martedì, luglio 28, 2009

FOG IN THE SHELL





A qualche mese di distanza dall'uscita dell'ottimo Private South, abbiamo contatto Marco e Luca dei Fog in the Shell che ci hanno aiutato in maniera davvero esaustiva a fare il punto della situazione e gettare luce su alcuni fatti passati...

Ciao ragazzi, prima di parlare del nuovo disco, potreste raccontarci in pillole da dove vengono i Fog in the Shell?

(Marco) Fog in the shell è un nome lungo, e per certi versi anche poco apprezzabile, che ci accompagna ormai da tempo. È stato usato per la prima volta (con l’articolo determinativo inglese davanti) come titolo per una delle musicassette che registravo in maniera del tutto amatoriale e sconclusionata in camera mia (a Milano): allora si parlava di folk/rock lo-fi, sicuramente scarno e minimale. Ad un certo punto la sigla TFITS è uscita da camera mia per qualche concerto in solitario; contemporaneamente suonavo in un gruppo noise-core chiamato Lasofferenza. Quando questo, letteralmente, morì, decisi di ripartire da TFITS e di trasformare il progetto in un gruppo: cominciai a suonare con Luca (di Novara, già One Fine Day, The Diamond Sea, ed un’altra dozzina di progetti musicali) alla batteria (i primi concerti insieme sono dell’inizio del 2002, se non ricordo male). Col tempo si sono aggiunti Federico (ex Lasofferenza) e Stefano, formazione che suona in “A Secret North”, pubblicato nel 2004 dalla Dufresne. Da allora il gruppo ha perso l’articolo davanti al nome, mentre Federico e Stefano hanno lasciato il posto ai novaresi Graziano alle tastiere, Adriano (ex OneFineDay, Corey, etc.) all'’elettronica e Nicola (ex Corey, etc.) al basso. Siffatti, i FITS hanno registrato “Private South”, l’ultimo album.

Son passati pià di due anni dall’uscita di “A Secret North”, vostro disco di debutto, come avete impiegato tutto questo tempo?

(Marco) In realtà di anni ne son passati ben più di due, considerando che “A Secret North” è uscito nel 2004. Da allora c’è chi ha messo su famiglia, chi la famiglia l'ha distrutta, e, considerando anche che l’età media dei componenti dei Fits è vicina ai 33 anni, tutti ormai sono presi anche dal lavoro (il che significa più soldi per una strumentazione decente, ma anche molto meno tempo da dedicare alle faccende del gruppo) e dalle proprie esistenze. Ciò detto, i pezzi che compongono l’ultimo disco sono nati ben prima della loro pubblicazione (tant’è che alcuni hanno esaurito il loro ciclo vitale e, ormai, non li suoniamo neppure più dal vivo). Si può dire infatti che, se non avessimo avuto le difficoltà e le sfortune che abbiamo avuto per arrivare alla pubblicazione, “Private South” sarebbe potuto uscire almeno nel 2006. Al di là dell’ultimo disco, in questo periodo di apparente stasi abbiamo prima percorso e poi abbandonato – buttando letteralmente un tot di brani inediti – alcuni filoni musicali, che abbiamo infine tralasciato per buttarci in qualcosa che fosse, almeno per noi, inedito rispetto a quanto fatto fin’ora (se dovessimo registrare un nuovo cd ora sarebbe parecchio diverso rispetto a PS). Inoltre, se escludiamo la partecipazione alla vostra compilation (per la quale ancora una volta vi ringraziamo), questi anni sono stati costellati da una serie di progetti abortiti, tra i quali vale la pena di citare almeno uno split su 7” con un valevole gruppo noise del sud Italia (disco mai uscito per defezione all'ultimo dell’altro gruppo) e la partecipazione ad una compilation organizzata da una web-zine nostrana (compilation poi scomparsa nel nulla). Gli inediti registrati per queste collaborazioni sarebbero dovuti confluire in un altro progetto dalla fine ahimè disastrosa, vale a dire lo split con i Vanessa Van Basten…


Qualche tempo fa era previsto uno split con i Vanessa Van Basten infatti, ma poi il progetto decadde, potete dirci cosa successe?

