auguro di vedervi presto dal vivo.

Intanto vorremmo ringraziare tutti voi di Neuroprison per le varie opportunità che ci avete dato (compilation, recensione, intervista), poi vorremmo rinnovare l'invito a seguirci sui vari social network (myspace: www.myspace.com/mondrianoak ; facebook: www.facebook.com/#/pages/Mondrian-Oak/80764
486386?ref=ts) dove presto annunceremo nuove date e quant'altro. Inoltre per chi fosse interessato, ricordo che Through early seed, è acquistabile online sulla nostra pagina bigcartel (mondrianoak.bigcartel.com) o più semplicemente scrivendo all'indirizzo mail: mondrianoak@email.it

Doom on!

Sephiroth

PS: grazie a Celesis per la sua foto.

venerdì, febbraio 05, 2010

PALPEBRE





Primo romanzo per Gianni Canova, noto critico cinematografico e già fondatore/direttore di Duel, nonchè docente/preside universitario allo IULM di Milano e conduttore della trasmissione televisiva Il Cinemaniaco per Sky.

Palpebre è un thriller-pulp senza dubbio ben scritto, diretto e coinvolgente, ma fortunatamente non solo questo.
Ambientato in una Milano/Brianza dai toni grigi, sommessi e sullo sfondo di una situazione politica e sociale assolutamente attuale, è un romanzo denso di citazioni cinematografiche (a tal proposito deve molto tra gli altri a Cronenberg) e letterarie che esplora in modo radicale e brutale le ossessioni del nostro tempo; in un perfetto incastro che chiama in causa anche Giotto e Dante ed attraverso una tagliente critica all'odierna società delle immagini e della comunicazione, ci obbliga ad osservare la realtà intorno a noi con occhi diversi ed allo stesso tempo scavare dentro di noi per venire a patti con il bene ed il male insiti nella natura umana, la colpa e la pena, il piacere ed il dolore.

Citando lo stesso Canova, "il nostro rapporto con quel che guardiamo è il vero nodo politico del nostro tempo”, ed ancora "il problema del nostro tempo è capire se siamo ancora capaci di pensare a quello che vediamo o se vediamo sempre e solo ciò che già pensiamo".

-Edvard-


Gianni Canova

giovedì, febbraio 04, 2010

ISIS - Wavering Radiant



Tracklist:
1. Hall of the Dead
2. Ghost Key
3. Hand of the Host
4. Wavering Radiant
5. Stone to Wake a Serpent
6. 20 Minutes / 40 Years
7. Threshold of Transformation


Se amate il vaccillare tra torbide atmosfere e paesaggi surreali avendo come sfondo chitarre devastanti, la struggente voce di Aaron Turner e le morbide linee di basso di Jeff Caxide, allora Wavering Radiant è ciò che fa per voi. Nuovo disco per gli Isis e nuovo capolavoro che rielabora il sound del precedente In The Absence Of Truth.
Anche questa volta l'obiettivo non si discosta dalla ferocia che vira verso la collisione dei sensi, cadenzata dai growl saturi di Aaron Turner che impattano con studiati cambi di tempo, quasi a voler descrivere uno stato d'animo che non sà rimanere immutato di fronte alla desolazione dell'essere.

Hall Of The Dead fa da preludio a quello che sarà l'intero lavoro: imponenti riff terzinati che si fondono ad arpeggi in chiave post rock avvolti da tastiere gravide della desolazione di chi scolpisce le emozioni per poi frantumarle. Il risultato è debordante. L'abissale chorus miscelato ad un ritmico delay avvolge la linea di basso di Jeff Caxide che apre Ghost key, secondo brano dell'album, seguito da un riverberato intreccio di arpeggi di chitarra che muta e si trasforma in un prorompente distorto, quasi come se non potesse più sopportare la sofferenza di chi urla a voce spenta; saranno ancora una volta i suggestivi intrecci di chitarra a tessere il gemito di un panorama senza confini.
Si prosegue con Hand of the Host i cui riff richiamano a tratti quelli del lavoro precedente per poi essere trascinati via in balia del vento dal breve intermezzo della title-track.
Stone To Wake A Serpent non lascia spazio all'immaginazione e sembra simulare a colpi di riff un orologio che ha fretta di riprendersi un tempo troppo breve e nefasto per essere vissuto. Sarà una viscerale e solenne linea vocale a ridonare quella tranquillità che sembrava ormai persa, tranquillità creata appositamente per essere sopraffatta.
I seek new life canta Aaron Turner in 20 Minutes / 40 Years quasi come cercare conforto nel sapere che non c'è luce oltre le tenebre. Brano che offre la prostrazione allo sconforto come una ferita che è destinata a non rimarginarsi.
L'album si chiude con Threshold Of Transformation, ennesimo epico capolavoro che non delude assolutamente le aspettative e conferma la tradizione dei grandi pezzi posti in coda ad ogni loro album.