(Marco) Se i progetti sopraccitati non hanno mai visto la luce per colpe che non ci riguardano direttamente, qui invece la responsabilità è soprattutto nostra. Anzi, mi prendo prevalentemente la colpa io stesso per aver mandato tutto in vacca. L’idea dello split è sostanzialmente nata dopo una partitina e calcio (e relativo concerto) con i VVB qualche estate fa, in quel di Piacenza (serata organizzata dai Viscera///). Il disco poi ha vissuto il proprio iter, fatto di tempo speso per registrare i pezzi dei VVB, per accordarsi sull’artwork (un digipack serigrafato da Michele dei LaQuiete), per trovare le etichette e i soldi necessari alla pubblicazione, e via dicendo. In coda a questi naturali tempi tecnici, ad un certo tempo, per problemi eminentemente personali, ho ben pensato di chiudere il mondo fuori dalla porta di casa, rendendomi irrintracciabile da tutto e da tutti per un paio di settimane buone. Nulla di premeditato o direttamente dipendente con il disco, per capirci. I ragazzi dei VVB, che avevano giustamente fretta di far uscire lo split, non hanno evidentemente gradito, decidendo quindi di tirarsi fuori dal progetto (la loro parte di split è poi stata pubblicata come ep, praticamente in contemporanea a Private South). Sicuramente è stato un episodio spiacevole, per il quale mi scuso un'altra volta con i diretti interessati, oltre che un’occasione sprecata che ha, ahimè, lasciato dietro di sé qualche screzio.


Procediamo con ordine dunque: “Private South”. Nel titolo pare esservi una connessione con il precedente album : semplice sequel o cos’altro?

(Marco) Per il primo cd volevano un nome che facesse pensare al freddo, alla distanza, ad una strada lastricata di ghiaccio che porta agli scogli; per quello del secondo cercavamo l'esatto contrario. Si tratta di due punti cardinali che sono direttamente legati alle nostre persone (viviamo al nord, alcuni di noi hanno origini nel sud), ma che, in senso lato, dovrebbero indicare differenti coordinate dello spirito umano: da un lato l'interiorità, dall'altra l'esteriorità (anche intesa come espressione della sessualità).
Il Nord Segreto e il Sud Privato non sono l'uno la conseguenza dell'altro, bensì due singoli punti che coesistono sulla mappa geografica dell'anima.


A detta di chi scrive, il suono è una naturale evoluzione di quanto intrapreso con “A Secret North”, nonostante ciò le differenze sono evidenti. Come nascono le canzoni? Nel tempo è cambiato il vostro metodo di scrittura?

(Marco) I due dischi sono diversi perchè realizzati in momenti diversi, con diversi mezzi e persone differenti. Hanno sicuramente degli spunti compositivi in comune, ma altri sono stati completamente tralasciati; ad esempio mancano i brani acustici, che derivavano da un metodo compositivo “solistico”, e sta qui probabilmente la differenza sostanziale. Prima i brani erano in genere l'idea del singolo, che arrivava in sala prove con riff e buona parte della struttura in mente. Col tempo, sia per coesione tra i Fits stessi, sia perchè – più banalmente – il tempo per suonare s'è ridotto quasi esclusivamente a quello delle prove, il processo compositivo è mutato: ora tutti dicono la propria su tutto, e spesso i pezzi sono un insieme di riff differenti (che a volte coesistono armonicamente in contemporanea) ideati da persone diverse.

Il nuovo disco è sicuramente più “fisico” del suo precedessore, come mai questa svolta?

(Luca) Mah, sicuramente ha a che fare con l'ansia da prestazione, col fatto che stiamo diventando vecchi, col fatto che oramai ci sentiamo superati a destra e sinistra da ragazzi che hanno la metà dei nostri anni e fanno ciò che noi provavamo a fare qualche anno addietro. Non direi comunque che si tratta di un disco più fisico. C'è sicuramente più cuore e più sostanza. C'è molta più carne al fuoco, questo sicuramente si, ma credo di parlare a nome di tutti quando dico che probabilmente questa volta siamo riusciti a rendere il tutto più coeso, calcolando che è il nostro primo disco con questa formazione. Figurati che abbiamo già 4 pezzi nuovi che stupiranno molte orecchie, visto il nostro progressivo allontanarci dalle descrizioni che di solito vediamo sui poster e sui flyers quando suoniamo in giro...
(Marco) Da non sottovalutare anche il fatto che, mentre SN è stato registrato e mixato in cinque giorni, usando solo la strumentazione della Sauna, PS ha preso circa un paio di settimane di realizzazione, utilizzando la strumentazione che nel frattempo ci siamo creati. Insomma, una maggiore cura nel suono ci ha permesso probabilmente di creare un muro di suono che può risultare di maggiore impatto. Ma si tratta di normali sfumature inconsapevoli, e non di scelte preordinate.

In particolare il suono si è fatto più stratificato, se prima il risultato finale era più liquido e psichedelico ma tutto in evidenza, ora per rintracciare tutte le sfumature bisogna scavare in profondità, siete d’accordo?

(Marco) Siamo in cinque e cerchiamo sempre di suonare ciascuno qualcosa di melodicamente differente da quel che fa ciascuno degli altri componenti. Sicuramente il suono è quindi più stratificato rispetto ad un passato di composizioni forse più istintive, cosa che spesso ci ha dato problemi dal vivo, dato che il mettere o meno in evidenza uno strumento rispetto agli altri di fatto snatura il sapore di molti brani (anche se siamo sempre stati di bocca molto buona, per via della nostra line up siamo spesso l'incubo dei fonici dei posti dove suoniamo). Inoltre, sul cd abbiamo voluto approfondire certi arrangiamenti, sperimentando proprio cose che dal vivo non potremmo fare se non assoldando altri cinque chitarristi con cui suonare contemporaneamente. I ragazzi della Sauna studio hanno avuto di che sudare, stando dietro anche a più di 30 diverse tracce per singolo brano.

Un altro cambiamento importante è stato nell’utilizzo di synth ed effettistica. Prima erano in primo piano come inserti nella canzone, sul nuovo disco invece sono onnipresenti e fungono da struttura portante e da collante per ogni componimento…

(Marco) Molto banalmente: su SN i suoni elettronici sono stati aggiunti in fase di registrazione, in PS fanno parte delle strutture primarie perchè c'è gente che pensa espressamente ad essi e alle canzone attraverso essi.
(Luca) In realtà su Secret North, a parte la tastiera suonata da Marco de La Sauna su un brano e qualche synth spruzzato qua o là, non abbiamo utilizzato molta elettronica... La maggior parte di quello che senti arriva da chitarre, bassi, pedali e vecchi strumenti che venivano maltrattati da noi. Solo con questo album ci siamo presi la libertà di spaziare e sperimentare... ma ci siamo già stufati e abbiamo virato verso una forma canzone più tradizionale, con dell'elettronica usata in maniera più discreta e funzionale. Ora siamo al crocevia tra un mobile Ikea e le vecchie canzoni d'amore francesi anni '60.

Altra carta vincente è sicuramente la melodia. In un contesto alquanto “ostico” come il vostro questa viene spesso esaltata e, fatto ancora più importante, rimane impressa immediatamente. E’ stato qualcosa di premeditato o è scaturito in maniera naturale?