Wavering Radiant è un disco suonato e concepito alla perfezione. Non lasciatevelo scappare.

--G|aNkMc-

lunedì, febbraio 01, 2010

TOMYDEEPESTEGO - Chronophage



Tracklist:
1. Dr. Disagius
2. Cicades
3. Controversy (Act I, Inferno)
4. J.H.I.
5. El Hombre Loco (Desde Generaciones)
6. Crepuscolo (Act II, Purgatorio)
7. Milla
8. Libero Arbitrio (Act III, Paradiso)

Il ticchettìo delle lancette che inciampano sui propri passi scandisce il nuovo lavoro dei ToMyDeepestEgo. Li avevamo lasciati con Odyseea, opera strumentale di sicuro valore ma ancora legata alla scuola dei Pelican: coma ha influito il tempo su Chronophage?
E’ essenziale affermare come non ci siano stati turbolenti stravolgimenti all’interno dell’ego più profondo, ma un lavoro di limatura e affinamento dei punti forti che ha permesso loro di spingersi un gradino più avanti rispetto al combo di Chicago, ormai incapace di recuperare i fasti di anni fa. Gli allievi superano i maestri, è il caso di dirlo. Senza indugiare eccessivamente con il paragone tra Roma e Chicago, non può che strappare un sorriso il percorso simile percorso da entrambe le band, con risultati però notevolmente differenti.
I ToMyDeepestEgo hanno dato corposità al loro suono, soffermandosi di meno nelle stanze del post-rock e donando maggiore visibilità all’irruenza delle chitarre, mantenendo comunque un gusto per le melodie già emerso nel precedente disco. Con la memoria ancora ai dolci sciabordii di Mediterraneo, l’apertura di Dr.Disagius è quantomeno inaspettata, con suoni di basso mai così in evidenza, vicini alla tradizione sludge degli Iron Monkey; a calcare la mano ci pensano andamenti sostenuti e una continua colata di riff stretti tra loro.
Il minutaggio fa poi la sua parte: ormai saturo il canone che vede l’orologio scorrere incessantemente per poi accorgersi di essere ancora a metà dell’opera e a un intero sbadiglio, il combo romano opta saggiamente di ridurre la materia all’essenziale e il risultato finale ne giova sicuramente.
Gli andamenti più leggeri che affascinavano in Odyssea non mancano, fanno capolino in Cicades ma vanno progressivamente a morire nel pantano di J.H.I., prima rampa in salita che porta alla montagna del purgatorio. Sì, perché la band omaggia l’immortale Divina Commedia con tre componimenti per i classici tre atti, Inferno-Purgatorio-Paradiso, creando un fil-rouge con il letterario titolo del precedente disco: più che mai si può parlare di opere quindi.
L’ascesa verso l’ultima cantica procede solenne tra le note , ancora una volta i ToMyDeepestEgo si confermano saggi pittori dello stato d’animo, e, nonostante il risultato finale non vada a rivoluzionare chissà quali canoni musicali, quello che si sente è di assoluto valore; per rivoltare le carte in tavola ci sarà occasione, nel mentre non sarebbe male farsi guidare anche dalle emozioni. Solo il tempo di cui parla l’album potrà dare conferme o smentite sui ToMyDeepestEgo.

Neuros


ToMyDeepestEgo @Myspace