(Luca) La melodia nei pezzi è stata semplicemente una esigenza che ho sentito io in primis e che Marco ha assecondato in maniera egregia, visto che entrambi cantiamo sia su disco che dal vivo. Ora stiamo sviluppando ancora di più quel lato, partendo alle volte anche solo da melodie di voce e aggiungendo poche cose sopra. Insomma vogliamo diventare una onesta cult band... oramai i quattrini non li faremo più...

Siete consapevoli che band “più affermate” pagherebbero per un pezzo come Even If? Siete riusciti in cinque minuti a fare ciò che altri suonano in dieci o più. Crescendo, aggressione, melodia.

(Marco) Ti ringrazio molto per il complimento, probabilmente esagerato. Il pezzo in questione è l'esempio di una forma compositiva che s'è fatta sempre più di gruppo, come già scritto più sopra. Partendo da una linea di pianoforte, ciascuno ha aggiunto del suo sia a livello melodico che strutturale. A me piace perchè nella prima parte ha un arrangiamento decadente e vagamente “dark”, impulso che nei brani nuovi s'è fatto più preponderante. Il testo invece è preso di peso da una poesia di Borges, ma per fortuna non se n'è accorto nessuno.

I Hate Euclid è sicuramente la canzone più completa del lotto, per questa invece il dilatarsi del minutaggio è stato essenziale, soprattutto per arrivare alla deflagrazione finale, davvero d’impatto. Com’è nata e come mai la scelta di porla in chiusura di disco?

(Luca) È nata in maniera casuale come tutte le altre, lavorando di sottrazione. L'abbiamo messa alla fine perchè ci siamo resi conto che mancava solo lei.
(Marco) Si tratta dell'esempio più lampante dell'abuso di decine e decine di tracce sul singolo pezzo di cui parlavo prima... Inizialmente, la seconda parte del brano, rispetto a come veniva suonata dal vivo, doveva essere una cosa piuttosto impegnativa: era stata pensata per trombone, viola e violoncello, ma non riuscendo a trovare chi suonasse questi strumenti, o non riuscendo a metterli tutti insieme nella stessa stanza a suonare insieme, abbiamo fatto da soli, sostituendo fiati e archi sostanzialmente con molteplici linee sovrapposte di voce, chitarra a dodici corde, piano rhodes, elettronica e un gong da orchestrina gamelan sottratto a mio padre. Insomma, ci siamo arrangiati e insieme divertiti con lo studio.

I titoli delle canzoni fanno pensare a una ricercatezza di fondo, come sono scelti e a cosa si ricollegano?

In un contesto come il nostro (non mi riferisco tanto al “genere”, quanto al tipo di ascolto e alla fruizione che se ne può fare), il peso che si da ai testi è senz'altro minimo; forse non a caso non mi chiedi di questi ma dei titoli dei brani. E come i testi sono stati scritti poco prima di entrare in sala di registrazione, i titoli definitivi sono stati decisi poco prima di andare in stampa con le grafiche. Noi li abbiamo sempre chiamati con nomi diversi e ridicoli, diciamo “di lavorazione” (la “lunga”, “graziano”, “trattore”, e via dicendo) e così li chiamiamo tutt'ora. Ma, proprio perché, giustamente, dei testi frega poco a chiunque, sono contento che i titoli in qualche maniera possano rimanere. Nella maggior parte dei casi si tratta di riferimenti diretti al contenuto dei testi; cambia invece là dove, ovviamente, un testo non c'è. I hate Euclid, ad esempio, dovrebbe essere un'espressione vagamente ironica, creata pensando al Cthulhu di lovecraftiana memoria, per interpretare una negatività totale.

Il disco è stato prodotto ai La Sauna Studio e il risultato è davvero ottimo, ogni particolare è messo in risalto senza snaturare la potenza dei suoni. Come si è svolta la fase di produzione? Siete soddisfatti del risultato finale?

(Luca) I La sauna studio sono un po' la nostra seconda casa, e i ragazzi che lavorano lì sono dei maghi e conoscono tutti i trucchi per farci suonare meglio di quanto in realtà siamo. Siamo soddisfatti sicuramente del risultato, anche se ogni volta che usciamo da lì e ci riascoltiamo dopo il normale periodo di decompressione, ci rendiamo conto che si poteva fare qualcosina in maniera diversa... ma è normale se si è degli “artisti” eternamente insoddisfatti... Siamo i peggiori critici della nostra arte. Io mi vanto di essere quello che in assoluto ha registrato di più in quegli studi, con i Fog, con Hot Gossip, con Mathians, con Tastiera e dio solo sa con cosa altro... eheheh... ho sentito dire in giro che stanno costruendomi una statua in giardino...

L’artwork è intrigante e volutamente “datato”, cosa vuole rappresentare?

(Luca) L'artwork l'ho amato da subito! Sono vecchie foto di parenti di alcuni di noi, e danno un immagine forte e rivoluzionaria di una parte di un Sud Italia a cavallo tra gli anni '60 e '70 che pochi conoscono o immaginano che sia esistita. Pensare che due donne avessero il coraggio di andarsene in giro così vestite in quegli anni, in una remota località del sud, rende appieno la forza di quelle foto.
(Marco) Per i motivi descritti da Luca, a parer nostro rende al meglio tutti i significati che si possono attribuire a Private South.

A Secret North uscì per la nostrana Dufresne Records, Private South con la britannica Paradigms Recordings, come mai questo cambiamento? Come siete entrati in contatto con la nuova etichetta?

(Luca) Ci hanno contattati dopo aver sentito qualche pezzo da myspace credo, abbiamo visto che quell'etichetta ha fatto uscire Jarboe e per noi era sufficiente. Ti da quella carica in più per tirare avanti qualche mese.
(Marco) Credo che Duncan, che sta dietro alla Paradigms Recordings, abbia creduto in Private South più di quanto al tempo ci credessimo noi... Come detto prima, quello dell'ultimo album è stato un travaglio lungo e faticoso, anche perchè, nel tempo, abbiamo trovato diverse persone ed etichette che si dimostravano interessate ad una pubblicazione, salvo poi scomparire nel nulla senza farsi letteralmente più sentire dopo qualche mese. In particolare, nel caso di almeno due etichette straniere ed una italiana la cosa è stata particolarmente frustrante, perchè trattandosi di etichette che rispettavamo per gusto e per catalogo, nonché dimostrando in teoria una certa serietà, ci facevano credere di aver finalmente trovato qualcuno che ci aiutasse a mettere al mondo il disco. Insomma, tanto più erano quotate e rispettabili le etichette in questione, tanto più ci siamo sentiti scornati una volta che queste – PUF! - sparivano nel nulla, rendendo poi più faticoso rimettersi a cercare. Ovviamente la data di uscita di Private South ne ha fortemente risentito.

Come sta andando l’attività live? Trovate difficoltà a suonare e poca apertura verso la vostra proposta oppure no? Ve lo chiedo perché molte altre band lamentano poca disponibilità nei loro confronti, soprattutto sul suolo natìo..

(Luca) Mah, non abbiamo mai suonato molto in verità. Ma in Italia, e credo un po' ovunque, se non ti sai vendere e/o se non sei bello combini poco in ogni campo. A noi va abbastanza bene così, visto che alcuni di noi hanno famiglia e figli. E comunque siamo più rock n roll di molti altri gruppi che si definiscono tali...
(Marco) L'uscita del disco non ha influito sulla nostra attività dal vivo, nel senso che non sono aumentate le occasioni di fare concerti (anche perchè il disco in Italia non è “ufficialmente uscito”; pare che con internet dischi ed etichette debbano incidere sempre meno sull'attività di un gruppo, ma di fatto da noi pochi si sono accorti di Private South). Occasioni che, negli anni, vanno calando. Forse perchè è cambiato il “sistema”, o la “scena”, o il mondo musicale nostrano, o come lo vuoi chiamare, nel senso che, rispetto a 10/15 anni fa, ci sono molti più gruppi e – strano a dirsi – molta più gente potenzialmente interessata a determinati tipi di musica; ma, contemporaneamente, sono diminuiti i posti dove suonare e, paradossalmente, è diminuito l'interesse generale verso la musica. Nel senso che molto più gente di prima va a concerti (in meno posti di prima), però spesso fregandosene della musica e dei gruppi: quello che interessa è la partecipazione stessa alla serata, l'evento in sé, con meno attenzione verso chi suona e alla musica in generale. Sarà che sono invecchiato. O sarà semplicemente che suoniamo poco perchè siamo considerati solo un gruppo di antipatici incapaci, cosa per altro non troppo lontana dalla verità considerando che in Italia ci ascolano in 4 o 5. Stando a Lastfm, però, pare che Private South vada meglio in Europa dell'Est, dato che ancora non riesco a spiegarmi. Forse sarebbe il caso di stringere accordi con la mafia russa ed organizzare dei concerti da quelle parti.

Bene ragazzi, siamo in chiusura; prima però ci piacerebbe sapere quali sono i progetti futuri.

(Marco) Evidentemente decisi a deludere anche quelle quattro persone di cui sopra, i pezzi nuovi sono abbastanza diversi rispetto al disco. C'è più elettronica, c'è più cantato, ci sono più voci, ci sono meno distorsioni, c'è meno tempo preso per esporre le proprie idee. In questi giorni stiamo registrando dei demo, e se il risultato ci soddisferà abbastanza, penseremo ad un ep gratuito da mettere su myspace o da qualche altra parte.
Per ottobre dovrebbe invece uscire un ep per l'etichetta Terra Desolata! (www.myspace.com/terradesolata) contenente qualche inedito, un paio di remix e di pezzi acustici.
Approfitto poi dello spazio per pubblicizzare gli altri progetti dei componenti dei FITS.
Luca, oltre a suonare con una altro paio di gruppi che al momento non hanno nemmeno un nome, fa elettronica per i cazzi suoi (http://www.myspace.com/weareyounglovers) e ha suonato nell'EP dei tastiera (http://www.myspace.com/tastiera).
Anche Adriano è lanciato con l'elettronica (http://www.myspace.com/akaeater), mentre Graziano ogni tanto fa delle colonne sonore per film inesistenti, ma credo che ultimamente sia un po' fermo (http://www.myspace.com/sorrysumo).
Nicola s'è buttato nelle competizioni di mountain bike e spero solo che non si rompa un braccio, mentre io – non so ancora perchè - canterò in un pezzo contenuto nell'ep di prossima pubblicazione di un gruppo black-metal atmosferico greco mentre l'estate scorsa ho inciso in camera mia un disco acustico in italiano che non ha mai ascoltato nessuno; chi avesse bisogno di un'ulteriore prova per disprezzare l'esistenza può contattarmi: sarò felice di mandargliene una copia.

Con questo è tutto ragazzi, buona fortuna per il futuro a nome di NeuroPrison.

Grazie a voi per il supporto, l'intervista e, soprattutto, la pazienza...


Neuros

lunedì, luglio 20, 2009

TREEHORN

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Dopo l'uscita dell'album di debutto Amine abbiamo contattato i Treehorn per farci il punto della situazione e sentire cosa bolle in pentola per l'immediato futuro:



Ciao ragazzi, benvenuti sulle pagine di NeuroPrison, come prima cosa volete presentare la band ai nostri lettori?

I Treehorn sono un trio nato nel 2004 a Foss Angeles (Cuneo). Eravamo 3 bei ragazzotti che giocavano al pallone assieme. Poi si è deciso che fare musica era mentalmente più salutare.
Chitarra e basso suonavano già assieme in una formazione punk di merda, la batteria picchiava e picchia tutt’ora anche nei Ruggine.
Dal 2009 è entrato in formazione anche Super Goat Man in qualità di fonico. Siamo un 3+1 insomma.

Qualche mese fa è uscito il vostro primo disco “Amine”, album davvero notevole, quanto è durato e come si è svolto il processo compositivo?

Raccoglie buona parte di ciò che abbiamo prodotto nei nostri primi 2 anni di esistenza. Diciamo che può essere interpretato come un “best of” dei Treehorn dalla nascita ai primi passi.

A mio parere uno dei punti forti del disco è sicuramente la qualità e la tipologia di suono, soprattutto quello delle chitarre che riesce a mantenersi pesante e affilato contemporaneamente. Quanto lavorate su questo particolare e cosa cercate voi nel suono Treehorn?

Effettivamente ci lavoriamo parecchio, la ricerca di un suono personale è un processo che continua ad evolversi tutt’ora. Puntiamo molto ad avere un certo impatto sonoro, soprattutto per quanto riguarda i live; è una caratteristica che riteniamo fondamentale, che ci valorizza, e che paghiamo anche in quanto ci preclude a una serie di locali o situazioni non adatte o non attrezzate.

Come è stato il processo di registrazione dell’album?

Il disco è stato registrato in 2 giorni, al Borgomale Studios da Francesco “Frankie” Groppo, tecnico del suono che ha lavorato con una numerosa parte dei gruppi di Cuneo (Cani Sciorrì, Fuh, Elephant Man, Io Monade Stanca, The Fagetz e Matteo Castellano tra gli altri).
Una registrazione molto casalinga ricordo. Divisa tra garage, tavernetta, camere da letto, cessi e teglie di polenta. Tutte le tracce sono state registrate in presa diretta, quello che puntavamo ad ottenere era un disco il più possibile vicino all’esibizione live.

Nonostante il nucleo principale della vostra musica sia molto fisico, alcune parti del disco mostrano alcuni esperimenti più rilassati, ad esempio l’intro di 400 Mornings con il suo andamento simil kraut-rock o la parentesi ambient della traccia sei. Come sono nate queste idee?

“Amine” contiene tutti pezzi fortemente influenzati dal post/hc, ci sembrava opportuno dare la possibilità all’ascoltatore di prendere fiato ogni tanto con un paio di intervalli ambient.

In futuro pensate di puntare maggiormente su questi esperimenti?

Non vedo perché no. I nostri ascolti musicali sono decisamente vasti. Il post/hc rappresenta solo una piccola fetta di questi. Ascoltiamo di tutto, e ci piace sperimentare. Ultimamente ci stiamo rivolgendo verso aspetti più stoner, doom e anche blues.
Credo sia un processo spontaneo, non c’è nulla di premeditato. Suoniamo e vediamo che cosa succede.

La traccia ha mandato in crisi molti recensori, perché la scelta di non dare un titolo?

Il motivo è molto semplice in realtà. Non sapevamo come chiamarla, così abbiamo deciso: “Non chiamiamola e basta”.
Chiedo scusa alla categoria dei recensori.

Da dove traete ispirazione per quello che suonate? Sia a livello musicale che non..

Musicalmente c’è una solida base ispirativa composta da Black Sabbath, Melvins, Jesus Lizard, Keelhaul, Harkonen, Botch, Deftones e Don Caballero. Allo stesso piano penso che siamo influenzati dall’ottima scena musicale cuneese, Canalese*Noise Records in primis. Ci sono poi tutti quei generi musicali non propriamente affini ma che ascoltiamo in gran quantità, a partire dai King Crimson, fino ai Tortoise, passando per Wilco e Radiohead, credo che in alcune sfumature o nella composizione dei testi, se ne possano trovare tracce sparse qua e là.
A livello personale ci ispiriamo a ciò che viviamo ogni giorno, situazioni a volte sfigate, altre esaltanti. In un territorio ormai militarizzato, triste e bigotto come la provincia di Cuneo, è inevitabile che il più delle volte a prevalere sia un sentimento di rabbia.

Nella recensione vi ho definito come complementari ai vostri vicini Dead Elephant, vi vedete in questa definizione?

Ci conosciamo bene, e a livello musicale non può che farci piacere, dal momento che abbiamo sempre avuto una stima enorme degli Elefanti.
Non è nemmeno la prima volta che ci accomunano. Penso sia dovuto al fatto che abbiamo ascolti musicali simili, e per i nostri inizi loro sono sicuramente stati un punto di riferimento.

Il cuneese è da un po’ di tempo fucina di grandi dischi e con un trademark ben definito. Dall’interno come vedete la scena e soprattutto è davvero sempre così rosea la situazione nonostante la gran quantità di band?

Penso sinceramente che un livello qualitativo delle band così alto sia difficile trovarlo altrove. Il paradosso è che materialmente i posti per suonare sono pochissimi (mi riferisco a locali per band che non fanno cover di Ligabue), mentre molte band dei dintorni meriterebbero più attenzione, anche di fuori della nostra provincia. Ma qui entra in gioco un altro paradosso, quello tutto italiano, secondo il quale per suonare in giro è meglio avere le giuste conoscenze, che essere bravi e spaccare il culo.

Come si inserisce la Canalese Noise Records in questo contesto?

La Canalese*Noise accomuna buona parte della scena cuneese, quella più rock’n’roll e sperimentale direi. Sono stati i nostri amichetti di Canale, i Fuh, a fondarla e ben presto si sono uniti Ruggine, Io Monade Stanca, Cani Sciorrì, The Fagetz, La Moncada. Più i vercellesi ETB. E noi.
Cerchiamo di darci una mano l’un l’altro, e da 2 anni organizziamo una 2 giorni estiva, l’OK Fest, come vetrina per le band che più ci piacciono. Organizziamo anche delle serate durante l’anno, chiamate OK Party in cui abbiniamo una band della zona con un’altra più affermata.
Si fa quel che si può. Col cuore.

Avete suonato alcune volte in Francia, com’è la situazione oltralpe in confronto all’Italia?

È decisamente migliore. Per prima cosa la gente viene ai concerti e ascolta per davvero. Stanno tutti molto attenti, non si sente volare una mosca tra un pezzo e l’altro, ti scrutano, stanno fino alla fine e poi ti vengono a dire il loro parere, buono o meno che sia. Una bella lezione.
In più, la maggior parte dei locali ha serate organizzate da diverse associazioni. La trovo una cosa fantastica, che permette di creare un certo fermento tra i gruppi, dando l’effettiva possibilità di scambi date e di conoscere nuove realtà musicali.
A ottobre torneremo per un tour di una decina di giorni nella Francia del Sud, assieme ai Royal McBee Corporation, un duo noise basso-batteria di Parigi con cui abbiamo già avuto il piacere di condividere un paio di serate sia in Francia che in Italia.

Quali sono i progetti nell’immediato futuro? State già scrivendo nuovo materiale?

Abbiamo già in buona parte pronti i pezzi per il prossimo disco, penso che ne scriveremo ancora un paio e poi andremo a registrare. Denaro permettendo. Non vediamo l’ora.

Bene ragazzi, siamo arrivati alla fine, a nome di NeuroPrison complimenti ancora per quanto fatto e speriamo di risentirci presto. Lasciate pure i vostri contatti e a voi il compito di chiudere l’intervista.

Un’intervista davvero lunga. Complimenti a te che sei riuscito a trovare 14 domande interessanti.
Per avere il nostro Ep, ma soprattutto per farci suonare a casa vostra, i contatti sono:
www.myspace.com/treehornrock, treehorn@hotmail.it ed il cell +39 3398296055 (Davide).
Fatene buon uso.
Rock’n’roll.


Neuros